28 febbraio 2020

Presadiretta – cambiamo la scuola (si può e si deve)

L'anteprima della puntata è stata dedicata alle sigarette elettroniche: sono meno pericolose di quelle normali? Se uno le usa, poi smette di fumare ?

In America 25 persone (che usavano queste sigarette) sono morte, ma non per le sigarette elettroniche in sé, ma per il contenuto liquido che veniva inalato.
Sono presenti sul mercato da un decennio e sono state pensate per distogliere dall'uso delle sigarette normali: molti dei consumatori usano la versione con nicotina, che dà dipendenza.
Oltre a questo, ci sono i metalli pesanti che sono inalati dal fumatore e cambiano anche la qualità dell'aria: tra questi anche le formaldeide, sostanze tossiche per l'organismo.

I produttori sostengono che con le sigarette elettroniche abbattono le sostanza tossiche del 90%, che è un buon risultato.
Ma solo il 14% dei fumatori ha smesso di fumare le sigarette normali, secondo i dati della sanità: c'è un altro dato preoccupante e che riguarda l'uso che ne fanno i giovani.

Il mercato ha un giro d'affari da 600ml di euro, con una tassazione più bassa rispetto alle sigarette normali, questo le rende molto accattivanti, anche tra i ragazzi che non hanno mai fumato.

Le sigarette col tabacco riscaldato sono sigarette che fanno un aerosol col tabacco: nessuna combustione, per le sigarette prodotte da Philip Morris, che le intende per far smettere di fumare le persone.
Ci sono rischi inferiori, rispetto alle sigarette a combustione, ma il rischio rimane: al momento sono 600mila gli italiani che le usano.

I ricercatori dell'istituto nazionale dei tumori le hanno studiate e hanno scoperto che anche queste ultime emettono formaldeide nell'atmosfera, ma meno rispetto alle sigarette.
In Italia le sigarette riscaldate hanno una tassazione inferiore a quelle normali: dovremmo favorire chi smette di fumare, sostiene il governo, che però ha lasciato la tassazione così com'era.

Cambiamo la scuola di Sabrina Carreras

Della scuola si dovrebbe parlare tutto l'anno, non solo ora che sono chiuse per il coronavirus: Presadiretta stasera si dedicherà alla didattica, per capire se sono sempre adeguate per formare studenti competenti.

La vecchia didattica è quella dell'insegnante alla lavagna e gli alunni che prendono appunti. Nozioni da studiare e ripetere e che poi si dimenticano.
E' questa la lezione corretta? L'apprendimento profondo non si dovrebbe fare così ci dice la scienza: gli studenti non possono essere tenuti inchiodati ai banchi, senza partecipazione non si impara veramente.

Presadiretta è andata in Finlandia per capire come si insegna: niente studi serrati, niente stress, ma si mette al centro la partecipazione dei ragazzi, che sono stimolati nel capire.

Ma ci sono tante Finlandia anche da noi: scuole dove si fa una didattica in modo diverso che la giornalista Sabrina Carresas ha visitato.

Alessio Pigali ricercatore, Francesca Colavita la biologa, Samantha Cristoforetti l'astronautica: hanno in comune aver studiato nella scuola pubblica che ha prodotto tante eccellenze.
Ma oggi, secondo l'OCSE, solo un alunno su 20 sa comprendere un testo.
Racconta Roberto Ricci, direttore delle prove Invalsi: “oggi dalla scuola secondaria escono persone non formate, la vera sfida è alzare l'asticella dell'apprendimento per tutti in modo omogeneo”.
Eppure gli studenti italiani studiano molto: la giornalista ha ascoltato alcuni studenti romani, che raccontano di settimane di stress, di lezioni in cui si ascoltano contenuti di continuo in modo filato, col rischio di distrarsi.
Gli studenti vorrebbero studiare meglio, non meno: la scuola si è fermata alla riforma Gentile del 1923, racconta Daniele Grassucci di Skuola.net
Banchi allineati di fronte ad una cattedra, una impostazione frontale, dove uno parla e gli altri ascoltano.
Oggi le informazioni le hanno tutti, è passato un secolo dal 1930, va sviluppato lo spirito critico, la capacità di fare domande: i ragazzi hanno bisogno di innovazione, non devono chiedersi perché andiamo a scuola.
Gli studenti non devono assimilare le nozioni, come dei registratori, per poi buttarle fuori.

C'è bisogno di cambiare l'insegnamento in modo radicale – raccontano i ragazzi della rivista Lo scomodo: la lezione tradizionale non è il modo migliore per imparare, ci dicono le neuroscienze.
Ogni volta che si impara qualcosa si creano neuroni: la ripetizione va bene, ma serve anche l'esperienza, ovvero la possibilità di ripetere una esperienza di persona.
Per esempio ripetere un test in modo attivo e non solo vedere il tecnico di laboratorio che lo fa e osservarlo.

A Parma, studiando il cervello delle scimmie hanno scoperto che ci sono neuroni “specchio” che si attivano quando si apprende per imitazione, vedendo qualcuno che fa qualcosa e ripetendolo.

Esperienze pratiche, imparare dagli altri, in gruppo: c'è poi da tener conto la capacità di apprendimento dei ragazzi, il tempo di concentrazione oggi diminuisce sempre di più.
Oggi i ragazzi sono bombardati da stimoli e dunque non riescono a rimanere concentrati per troppi minuti: devono essere motivati, costruendola con lo studente, sfidandolo nel fare qualcosa.

LE scuole che sperimentano la didattica: capovolgere la scuola!

A Bari, all'istituto Pietro Sette, la giornalista ha intervistato i ragazzi che si sfidavano in forma di dibattito: non sono interrogazioni ma sono più simili a delle gare e i ragazzi si sentono stimolati in prima persona.
Durante le lezioni di Debate i ragazzi sono divisi in due squadre: la prima deve portare avanti una tesi e la seconda la deve confutare.
Il professore deve fare da arbitro: il dibattito è una palestra di cittadinanza, dove si sta in gruppo, si fa una analisi critica su un argomento, non si impara a pappagallo.

