Toto': "Sei pronto? Avanti, scrivi, incomincia: «Signorina' ...».
Peppino de Filippo: "Dove sta la signorina?".
"Ma che, è entrata la signorina? Va’ avanti, animale, signorina è l’intestazione autonoma della lettera".
"«Signorina, veniamo noi con questa mia a dirvi una parola che scusate se sono poche, ma settecentomila lire a noi ci fanno specie quest’anno, c’è stato una grande morìa delle vacche come voi ben sapete ...». Punto, due punti, ma sì, fai vedere che abbondiamo .. abondantis adbondandum. «Questa moneta servono a che voi vi consolate, vi consolate», scrivi, che aspetti?".
"Avevo capito l’insalata ...".
"Non mi far perdere il filo ... «vi consolate dal dispiacere che avreta, che avreta, che avreta», già, è femmina e va al femminile, «perché lo dovrete lasciare»".
"Non so ... perché che?".
"Che è non so? Perché è aggettivo qualificativo ... «perché dovete lasciare nostro nipote che gli zii che siamo noi medesimo di persona vi mandano questo perché il giovanotto è studente che studia che si deve prendere la laura, che deve tenere la testa al suo posto e cioè sul collo ...», punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola".
"Troppa roba!".
"Lascia fare, se no dicono che siamo provinciali, siamo tirati ... «Salutandovi indistintamente, salutandovi indistintamente ... i fratelli Caponi» ... apri una parente, «che siamo noi».
Hai aperte la parente? Chiudila". (da "Totò, Peppino e la ... malafemmina" di Camillo Mastrocinque)
50 anni fa, in un pomeriggio romano,
moriva Antonio de Curtis, il principe della risata. Era il 15
aprile 1967: quasi un'era geologica fa, coi televisori in bianco e
nero, i film in bianco e nero, il mondo diviso in blocchi ..
Eppure, nonostante siano passati così
tanti anni, la scena della lettera dei fratelli Caponi,
scritta alla fidanzata del nipote che deve studiare e “prendere
la laura”, a me fa ancora ridere.
Così come la scena del riconoscimento
dei connotati della pernacchia contro il tenente delle SS ne I due marescialli ("Individuata la pernacchia... troveremo
il colpevole!"), la celeberrima scena dentro il
Wagon lits (“ma perché mi vuol mandare lì se ho il biglietto
per qui..”). L'incontro con l'onorevole Cosimo Trombetta:
"Mi presento, sono l' onorevole Cosimo Trombetta".
"Trombetta? Oh perbacco! Questo nome non mi giunge nuovo!".
"Beh, modestamente io sono molto conosciuto...".
"Eccome! Io ho conosciuto anche suo padre, sa? E chi non lo conosce quel trombone di suo padre!". "Scusate, c'è un errore... avete detto trombone... Se io faccio Trombetta di cognome, è evidente e logico che anche mio padre faccia Trombetta...".
"Ohibò, non si sa mai. A volte c'è la magagna... lasci che glielo dica io... sono uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo...".
"Ma che magagna e magagna! Trombetta è padre, Trombetta è figlio... Viceversa mia sorella...".
"Fa trombone...".
"Come trombone!! Mia sorella fa Trombetta, come me! Anzi, meglio dire faceva Trombetta, da signorina. Adesso è sposata con un Bocca e fa Trombetta in Bocca...".
"Per forza, la trombetta si mette in bocca!".
"Ma che trombetta in bocca! Mia sorella non si mette la trombetta in bocca...".
"Se la mette!". "Non se la mette...". "Se la mette, se lo faccia dire da me, io sono uomo di mondo. Lei esce da casa e sua sorella si mette la trombetta in bocca...". (segue lo starnuto abortito)
(Totò e M.Castellani in "Totò a colori")
Le sue battute, i suoi sketch con gli
attori che di volta in volta gli facevano da spalla (Nino
Taranto, Peppino De Filippo, Mario Castellani) e con cui spesso
improvvisava sul set sono ancora vive perché sono come le maschere
del teatro, Arlecchino, Pantalone, Pulcinella. Immortali perché
rappresentano un archetipo, un tratto del nostro essere italiani e
che ancora oggi ci portiamo dentro.
"Te sparo sai".
"Non puoi".
"E perché?".
"Puoi sparare solo per legittima difesa: io non offendo".
"Va be’, allora sparo in aria a scopo intimidatorio".
