17 febbraio 2016

Il giudice e il suo boia, di Friedrich Dürrenmatt

Incipit
"La mattina del tre novembre 1948, nel punto in cui la strada di Lamboing (uno dei villaggi del Tessenberg) esce dal bosco che degrada lungo il vallone del Twannbach, il gendarme di Twann, Alphons Clenin, trovò una Mercedes azzurra ferma sul ciglio della strada. C'era nebbia, come spesso accade nei mattini di tardo autunno; Clenin era giù andato oltre ma poi si decise a tornare indietro. Passando aveva gettato una rapida occhiata attraverso i cristalli appannati e aveva avuto l'impressione che il conducente se ne stesse abbandonato sul volante. Pensò che l'uomo fosse ubriaco: era persona normale, Clenin, e ricorreva sempre alle spiegazioni più ovvie. Perciò decise di affrontare lo sconosciuto non in veste professionale, ma così, da semplice amico. Si avvicinò all'automobile col proposito di svegliare il dormiente, di ricondurlo fino a Twann all'Hotel dell'Orso per fargli passare la sbornia con un buon caffé nero e una zuppa di farina; perché era sì vietato guidare in stato di ebbrezza, non però dormire dormire ubriachi in un'automobile ferma sul ciglio della strada.
Clenin aprì la portiera e posò paternamente la mano sulla spalla dello sconosciuto. Nello stesso istante si accorse che l'uomo era morto."

Nel risvolto di copertina trovare il giudizio di Georges Simenon su questo libro:
«Non so che età abbia l'autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada».
Ma chi pensasse (dopo queste parole) che “Il giudice e il suo boia” sia da includere nel filone noir, sbaglierebbe: questo romanzo ha del giallo solo la cornice esterna, l'inchiesta giudiziaria, un investigatore anziano alla caccia di un assassino intelligente e spietato (“demonio in forma umana”) con cui anni prima, in una bettola sul Bosforo aveva iniziato una sfida.
Ma il cuore del racconto è dove affronta il difficile tema della giustizia: può un giudice arrivare ad una sentenza di condanna per un crimine, sapendo che il colpevole ne ha compiuti altri nel passato (e per cui non è mai stato incolpato)?

Ma prima di arrivare a ciò, c'è da attraversare una prima parte preparatoria, in cui sembra di leggere una banale trama di un'inchiesta giudiziaria per un delitto in un paesino tra i boschi di Lamboing, vicino la città svizzera di Berna.
Qui viene trovato il cadavere del sottotenente Schmied: del caso se ne occupa l'anziano commissario Bärlach e il suo assistente Tschanz.
Il commissario sembra però disinteressato al caso, dalla raccolta delle prove, nemmeno vuole vedere il cadavere: ha in mente una sua pista e lascia al vice le redini delle indagini.
Che portano, per una serie di annotazioni del morto sulla sua agenda, alla villa del signor Gatsmann: un signore ricco e potente, per le sue amicizie e perché al centro di intricate vicende politiche e finanziarie.
Qui il romanzo “giallo”, banale pur se scorrevole si ferma: i due protagonisti Bärlach e il suo nemico Gatsmann si ritrovano faccia a faccia, e finalmente si scopre il legame che li unisce e che ha radici lontane. Porta ad una scommessa fatta quasi quarant'anni prima:
Il vecchio stava seduto in silenzio e lo guardava. 
«Ti resta un anno di vita,» proseguì l'altro «e per quarant'anni hai seguito imperterrito le mie orme. Ed ecco il risultato. Di che cosa discutevamo allora Bärlach, in quella infima bettola nel subborgo di Tophane , avvolti dal fumo delle sigarette turche? Secondo la tua tesi , l'imperfezione umana è il motivo per cui la maggior parte dei delitti viene inevitabilmente alla luce: siamo incapaci di prevedere con sicurezza come agiranno gli altri, e nei nostri ragionamenti non riusciamo a integrare il caso, che in tutto mette lo zampino. Dicevi che è da stupidi compiere un delitto, perché non è possibile muover egli uomini come figure su una scacchiera. Io allora per contraddirti, ma senza una vera convinzione, sostenni che proprio il garbuglio dei rapporti umani ti permette di compiere delitti che non si possono scoprire. È questo il motivo per cui i crimini, nella loro stragrande maggioranza, non solo rimangono impuniti, ma non destano nemmeno sospetto, quasi avvenissero in gran segreto. E continuammo a litigare, eccitati da quelle infernali misture che ci serviva l'oste ebreo, e ancor più dalla nostra giovane età, e al culmine dell'esaltazione facemmo una scommessa, proprio mentre la luna calava dietro l'Asia Minore lì accanto, una scommessa che affliggemmo baldanzosi al cielo..»[..] 
«Io non pensavo,» rispose Bärlach «che un essere umano fosse capace di onorare una scommessa simile».Tacquero. 
«E non ci indurre in tentazione» riprese l'altro.«La tua probità, che non ti fece mai cadere in tentazione, indusse me in tentazione. E tenni fede alla temeraria scommessa: compiere un delitto in tua presenza, senza che fossi in grado di fornirne le prove».

Non voglio rivelare il finale della storia, che metterà il lettore di fronte ad una verità sconvolgente, poiché l'assassino si scoprirà essere la persona meno sospettabile.
E si comprenderanno meglio due aspetti: perché Dürrenmatt ha dato questo titolo al libro (chi è il giudice e chi il boia che ha emesso la sua condanna?).
E perché Simenon, giustamente, aveva visto giusto sull'autore: i protagonisti del racconto (il commissario, il suo alter ego) potrebbero entrare senza difficoltà in quel panorama di personaggi inventati dall'autore belga, presi dai casi di cronaca, immersi nella realtà. Persone apparentemente normali ma capaci di rivelare l'immensa profondità e complessità della natura umana.

La scheda sul sito di Adelphi
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