Il professor Leone, insegnate di lettere, usa questo metodo da anni: questo apprendimento rimane nei ragazzi per tutta la vita, stanno lavorando a questo progetto con tanti altri insegnanti e sta appassionando sempre più i ragazzi.
Sono 60 le scuole che usano il metodo Debate: ma al Pietro Sette si trova un'altra differenza rispetto alle scuole tradizionali, ovvero la classe capovolta.

In classe i ragazzi fanno domande sui contenuti, in gruppi, in modo creativo, su argomenti assegnati dal docente.
Queste capacità si chiamano soft skills e sono richieste anche nel mondo del lavoro oggi: empatia, capacità relazionali, saper apprendere in modo continuo, saper adattarsi ai cambiamenti, non bastano più le nozioni.

Nella pagella della scuola non si valutano le soft skills: eppure è importante che i ragazzi sappiano adattarsi ad un futuro che oggi non esiste e nemmeno sappiamo immaginare.
È importante sviluppare le soft skills, le competenze trasversali, per essere pronti ad un domani, al lavoro di domani.

Oggi ci stiamo perdendo i ragazzi: il 28% dei ragazzi in Puglia abbandona la scuola oppure ottiene risultati da terza media.

Il professor Manni dell'IISS Costa, insegnante di informatica, insegna in gruppo: i ragazzi lavorano come fossero delle startup, ciascuno con le sue idee, che i ragazzi portano avanti.
Per interesse personale, per soddisfazione personale, non perché te lo dice l'insegnante.
“Deve essere il docente che si adegua ai ragazzi” racconta il professor Manni, “anche usando il loro linguaggio”.

Al centro di Modena è un funzione un centro di ricerca che insegna ai dicenti come usare la tecnologia, che si chiama FEM.
Si sfruttano le tecnologie per insegnare, cominciando anche dall'arredamento, con banchi mobili, con poltrone comode, non più le vecchie sedie.

Anche ad Ancona si incontra un'esperienza simile, all'istituto Savoia Benincasa: classi “capovolte”, docenti che si sono messi in gioco (e docenti che si sono trasferiti altrove), banchi con le ruote per spostarsi.
La scuola dà la possibilità di usare macchinari moderni ai ragazzi, che non si annoiano, si sentono coinvolti perché stimolati a pensare, ad agire.

L'innovazione funziona, perché questi ragazzi prendono voti alti: perché queste esperienze non si mettono a fattor comune e si espandono in tutto il paese?
Manca la formazione dei docenti, che non sempre sono disposti a mettersi in gioco, spesso sono demotivati (e come si può pretendere che poi gli studenti lo siano?) e mal pagati.

Antonello Giannelli, presidente dei presidi in Italia, ha scritto un libro: Rivoluzionare la scuola con gentilezza, racconta che servirebbe una rivoluzione nella scuola.
Si prendono supplenti precari nella scuola, mentre dovremmo reclutare i docenti direttamente da parte dei dirigenti scolastici, previa poi una valutazione.
Per questa rivoluzione servirebbe anche maggior coraggio da parte della politica.

La Finlandia sforna gli studenti più bravi nel mondo: sono studenti che escono dalle scuole pubbliche e c'è poca differenza tra i più bravi e gli altri.

Obiettivo della scuola è creare persone che sappiano ragionare, pensare, in modo indipendente: sono scuole con aule pensate per gli studenti, ergonomiche, dove gli studenti partecipano in gruppo, sono stimolati a fare domande, ad aver un senso critico.
A casa si studia poco, il tempo libero è dedicato al gioco o per stare con gli amici: si lavora intensamente in classe, ma poi fuori dalla scuola si deve essere liberi per i propri hobby.
E' meglio studiare con la mente aperta e le labbra aperte, che con la mente chiusa – racconta un docente.

Gratitudine, comunità, prendersi cura: sono queste le parole chiave della scuola, dove ciascun studente ha un laptop, senza che le famiglie paghino una retta.
In Finlandia i voti li danno i docenti ma anche gli studenti: i voti vanno da bravo a bravissimo, non ci sono voti negativi, perché si tiene in considerazione anche lo sforzo messo dai ragazzi.
Studiare tante ore per tanti giorni non serve e non viene premiato: dobbiamo mangiare bene, divertirsi, questo è importante, non si creano ragazzi stressati.

Il principio è che gli studenti vogliono imparare: il 93% dei ragazzi si diploma e poi prosegue all'università, ma chi rimane indietro non viene abbandonato, ma può riprendere gli studi in qualsiasi momento.
Altra parola chiave, la fiducia: nei docenti, negli alunni.
Qui gli insegnanti sono scelti dai presidi e sono sottoposti ad un continuo aggiornamento: in Finlandia è un lavoro molto popolare, a cui si accede selezionando i migliori.

La Finlandia investe nell'istruzione il 5% del PIL (il doppio dell'Italia), ma nel futuro investiranno ancora di più, perché intendono alzare l'obbligo ai 18 anni.
La scuola pubblica ha un ruolo sociale, costruisce una comunità per cambiare in meglio la faccia del paese.

Dalla Finlandia a Salerno: Presadiretta è andata nel piccolo paese di Palomonte, dove hanno voluto creare una nuova scuola.
Una scuola aperta di giorno per gli alunni, la sera per gli adulti, una scuola sponsorizzata da Ficarra e Picone.

Questo borgo del 1100 è stato distrutto dalla ricostruzione post terremoto, una colata di cemento lo ha cambiato in un non luogo.
La comunità di Palomonte si è spostata a valle, in frazioni diverse: a Palomonte ci sono due scuole, a valle c'è un plesso nuovo ma non è sufficiente per tutti.

