Mussolini e i quadrumviri |
Giacomo Matteotti |
Nell'ultimo libro dei giornalisti Mario Cereghino e Giovanni Fasanella si parla della corruzione ai tempi del fascismo e della maxi tangente dell'americana Sinclair pagata anche al fratello di Benito Mussolini.
L'articolo di Fabrizio d'Esposito- La mazzetta nera di Benito & C.
Il regime di Benito Mussolini fu criminale non solo perché fascista. Fu criminale anche nel senso di corruzione, ruberie, mazzette, predazione totale di banche, enti vari e ministeri. In sessant’anni, le mollezze dei cleptomani in camicia nera sono sovente affiorate, senza però mai riuscire a scalfire il mito di una presunta dittatura dalle mani pulite, invocata tante volte dai revanscisti di casa nostra. Ma il fascismo onesto non è mai esistito e adesso a dimostrarlo, carte alla mano, c’è un libro di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella basato su documenti inediti provenienti da alcuni archivi inglesi: dossier, rapporti della polizia, lettere anonime che formano il vero racconto del regime.
Il volume è intitolato: Tangentopoli Nera (Sperling & Kupfer, 222 pagine, 18 euro). Nel suo Ventennio, il Duce rimase imprigionato da questa guerra delle mazzette tra i clan rivali dei vari gerarchi. Imprigionato e ricattato. Informato in tempo reale da poliziotti e spie, Mussolini non fece nulla o quasi per raddrizzare la moralità fascista. Anzi. Il libro ripercorre il mistero, ancora irrisolto, della borsa di Giacomo Matteotti, il deputato socialista fatto ammazzare dal regime nel giugno del 1924. Matteotti stava preparando un clamoroso discorso alla Camera per denunciare lo scandalo della Sinclair Oil, impresa petrolifera americana riconducibile alla famiglia Rockefeller. Per rompere il monopolio inglese sul petrolio italiano, la Sinclair Oil pagò 30 milioni di lire di tangenti, corrispondenti a circa 28 milioni di euro di oggi, anche alla famiglia Mussolini, in particolare ad Arnaldo, il fratello del Duce.
Il federale di Milano, tra bische e bordelli
Arnaldo Mussolini fu il grande protettore della cricca che mise le mani sulla operosa Milano, ritenuta la capitale morale del Paese. Il primo personaggio è il federale Mario Giampaoli. Praticamente povero prima della marcia su Roma del 1922, i rapporti polizieschi al Duce segnalano un’improvvisa impennata con le fortune politiche, a partire da un milione di lire ricevuto come regalo di nozze da “autorità ed enti pubblici”. Il regime ha anche provveduto a cancellare una sua passata condanna per furto. Tra i suoi affari, Giampaoli rileva una testata giornalistica, 1919, da uno degli assassini di Matteotti, Albino Volpi. Il federale non si fa mancare nulla. La sua cricca si compone di “ladri, bari di professione, cocainomani, ricattatori, tenutari di bordello”.
Il rapinatore e la cresta sulle tessere del Pnf
Il braccio destro e addetto stampa di Giampaoli si chiama Roberto Rossi e proviene dalla mala cittadina. È stato un rapinatore esperto, finanche arrestato per 150 mila lire rubate a un gioielliere. I suoi genitori sono ricettatori professionisti. Una famiglia criminale di spessore notevole. Rossi e Giampaoli si conoscono e si “prendono” in una bisca d’alto bordo. Organizzano un trust delle case di tolleranza. L’addetto stampa, ex rapinatore, fa una vita da sogno: villa lussuosa, 2 milioni di lire in banca, un parco macchine strepitoso. La cricca fa la cresta su tutto, anche sulle tessere del Pnf: 500 lire ciascuna.
Gli affari senza scrupoli del podestà Belloni
A completare la banda c’è infine il podestà Ernesto Belloni. Modesto impiegato, promette persino un seggio da senatore al suo ex datore di lavoro che vuole denunciarlo per gli ammanchi in casa. Belloni esige mazzette per ogni lavoro pubblico a Milano. Tra i documenti riportati nel libro si legge: “Belloni fa affari senza scrupoli, ed è largamente biasimato per il suo sistema di servirsi della posizione politica per fare affari in ogni campo”.
Il ras di Cremona e la borsa sparita
A fomentare la campagna contro “la banda Giampaoli” di Milano, in una violenta e sotterranea faida di regime, è il ras di Cremona: Roberto Farinacci, il Robespierre del fascismo, l’antiduce amico dei nazisti. Farinacci perseguita Mussolini su due fronti: i report dettagliati sulle malversazioni della cricca meneghina e il misterioso contenuto della borsa di Matteotti, che costituisce la terza e ultima parte di Tangentopoli Nera. Gli autori ricostruiscono le peripezie di Amerigo Dumini, l’assassino che trafugò le carte del deputato socialista, e il suo legame con Farinacci, che lo difese nel processo farsa messo in scena dal regime. Le carte giacciono ancora, insabbiate, negli archivi inglesi e americani.
Il grande banchiere riciclato due volte
La guerra interna di Farinacci, già segretario del Pnf, non è motivata da un’ansia moralizzatrice. Anche il ras di Cremona ha la sua rete di faccendieri, banchieri e industriali. L’arricchimento personale è la vocazione di ogni fascista di rango. Emblematico è il caso di Arturo Osio, il fondatore della Bnl. Già leader dei popolari di sinistra, Osio si ricicla col regime e ottiene una falsa iscrizione al Pnf retrodatata al 1922, l’anno della marcia su Roma. Descritto come “ignorante e prepotente” fa affari ovunque e accumula potere e denaro. A Milano s’impadronisce della Centrale del Latte, a Roma fa la dolce vita in una magnifica villa sulla Flaminia, dove agli ospiti più importanti fa visitare un segreto tempietto erotico. Caduto il regime, Osio si riciclerà per l’ultima volta nell’Italia repubblicana ospitando, tra gli altri, Carlo Pesenti, Renato Angiolillo, Luigi Sturzo.
Tangentopoli Nera (Sperling & Kupfer, 222 pagine, 18 euro) di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella
Sullo stesso argomento, il libro uscito per Chiarelettere "Il golpe inglese, di Mario Cereghino e Giovanni Fasanella".
Nessun commento:
Posta un commento
Mi raccomando, siate umani