17 giugno 2017

La staffetta letteraria per Paolo Borsellino

Passo ogni giorno davanti a una camionetta dell'esercito dove, da mesi, due militari piantonano piazzale Loreto, mitragliatore in mano. Sono lì per la mia sicurezza, per quella dell'intero quartiere, dopo l'ennesimo fatto criminale che ha mandato in fibrillazione i quotidiani nazionali, in una eccitazione mediatica fuori controllo, pornografica, che ha trasformato via Padova, la strada dove abito, in una specie di inferno in terra. Nulla di più lontano dalla realtà, ma questa è un'altra storia.
Passo davanti, dicevo, e mi accorgo ogni volta di tenere lo sguardo basso, di incassarmi nelle spalle, quasi volessi scomparire dal loro campo visivo. Non mi sento sicuro, insomma. E non c'è ragione ovviamente. Passo e mi tornano in mente le parole di Leonardo Sciascia quando diceva che gli italiani, di fronte alle istituzioni, si sentono sempre in colpa. E' vero, non è militarizzato le strade che sia una città più sicura, come dissi al mio sindaco quando chiesa il governo la presenza dell'esercito.
Ci vuole cultura del territorio. Nel territorio. Resta il fatto che quei ragazzi che non mi hanno fatto niente è che io non ho alcun motivo per sospettare di loro.


La racconta “L'agenda ritrovata” inizia con questa riflessione, che potete leggere nella prefazione.
I militari in piazzale Loreto. La sensazione di insicurezza, come di un qualcosa che non dovrebbe essere lì. Un paradosso, visto che parliamo di militari mandati lì proprio per dare un messaggio di sicurezza contro la criminalità.
Cosa c'entra tutto questo con Borsellino? E cosa c'entra questa raccolta col magistrato morto a Palermo 25 anni fa?

Poteva venire in mente solo ad un matto, in senso buono si intende, come lo scrittore milanese Gianni Biondillo, di ricordare questo 25 esimo anniversario delle stragi dei magistrati Falcone e Borsellino, con una staffetta letteraria composta da sette racconti. Una staffetta letteraria e anche una staffetta nel senso letterale del termine. Assieme all'associazione culturale l'OraBlu, che da anni lavora per fare cultura nella provincia milanese, a Bollate, si sono detti: perché non ricordare Paolo Borsellino con una staffetta dal nord al sud del paese, in bicicletta, facendosi accompagnare in questo viaggio dai racconti di sette scrittori?
Tappa dopo tappa, racconto dopo racconto, questo viaggio che è iniziato questa settimana a Milano, dovrebbe raccogliere testimonianze, aiuti. Fare memoria, fare cultura, dal basso, a partire dalla società civile.
In questo viaggio letterario, Gianni Biondillo ha chiesto l'aiuto di un altro scrittore, di Bollate anche lui.
Gli  autori dei racconti sono:
  • Helena Janeczek
  • Carlo lucarelli
  • Vanni Santoni
  • Alessandro Leogrande
  • Diego de Silva
  • Gioacchino Criaco
  • Evelina Santangelo.

L'altra mattina mia figlia mi ha chiesto come mai i soldati che piantonano la Piazza fossero tutti di origine meridionale. I ragazzi fanno sempre le domande giuste. Io dovrei saperlo, dopo tutto, come ho fatto a non rendermene conto? Preso dai miei timori atavici, ideologici, m'incupivo di fronte alle uniformi, dimenticandomi dei ragazzi che le indossavano.
Ci sono posti d'Italia, le ho detto, dove non sempre puoi decidere della tua vita, dove per vivere, spesso per sopravvivere sei obbligato a scegliere. Come è capitato ad alcuni miei cugini, o amici, chi è arruolato, chi spacciatore.
Fra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 non sono morti soltanto due uomini straordinari, due eroici magistrati, due persone che volevano raddrizzare la schiena e l'orgoglio di una nazione compromessa. Nell'attentato di Capaci sono morti oltre a Francesca Morvillo - la moglie di Falcone, magistrato anche lei - i tre agenti di scorta Vito Schifani Rocco Dicillo Antonio Montinaro. E nella mattanza di via D'Amelio hanno perso la vita Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sardi, pugliesi, siciliani, uno persino immigrato dall'Australia.
Forse alcuni di loro credevano nel l'idea di servire la patria. O avevano un'ammirazione per il magistrato che dovevano proteggere. Altri, più semplicemente, volevano fare un lavoro onesto, pagare l'affitto, sposarsi, programmarsi una vacanza al mare con gli amici.
Qualunque siano state le loro ragioni sono morti per difenderle. Sono morti per difendere la dignità di tutti noi. Per difenderci.Questa ciclo staffetta, questo gesto gesto semplice e naif, puerile e romantico, è un cammino sulla spina dorsale di una nazione troppo spesso indifferente. Per ricordarci che la nostra, di schiena, deve restare dritta, se vogliamo guardare negli occhi col giusto disprezzo che ci vuole in ginocchio.
Il futuro è fatto di memoria.
Resto ovviamente dell'idea che sia la cultura e non l'esercito a rendere sicure le città. Ma da qualche tempo quando passo in Piazzale Loreto, ascolto i militari chiacchierare fra loro, cercando di riconoscerne l'origine della cadenza. (Quasi sempre quella di mio padre.)
Sono ragazzi. Sono lì per la Patria o per lo stipendio. Sono lì per me. Li ascolto e sorrido.[Dalla prefazione di Gianni Biondillo – L'agenda ritrovata Feltrinelli editore]

Mi rendo conto che oggi è anche il 17 giugno, anniversario dell'infrazione al Watergate, il palazzo a Washington sede del Partito democratico americano. Seguendo l'infrazione, la pista del denaro che partiva dai cinque ladri che stavano piazzando delle microspie contro i democratici, i due giornalisti del Post Bob Woodward e Carl Bernstein hanno ricostruito uno degli scandali politici più gravi della storia americana, lo scandalo Watergate che portò all'impeachment del presidente Nixon.
Forse non c'entra nulla con la storia di Falcone, con la morte di Borsellino e degli agenti della scorta.
Ma se questo paese non ha memoria, se è costretto a vivere dovendo fare i conti con i troppi punti neri della sua storia, con i ricatti di qualcuno che sa e che usa i suoi segreti (magari proprio quelli sottratti a Borsellino, quelli che egli scriveva sulla sua agenda rossa, quando vide muoversi la mafia in diretta nei 55 giorni tra Capaci e D'Amelio) è anche colpa di chi ha raccontato la storia di quei giorni fermandosi alle apparenze. Alle verità di comodo. Colpa di un sistema di informazione che non ha fatto il suo lavoro. Colpa di una classe politica che ha posto i due magistrati sull'altare della retorica, continuando a coltivare i suoi rapporti con la mafia.
E raccontando a noi cittadini la favola della lotta alla mafia, della vittoria dello Stato, sancita dai processi e dalle condanne all'ergastolo. Tutto vero, peccato che uno di questi processi sia nato da un depistaggio dello stesso Stato (il finto pentito Scarantino, creato dal poliziotto Arnaldo La Barbera).
Peccato che le condanne abbiano colpito quasi solo l'ala militare di cosa nostra.
Ci hanno trattato come bambini. Bambini che devono essere rassicurati.
Che è poi lo stesso che accade oggi, quando, per placare la paure per la sicurezza delle persone (alimentate dagli stessi giornali, dai nostri stessi amministratori) si mettono i soldati sulle strade, nelle piazze.

Come vedete, tutto è collegato.

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