Nella scuola media comunale non c'è un cortile, se fa freddo si ghiaccia la scala che porta alla zona palestra, mancano i proiettori per mostrare immagini agli studenti.
Tutto questo si traduce in mancanza di opportunità per gli alunni – spiega il preside: i ragazzi, di fronte a queste carenze di mezzi, si scoraggiano, rimangono indietro, pensano che la scuola non offra opportunità, non offra nullo di interessante.

La sfida di Palomonte è avere una scuola unica: mancava il progetto da presentare a Roma così hanno pensato ad un nuovo modello, progettato da uno studio di architetti veneziani.
Pareti mobili, materiali eco sostenibili, una scuola aperta ai cittadini, una piazza dove far incontrare i cittadini.

Antonello Caporale, giornalista del Fatto Quotidiano, è originario di Palomonte: si è innamorato del progetto, di questa scuola che fa comunità, che si da linfa per una nuova società.
Alla presentazione del progetto era presente anche il ministro della coesione territoriale, Giuseppe Provenzano: “Palomonte deve avere una scuola di qualità come una qualsiasi scuola del nord”. Questo governo dovrebbe investire nelle infrastrutture scolastiche, al ministero di Provenzano stanno riprogrammando i fondi di investimento per trovare risorse da usare nel territorio, nella scuola.

La scuola comunità di Palomonte costerà 6 ml di euro: speriamo che faccia da battistrada per altri istituti scolastici nei piccoli paesi che meritano le stesse chance delle grandi città.

Presadiretta ha poi parlato del percorso dell'Appia Antica, da ristrutturare, da salvare dal cemento, dalle discariche, dagli ecomostri: un percorso dentro la nostra storia.

La prossima puntata sarà dedicata al terremoto in centro Italia, alla situazione dei comuni terremotati dalle scosse del 2016, dove tutto è fermo.
2 miliardi di euro stanziati, sono stati spesi solo 49ml: le persone sono ignorate da tutti, sono fantasmi....


Le inchieste di Presadiretta: cambiare la scuola

In questi giorni in cui siamo alle prese con l'infezione da coronavirus, abbiamo avuto modo di apprezzare il nostro sistema sanitario che, pur con tanti difetti (le inchieste sulla corruzione, le disparità tra nord e sud..) garantisce a tutti i livelli essenziali di cura, senza bisogno di presentare la carta di credito.
Dopo la sanità, un altro baluardo della nostra democrazia deve essere la scuola: una scuola laica, pubblica, di alto livello, che garantisce a tutti meritevoli la possibilità di raggiungere i massimi livelli di istruzione.
Così dice la nostra Costituzione, ma sappiamo bene che non è così: un servizio di Report dello scorso anno aveva raccontato come in Italia sia vigente una sorta di federalismo al contrario.
Le regioni e i comuni del sud che avrebbero bisogno di maggiori risorse per fornire quei servizi essenziali che mancano, sono quelle che ricevono meno risorse dallo Stato per tenere in piedi scuole, biblioteche, i servizi nei comuni.


Questa sera Presadiretta, in prima serata di venerdì (per scelte di palinsesto), racconterà le scuole che in Italia hanno deciso di cambiare radicalmente la didattica: far studiare meno gli alunni ma meglio e fare in modo che la motivazione venga dagli studenti stessi.
Lo spiega Riccardo Iacona nell'anteprima stessa del servizio (che trovate sugli account social della trasmissione): "dobbiamo rimettere al centro del progetto educativo le ragazze e i ragazzi, protagonisti della loro vita".

Cambiare la scuola significa rimettere in modo l'ascensore sociale, non lasciare nessuno ai margini, spendere di più e meglio i soldi per l'istruzione, riportare i presidi alla loro funzione naturale e non solo più supermanager che devono solo badare ai conti.
E' un investimento sul nostro futuro.

La scheda del servizio: Cambiano la scuola  
L’ultimo rapporto dell’Ocse Pisa, che valuta i livelli di istruzione degli studenti nel mondo, segnala che gli studenti italiani sono ormai agli ultimi posti per le competenze scientifiche e nella comprensione del testo, leggono e non capiscono. Solo uno su venti sa distinguere i fatti dalle opinioni.
Qualcosa nel nostro sistema scolastico non funziona più: la scuola ha smesso di essere un ascensore sociale.Gli studenti e gli insegnanti chiedono una nuova didattica, capace di superare la lezione tradizionale basata soltanto sulla trasmissione dei contenuti ma che metta al centro lo studente come protagonista attivo del suo percorso di studi.E poi le testimonianze degli scienziati e pedagogisti che supportano la necessità di innovare la didattica nella nostra scuola.PresaDiretta ha visitato le scuole più innovative, al nord e al sud del Paese. Ma quanti sono davvero gli innovatori delle nostre scuole?Riescono a fare sistema o si tratta di eccezioni? PresaDiretta è andata anche in Finlandia, un modello studiato in tutto il mondo che ha scommesso sugli insegnanti. Con quali risultati?  CAMBIAMO LA SCUOLA è il racconto della nostra scuola e della sfida di cambiare e rinnovarsi.

“CAMBIAMO LA SCUOLA” è  un racconto di Riccardo Iacona con Sabrina Carreras, Elisabetta Camilleri, Pablo Castellani, Fabrizio Lazzaretti.

27 febbraio 2020

Il cambiamento di vento





In fondo a nessuno importava veramente dell'emergenza coronavirus: virologi, politici sovranisti e politici dell'opposizione interna al governo, giornalisti da microfono, tuttologi vari .. tutti hanno usato l'emergenza per fini personali.
Chi per attaccare il governo e le sue scelte, chi per farsi bello sperando in un incarico in una delle strutture messe in piedi per l'emergenza, chi per fare audience giocando con le paure degli italiani.
Chi sperava in un bel governo di emergenza con dentro tutti, un Monti bis, per far passare qualche nuova porcheria.
Chi ha speculato su mascherine e altro..