"E va be’, io non mi intimido e resto qua".
(Aldo Fabrizi e Toto' dopo un’estenuante inseguimento in "Guardie e ladri")
Il perenne soffrire
la fame e l'arte di arrangiarsi, la diffidenza contro il potente,
l'avere le pezze al culo ma sentirsi nobile dentro.
"Pensi che mettiamo il burro persino nel caffellatte!".
"Ah,no! Noi nel caffellatte non mettiamo niente! Né latte, nè caffè!
(Toto' in "Miseria e nobiltà")
A proposito di
culo, non posso non ricordare la battuta, anche questa scolpita nelle
pagine del cinema comico italiano, dal film “I due colonnelli”
Colonnello tedesco: "Badi che io ho carta bianca!".
Toto': "E CI SI PULISCA IL CULO !!!!".
(Toto' in "I due colonnelli")
Totò ha indossato
tanti panni nei suoi film: il povero, il ladro, il nobile decaduto
senza una lira. Ha sfidato l'ira dei tedeschi e l'ira di Maciste
Totò a Taratankamen: "Basta con questo incenso! Quante volte devo dirti che sono incensurato?"
(Da "Totò contro Maciste")
Ha cercato perfino
di vendere la Fontana di Trevi ad un ingenuo emigrante, il signor
Deciocavallo (“avevo capito cacio cavallo..”). Trovarsi un lavoro
onesto?
Lo so, dovrei lavorare invece di cercare dei fessi da imbrogliare, ma non posso, perché nella vita ci sono più fessi che datori di lavoro. (Toto' da "Tototruffa ’62" di Camillo Mastrocinque)
Il finto torero per
sposare una ricca signora americana e prendersi l'eredità
A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarellina da mangiare?
(Toto' in "Fifa e Arena")
Ha fatto il monaco
cercatore, per cercare di rimediare qualcosa da mangiare, per lui e
per i “figli della provvidenza”, fino ad arrivare al castello del
marchese de Lattanzis
Abbiamo vegliato la salma per tutta la notte: è stato un veglione.
(Toto' in "Il monaco di Monza", 1963)
Ben prima che lo
scoprissimo dalle inchieste giudiziarie come Tangentopoli, aveva
raccontato della spartizione degli appalti
Do ut des, ossia tu dai tre voti a me, che io do tre appalti a te. (Antonio La Trippa, alias Toto' in "Gli onorevoli")
Erano film che
facevano e fanno ridere, nonostante le cattive recensioni dell'epoca
(e la scarsa attenzione della Rai che si è ricordata di Totò solo
ieri sera, con I soliti ignoti di Monicelli).
Battute facili,
volgari per l'epoca. In tanti storcevano il naso.. Eppure alcuni suoi
film furono colpiti dalla censura, come Totò e Carolina, sempre di
Monicelli.
Il poliziotto che
salva una ragazza rimasta incinta, scambiata per una prostituta e che
intende suicidarsi. Troppo per la morale bigotta dell'epoca.
Quella per cui si
fa ma non si dice, delle feste di Capocotta, delle famiglie felici,
del clero preconciliare. Degli Andreotti e degli Scelba.
Totò ci ha
insegnato che per andare dove dobbiamo andare, serve sapere dove
dobbiamo andare
Al vigile milanese: "Bitte, scien noio volevon savuar l'indiriss ja!!! parla italiano... molto bene... noi vorremmo sapere per andare dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare".
(in "Totò, Peppino e la Malafemmina")
Che a Milano, che
non fa così freddo, quando non ci si vede, è perchè c'è la
nebbia:
Castellani: "A Milano quando c'è la nebbia non si vede!".
Totò: "Ma come facciamo a capire che c'è questa nebbia se non si vede?!".
(in "Totò, Peppino e la Malafemmina")
Ma, soprattutto, ci
ha insegnato a ridere, ci ha fatto il dono della risata. Un dono
generoso da parte di una persona che era principe veramente: figlio
riconosciuto di un nobile napoletano, cresciuto povero e rimasto
povero anche quando divenne molto ricco.
Ricco e generoso,
di quella generosità che non ha bisogno di essere ostentata. Girava
per i quartieri di notte, mettendo delle banconote sotto la porta dei
bassi, come regalo.
Ancora oggi,
possiamo solo dirti (mi permetto il tu) grazie!
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Mi raccomando, siate umani