Siamo passati in pochi giorni dalla presunta strage al niente panico.
Siamo passati dal blocco quasi totale di Milano al "mica possiamo bloccare la locomotiva d'Italia".
Fossimo persone razionali ci chiederemmo cosa è cambiato in pochi giorni dal poter riaprire i bar.
E fossimo razionali non ci metteremmo le mascherine per fare le dirette facebook come ha fatto il governatore Fontana.
Niente panico perché altrimenti ci rimettiamo il PIL che poi, tradotto, significa che quella parte del paese che ci avrebbe perso soldi, dai commercianti agli albergatori, alle grandi imprese.
Milano rivuole la movida e l'aperitivo.
E il principio cautelativo per cui prima viene la salute delle persone?

Fa niente, abbassiamo i toni, facciamo come a Taranto, dove le persone si ammalano ma nessuno dice niente.
Mentre fino a martedì la homepage di Repubblica riportava il numero dei nuovi contagiati, oggi si riportano le persone guarite.
E il gioco è fatto.
Perché in fondo per molti, è solo un gioco.

Il sangue dei padri di Giuseppe Fabro



Prologo 
29 giugno 1946 
Elvira apre le imposte e l’aria della notte rinfresca la stanza. Da via di Canneto il Lungo, nel cuore storico di Genova, sale un odore umido di pioggia e arrivano voci di grida lontane: contrabbandieri o giocatori di dadi, forse. Poi la donna torna accanto a Giorgia, le posa una mano sulla fronte e le asciuga il sudore. 
«Ma quando finisce!» geme Giorgia. 
E' in travaglio da ore e il dolore assomiglia a una cintura irta di spine che si conficcano nei fianchi.

Parte bene questo romanzo, una sorta di Romanzo criminale nei vicoli della Genova degli anni sessanta, tra biscazzieri, prostitute, ladri, un universo che De André ha raccontato nelle sue canzoni.
Qui sono cresciuti quei ragazzi nati alla fine della seconda guerra, tra le bombe e le violenze quotidiane del conflitto e che ora hanno fame di prendersi tutto.
Alcuni di loro sono proprio l'emblema delle cicatrici lasciate dal conflitto: il Moro ad esempio, il bambino che sta nascendo nel prologo del romanzo, è figlio di uno stupro subito dall'allora minorenne Giorgia da parte di un soldato di colore americano.
Moro, come il colore della sua pelle.

Altri invece la ferita se la porteranno sempre, anche se non si vede: Vittorio è figlio dell'amore nato tra una ragazza e un soldato tedesco, in quel tremendo inverno del 1944.
Il figlio del tedesco lui, una reietta lei, respinta dalla famiglia e lasciata sola col suo fardello.

Vittorio e il Moro sono i primi due protagonisti della storia, uniti entrambi da quel marchio che i rispettivi padri, che non hanno mai conosciuto, hanno impresso su di loro
Il primo è figlio della passione ricambiata di sua madre per un ufficiale tedesco, ucciso nell’attentato partigiano al cinema Odeon nel maggio del ’44. Il secondo è frutto dello stupro di un “liberatore” americano di colore.

Un padre lo ha avuto, invece, Caio. Si chiama proprio così, Caio Bianchi, il terzo protagonista del romanzo criminale: ma per lui sarebbe stato meglio non averlo.
Manesco, frequentatore delle bische clandestine, sin da piccolo Caio ha visto il padre mettere le mani addosso alla madre, Carla.
Fino al giorno in cui ha deciso di diventare grande e dare una lezione a quell'uomo e riprendersi tutto quello che la vita gli aveva tolto.
Caio e Pumas sono parte di un manipolo di ragazzi formatosi da meno di un anno. Hanno dimostrato l’un l’altro di essere audaci e aggressivi. Si sono giurati lealtà e tra loro si chiamano fratelli.

Assieme alla sua banda, che fino a quel momento si era dedicata a piccoli furti nei vicoli, decidono di fare un salto di qualità: taglieggiare le bische imponendo una sorta di pizzo e lanciarsi nelle rapine a banche e poste.
Un solo credo, fare soldi e diventare sempre più potenti: «Non credo in dio. Vedo la malvagità degli uomini» è quello che dice a don Andrea, una sorta di prete degli ultimi che aiuta i ragazzi di strada (e che ricorda da vicino don Andrea Gallo).
Sulla nave aveva conosciuto don Andrea, al tempo con funzione di parroco, che l’aveva preso a benvolere. Il sacerdote discuteva volentieri con lui e gli aveva insegnato a giocare a scacchi.

Il romanzo racconta le gesta criminali di queste due bande: quella di Vittorio e Moro che si dedicano a piccoli furti nelle case, finché il Moro non viene arrestato e condannato a qualche anno di carcere e spedito nell'isola di Capraia, la colonia penale
30 giugno 1965 Colonia penale di Capraia Carissimo Vittorio, mi ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera. Come sai, sono su quest’isola da qualche settimana, e dovrei starci per un bel po’…

Dall'altra parte, le gesta sempre più estreme, sempre più violente, sempre più ardite, della banda di Caio, nella loro ascesa nel diventare la banda più importante di Genova.
Ma il crimine non è come il cielo, non è infinito e qualcuno, nelle forze dell'ordine, polizia e carabinieri, li stà già tenendo d'occhio.
E' come se leggessimo due storie di criminali che, per un destino strano e tragico, si riuniranno alla fine.

Forse poteva essere sviluppato meglio questo giallo in cui ritroviamo, in sottofondo alle storie, la Genova cantata da De André e in cui compare come cameo il grande Don Andrea Gallo: in particolare i caratteri dei protagonisti avrebbero potuto essere sviluppati meglio per renderli un po' meno scontati.
Non esprime nessun giudizio su di loro l'autore: non è questo un giallo con buoni e cattivi, sono tutti colpevoli di qualcosa e su tutti pende il confronto coi padri e con le loro storie.
Storie che affondano negli anni e nella violenza della guerra, nella guerra partigiana, nelle vendette contro i tedeschi e con chi collaborava con loro.

Non poteva che terminare con queste strofe, prese dall'album La Buona novella di Fabrizio De André
Non posso pensarti figlio di Dio, ma figlio dell'uomo, fratello anche mio”

La scheda del libro sul sito di Rizzoli
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

26 febbraio 2020

Cosa lascerà questa crisi


L'esperimento di quarantena, almeno qui a Milano, potrebbe cessare: non si sa quando, ma qualcuno deve aver realizzato quali sono gli effetti di scuole, bar, cinema, università chiuse.
Di eventi bloccati, del clima di allarmismo che, da fuori dell'Italia, porta ora ad una situazione di isolamento.
Si è passati, qui in Lombardia, da rischio Wuhan a “è poco più di una influenza”.

Conviveremo con questo nuovo virus per mesi, sperando solo che l'isteria, l'ansia del raccontare gli eventi davanti gli ospedali, diventi solo un brutto ricordo.
Chissà, ora passeremo dalla cronaca dei numeri dei contagiati, ai numeri del PIL in calo, dei mancati guadagni dei commercianti, ai mancati introiti per le prenotazioni saltate per lo spostamento della fiera del Mobile.
Dimenticandoci che, come tutte le crisi, anche questa colpirà le persone in modo asimmetrico: ci sono quelli che possono starsene a casa, con tanti disagi.
E quelli che già erano in situazione di crisi che staranno ancora peggio: per esempio i lavoratori della gig economy, di cui ne parla oggi Robecchi sul Fatto Quotidiano.
Ci sono i tanti tavoli delle crisi aziendali, l'Ilva, Alitalia, i terremotati in centro Italia ..

25 febbraio 2020

Disinformavirus

Con una decisione poco felice, ieri sera la Rai ha deciso di spostare a lunedì prossimo la puntata di Presadiretta, dedicata al terremoto in centro Itaila del 2016 (e la ricostruzione che non parte), per far spazio ad un approfondimento sul coronavirus.
Peccato, poiché di quell'approfondimento ne avremmo anche fatto a meno: nel corso di questa sorta di Agora serale ho rivosto gli stessi esperti (da Ricciardi a Borrelli) ripetere le stesse cose sentite e risentite in tutti i TG.
A che serve mandare i giornalisti davanti gli ospedali a ripetere i soliti numeri?

Questo è il concetto di informazione in Italia a quanto pare, e se poi le persone reagiscono "di pancia", pazienza.
Il peggio deve ancora arrivare: la politica sta già usando questa emergenza per regolare i suoi conti.

Nel frattempo, nel mondo e in Italia, succedono delle cose: la condanna per Harvey Weinstein, la strage per fortuna non riuscita in Germania per carnevale a Volkmarsen.

24 febbraio 2020

Il momento di stasi

L'espansione del contagio da coronavirus raccontata in tempo reale.
Quanti nuovi casi? Dove? Quanti morti?
E, come riflesso, la reazione delle persone a questo bombardamento: come pensate che avrebbero reagito gli italiani?
L'assalto ai supermercati, la corsa ad arraffarsi mascherine e altri palliativi.

In attesa che si capisca qualcosa (il paziente zero, che legami ci sono tra i vari contagiati), alle persone viene detto di starsene al chiuso.
E aspettare.
Si sta scaricando tutto sui punti di accesso primari del sistema sanitario, cominciando dai nostri ospedali che già non sono messi bene.
E quando anche questi andranno in crisi?

Vediamo come va a finire, così pensano le persone che incontri in giro, molte delle quali vivono questo momento come fosse una parentesi, un momento di transizione che però non sappiamo quanto durerà e dove ci porterà.

Le inchieste di Presadiretta – il terremoto dimenticato


Presadiretta ha fatto il suo nodo al fazzoletto, Riccardo Iacona e i giornalisti della trasmissione non si sono dimenticati il terremoto di tre anni e mezzo fa in centro italia (e le poi le scosse nei mesi successivi): interi paesi tra il nord del Lazio, le Marche, l'Abruzzo e l'Umbria cancellati, spariti, distrutti.
Questo terremoto ha subito lo stesso processo di tante altre tragedie: prima la commozione, lo stare tutti uniti, poi le promesse, una ricostruzione celebre, il “mai più”, un piano straordinario per la messa in sicurezza e poi, piano piano, l'oblio, il dimenticarsi delle macerie, delle persone lasciate lì, la ricostruzione ferma.

Come per l'Aquila, come per altre vicende che hanno sconvolto aree fragili di questo nostro paese, reso ancor più fragile dalle cattive costruzioni e dalla sciaguratezza di molti costruttori.

Il terremoto dell'estate del 2016 ha coinvolto un'area di 8000 km quadrati, 10 provincie, 4 regioni: Abruzzo, le Marche, il Lazio e l'Umbria.
Sono state quattro le scosse che hanno squassato questo pezzo d'Italia: dalla prima di agosto, fino all'ultima a gennaio, che colpì le stesse zone già martoriate e già alle prese coi problemi dell'inverno, sotterrate da metri di neve.
E' in quei giorni che un'enorme valanga si distaccò dal massiccio del Gran Sasso per sommergere l'hotel Rigopiano, distruggendolo totalmente e uccidendo 29 persone.

Alla fine si conteranno 49mila sfollati, 388 feriti e 303 morti e oltre 2,5 tonnellate di macerie di rimuovere.
Le telecamere di Presadiretta erano arrivate in queste zone già quattro giorni dopo le scosse del 24 agosto: a Pescara del Tronto aveva mostrato le immagini di un paese distrutto dall'onda d'urto, case crollate l'una sull'altra. Qui 48 persone erano morte sotto le loro case: a tre anni di distanza Pescara del Tronto le macerie sono ancora lì, in attesa di essere rimosse.
Elena Marzano ha intervistato il vice sindaco Michele Franchi: “fa male vedere ancora le macerie e vedere quello che era Pescara e quello che è oggi, ancora tempi certi [per la ricostruzione] non ne abbiamo ..”.
Senza la rimozione delle macerie non può ripartire la ricostruzione.

A Pretare, una frazione, il tempo sembra essersi fermato a quell'agosto: cumuli di macerie, materassi, resti, infissi. Qui vivevano come residenti cento persone, ma il borgo che era chiamato il paese delle fate era così bello che erano tante le famiglie, originarie del posto, che d'estate tornavano in queste zone, ai piedi del monte Vettore.
Tra questi Romolo Trenta, un architetto di queste zone: in piedi, nel borgo, sono rimaste in piedi una decina di case – racconta alla giornalista. Oggi sta cercando di dare il suo contributo alla ricostruzione, prendendo in mano le pratiche di una ventina di residenti.

Sta combattendo per far sì che si ricostruisca a Pretare nel più breve tempo possibile: ma anche qui prima si devono togliere le macerie.
“Ma quanto ci vuole rimuovere le macerie?” - si chiede l'architetto - “ci vuole molto se non abbiamo il pathis di accelerare, io non so che inverno passeremo in paese, questo è un centro dove abbiamo conosciuto la neve alta due metri, e le macerie non le rimuovi”.

Anche a pochi km da qui, nel Lazio, la situazione non cambia: Accumuli è stato l'epicentro da cui è partita la scossa, che poi si è propagata a nord lungo la valle del Tronto, fino ad Arquata, e poi a sud verso Amatrice.
Delle strade, del reticolo di vicoli che contraddistingue questo borgo e che risalgono ai primi decenni del mille, è rimasto poco.
Il crollo del campanile della chiesa di San Francesco qui ha ucciso una famiglia intera, padre madre, un bambino di otto anni e uno di pochi mesi.

Le macerie non permettono di dimenticare i ricordi drammatici: al momento i cantieri aperti sono pochi, ad Accumuli, come a Pescara e anche a Castelluccio di Norcia, un paesino a 1500 metri, in cima ad un altopiano, in cui oggi sono rimaste in piedi solo le case ai margini del paese.
Qui almeno le macerie sono state in gran parte rimosse ma sono in attesa del piano attuativo per la ricostruzione. Dopo tre anni – dicono le persone del borgo – è come se il terremoto fosse arrivato questa mattina.

La scossa di ottobre 2016 ha colpito diversi paesi in Umbria attorno alla zona di Norcia Cascia: hanno lavorato bene qui, dopo il terremoto del 1997 e quello del 1979 e le costruzioni hanno retto: per protesta contro le lungaggini della ricostruzione i cittadini hanno inscenato una protesta, silenziosa e simbolica, esponendo delle lenzuola dalle finestre delle case e dai balconi.


“Se non ci ammazza il terremoto ci ammazza il sistema”, “il nostro futuro dipende da voi, fateci ricostruire”, “sbloccate la ricostruzione, siamo stati dimenticati” ..
Hanno cercato di reagire gli abitanti di queste zone, ma dopo tre anni e mezzo sono arrivati all'esasperazione: “nelle zone attorno all'epicentro fai conto che è come se una persona ha avuto l'infarto, se ti sbrighi si salva, se vai lento non si salva ...”

Il servizio di Presadiretta cercherà di rispondere ai perché che sorgono da queste immagini: perché ancora è tutto fermo?
Cosa si sta facendo sul tema della prevenzione? Si stanno aggiornando le mappe sulle zone sismiche?

Emanuele Tondi, direttore della sezione di geologia dell'università di Camerino, lancia l'allarme: la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale non tiene conto dei terremoti avvenuti anche centinaia di anni fa. Per esempio, il terremoto del 2012 in Emilia è avvenuto in una zona che era ritenuta non a rischio ma dove era già avvenuto un evento sismico 500 anni fa.
Quella zona sulle mappe doveva essere “colorata” sul rosso: quello dell'Emilia non è l'unico caso, racconta al giornalista il sismologo Giuliano Panza che ha citato i casi di Ischia e dell'Italia centrale del 2016.

C'è poi la questione delle norme antisismiche: Paolo Lugarli è un ingegnere strutturale: ha scritto che queste leggi sono solo un atto di fede, sono tutte sbagliate, non garantiscono la sicurezza.
Altre scosse ci attendono, altri lutti, altre macerie.

La scheda del servizio: TERREMOTO INFINITO
Un viaggio di PresaDiretta all’interno del cratere del sisma che ha colpito Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio. L’area più grande mai colpita da un terremoto, con 49mila sfollati, 388 feriti, 303 morti. A tre anni e mezzo dalla prima scossa un pezzo dell’Italia centrale è ancora in ginocchio e rischia di spopolarsi definitivamente.Cosa è successo, perché persino le macerie non sono ancora state rimosse del tutto?Perché la ricostruzione non riesce a decollare?
E poi, le mappe ufficiali che indicano la pericolosità sismica del territorio italiano in che modo vengono tracciate e aggiornate? A PresaDiretta le voci dei più autorevoli geologi e ingegneri sismici italiani che lanciano un grido di allarme: servono mappe più affidabili.
PresaDiretta ha attraversato la gigantesca area del cratere del terremoto, quasi 8mila chilometri quadrati, incontrando sindaci, sfollati, tecnici, cittadini e imprese locali e ha raccolto un lungo elenco di problemi ancora irrisolti.
I terremotati vivono sparpagliati tra hotel, casette prefabbricate e container. Il ripristino della viabilità e delle infrastrutture è molto indietro, pur essendo di importanza strategica per il territorio. I cantieri delle case private, non partono. Le imprese e l’economia di tutta l’area sono allo stremo. E infine norme, procedure e burocrazia paralizzano l’intera catena della ricostruzione.
A PresaDiretta un reportage sul TERREMOTO INFINITO, per provare a restituire la speranza a questo importante pezzo del paese.
“TERREMOTO INFINITO” è un racconto di Riccardo Iacona con Elena Marzano, Giuseppe Laganà, Massimiliano Torchia.


23 febbraio 2020

La sindrome





I titoli dei giornali.
La corsa all'acquisto delle mascherine.
La psicosi aumentata dalla disinformazione, dallo sciacallaggio da parte di tanti che parlano per niente.
I porti chiusi, le polemiche sulla quarantena, l'infezione dai barconi, dalle zanzare, la caccia al paziente zero, ma perché non si pubblicano tutti i nomi degli infetti, il nord produttivo bloccato (sti terroni) …

Il sistema sanitario forse riuscirà a reggere lo stress per gestire l'infezione del coronavirus (Covid 19).
Ma il sistema Italia rischia il collasso se andiamo avanti di questo passo.

Quando passerà la buriana forse qualcuno, nel mondo dell'informazione, della politica, dovrà farsi un esame di coscienza.

PS spero che ora in tanti comprendano l'importanza di un sistema sanitario nazionale, gratuito e, possibilmente, capillare nel territorio.

21 febbraio 2020

Violette di marzo di Philip Kerr



Cose molto straordinarie accadono negli oscuri sogni del Grande Persuasore… 
Stamattina, all’angolo tra la Friedrichstrasse e la Jägerstrasse, ho visto due uomini, gente delle SA, che svitavano una bacheca rossa di «Der Stürmer» dal muro di un edificio. «Der Stürmer» è il giornale antisemita diretto dal più autorevole avversario degli ebrei del Reich, Julius Streicher. L’impatto visivo di queste bacheche, con i loro disegni semi-pornografici di fanciulle ariane strette in abbracci sensuali da mostri dal lungo naso, cerca di attrarre i lettori meno intelligenti, cui offre una certa superficiale solleticazione. La gente per bene non ha niente a che vedere con questa roba. Comunque, i due SA hanno sistemato la Sturmerkästen sul retro del furgone, accanto a parecchie altre. 
Non lavoravano con molta attenzione, perché ce n’erano almeno altre due con i vetri rotti. 
Un’ora più tardi ho rivisto gli stessi due uomini che rimuovevano un’altra di queste Sturmerkästen da una fermata del tram di fronte al municipio. Questa volta mi sono avvicinato e gli ho chiesto che facessero.
«È per le Olimpiadi», ha risposto uno di loro. «Ci hanno ordinato di levarle tutte per non impressionare i visitatori stranieri che verranno a Berlino a vedere i giochi»

Ci sono libri che ti prendono sin dall'inizio e questo, Violette di marzo di Philip Kerr, è uno di questi: è il primo volume della trilogia con protagonista l'investigatore privato Bernie Gunther, ambientato nella Berlino degli anni del nazismo. Siamo nel 1936, alla vigilia delle Olimpiadi che avrebbero dovuto celebrare la grandezza della Germania, risorta dalle sue ceneri dopo la disfatta della prima guerra mondiale grazie all'opera del partito nazional socialista di Hitler che aveva spazzato via la corrotta repubblica di Weimar..
Così almeno secondo la macchina della propaganda che, in quei giorni dell'estate berlinese, stava ripulendo la città da tutto ciò che poteva urtare la sensibilità dei turisti stranieri, come per esempio le prime pagine dello Sturmer, con le sue vignette contro gli ebrei.
Berlino, “la città infestata dei fantasmi” così la definisce in un quadretto impietoso Bernie stesso, l'io narrante di tutta la storia, parlando della violenza delle SS, degli ebrei perseguitati, dell'oppressione della polizia segreta, delle spie capaci di denunciarti per un Heil Hitler mancato, della tanta gente che in cambio di una finta tranquillità, girava la testa dall'altra parte, delle targhette sugli studi dove trovavi avvocato tedesco, per specificare che lì non si ricevevano ebrei....
La polizia, come la costruzione delle autostrade e il fare la spia, è una delle industrie maggiormente in espansione nella nuova Germania

Incontriamo il protagonista Bernie Gunther sin dalle prime pagine: ex poliziotto della Kripo che anni prima ha lasciato dopo che i nazisti avevano cacciato alcuni suoi colleghi colpevoli di non essere abbastanza zelanti col regime.
Come se un buon poliziotto si riconosce da come alza il braccio: non gli va male la vita oggi, un ufficio, nessuna relazione stabile ma tante amicizie ancora all'Alex, la sede della polizia criminale, a cui chiedere qualche informazioni sui casi, specie quelli sulle persone scomparse.
Specie quelli sugli ebrei scomparsi, gli U-Boot
«Di questi tempi faccio di tutto, dalle indagini per le assicurazioni alla guardia ai regali di nozze fino alla ricerca di persone scomparse – sia quelle di cui la polizia non sa niente, che quelle di cui sa già. Sì, è un campo della mia attività che ha visto un vero e proprio incremento da quando i nazionalsocialisti hanno preso il potere». Sorrisi il più affabilmente possibile, e sollevai in modo allusivo le sopracciglia. 
«Suppongo ci sia andata bene a tutti con il nazionalsocialismo, non le pare? Vere e proprie Violettine di marzo».

Non è tipo da tenersi la battuta in bocca, Bernie, specie di questi tempi dove per un nulla si rischia di finire in un campo di concentramento, KZ o, peggio, stecchito sul fondo del fiume Sprea.
Di ritorno dal matrimonio della segretaria, riceve un nuovo incarico, un caso di omicidio, anzi di un duplice omicidio: una coppia uccisa probabilmente a seguito di un furto in casa.
Sono la figlia e il genero dell'industriale dell'acciaio Hermann Six, Grete e il marito Paul Pfarr.
«Era, perché è morta». «Mi dispiace», dissi io gravemente. «Non deve», replicò. 
«Perché se fosse viva, lei non sarebbe qui con la possibilità di fare un sacco di soldi».

Il compito di Bernie è semplice, all'apparenza: il ladro ha rubato dei diamanti preziosi dalla cassaforte (prima di dar fuoco alla stanza) e ora tocca a lui recuperarli, in cambio di una generosa ricompensa, che gli arriverà direttamente dall'assicurazione.
Compito semplice da portare avanti con discrezione senza però voler ficcare troppo il naso nella famiglia Six.
Ma Bernie non è quel genere di investigatore (o di ex poliziotto) che si fa dire da altri come va fatto un lavoro: ci sono tante domande da cui partire nella sua indagine, cominciando da come sia stato possibile che un ladro professionista abbia aperto quella cassaforte e poi abbia ucciso quelle due persone.
C'è da approfondire il rapporto tra il magnate Six e il genero, il primo un nazista per convenienza, come tanti altri imprenditori che del nazismo avevano apprezzato soprattutto l'aver preso a bastonate i sindacalisti.
Mentre il genero era un membro del partito nonché SS convinto, convinto dell'opera moralizzatrice che si doveva porre in atto per stroncare la corruzione nel paese.
Anche all'interno del sindacato dei lavoratori, quello nazista..

Per la sua indagine Bernie Gunther inizia a muoversi nella sua rete di relazioni: dal medico legale che ha guardato i corpi, dai colleghi della Kripo. Perfino dalla seconda moglie di Herr Six, la splendida attrice Ilse Rudel, che gli confida alcuni particolari della coppia uccisa, i litigi e le tensioni degli ultimi anni, forse un amante da parte di lei.

E poi c'è il giro dei gioiellieri, un mondo di avvoltoi che approfittava del clima contro gli ebrei costretti a vendere quel poco che avevano per poter raccogliere del denaro e abbandonare la Germania.
Tutti “violette di marzo”, profittatori del regime, tutti pronti a saltare sul carro del partito per fare rapidi profitti.
Proprio una di queste piste sembra promettente, portandolo addirittura sulle tracce di un grande appassionato di gioielli (e di segreti) come il presidente del governo Goering, il numero due del partito.

L'inchiesta inizia subito a scottare: Bernie rischia subito la pelle per un fraintendimento della bella signora Six, l'attrice, ma soprattutto quando si rende conto come attorno a quei gioielli (e a qualcosa d'altro) ci sia un certo interesse da parte di persone disposte a metterci le mani sopra senza troppi scrupoli.
Persone attorno alla famiglia Six e anche persone attorno al partito, come l'ex capo della Gestapo Hermann Goering.

Non è solo un caso di furto, di gioielli rubati, quello in cui si è ficcato: l'interesse per il contenuto della cassaforte svuotata porta a pensare ad una guerra di ricatti, che porta dritta ai rapporti tra la criminalità organizzata e pezzi del partito, a ricatti che possono portare certe persone a più miti consigli, a quella corruzione che era diventata la cifra della Germania nazista.
C'era, lo sapevano tutti, tutti la sentivano, in pochi ne traevano benefici, ma nessuno lo poteva ammettere. A meno di non finire in un KZ, i campo di concentramento sorti nel paese sul modello di quello di Dachau (dentro cui l'autore ci porterà, raccontando quell'inferno dal di dentro).

Per capire meglio il guaio in cui si è cacciato, Bernie si fa aiutare da una giornalista che anni prima aveva “ficcato il naso” nel mondo degli industriali dell'acciaio, come Thyssen e Six, Inge Lorenz
«Müller mi ha detto che lei era giornalista al “DAZ”». 
«Sì, è vero. Ho perso il posto durante la campagna del partito “Fuori le donne dall’industria”. Un modo ingegnoso di risolvere il problema della disoccupazione

C'è un furto che non è solo un furto, ci sono due cadaveri che forse non sono stati uccisi solo per un furto da un ladro, pur esperto

È come mettersi a fare un puzzle con due serie di pezzi diversi. Due cose sono state rubate dalla cassaforte degli Pfarr: dei gioielli e delle carte. Ma non si incastrano l’una con l’altra.

Un puzzle che porterà Bernie, per il suo voler trovare il bandolo della matassa, dritto all'inferno nel il campo di Dachau, assieme ad altri ladri comuni, comunisti, oppositori del regime ed ebrei: qui lo stile chandleriano (che torna spesso lungo il racconto) lascia il passo alla prosa, con uno stile che ricorda quello di Primo Levi in “Se questo è un uomo”
Come si fa a descrivere l’indescrivibile? 
Come si fa a parlare di qualcosa che vi ha reso muti dall’orrore? Molti più eloquenti di me non sono riusciti a trovare le parole. È un silenzio nato dalla vergogna, perché anche gli innocenti sono colpevoli. Privato di tutti i diritti umani, l’uomo torna allo stato animale.

Ho già detto troppo, ora tocca a voi leggerlo, questo giallo in cui si usa lo stile hard boiled dei romanzi di Hammet (il cui Red Harvest viene citato perfino da Goering) e Chandler, con tanta ironia tagliente, per raccontare un mondo impazzito, in cui il male assoluto diventa qualcosa a cui ci si abitua, giorno dopo giorno ..
Ma niente mi sorprende più, adesso. Mi sono abituato a vivere in un mondo che è uscito dai cardini, come se fosse stato colpito da un tremendo terremoto, per cui le strade non sono più lisce e le case non sono più dritte.

La scheda del libro sul sito di Fazi editore e il pdf col primo capitolo
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Il caso Milano e la sinistra confusa

Ieri, dopo la strage in Germania ad Hanau, improvvisamente (?) ci siamo accorti che esistono le formazioni neonaziste, ben armate e ben determinate a far pulizia nel paese.
La stessa pulizia che due anni fa Luca Traini voleva fare contro le persone di colore che considerava colpevoli della morte di Pamela.
Così, per ribadire il punto, ad inizio trasmissione Corrado Formigli a Piazza Pulita ha intervistato il sindaco di Milano Sala: il sindaco di sinistra, che difende la Costituzione e il valore della memoria dell'antifascismo ..

Lo stesso sindaco che , poche ore prima al TG regionale illustrava la sua proposta per il problema della casa a Milano, specie per i giovani: una bella joint venture con AirBnb.
Capisco che ci sia grande confusione sotto i cieli e che, di questi tempi, sia facile confondere destra e sinistra.
Ma qui stiamo andando oltre: non bastava la privatizzazione di sanità e scuola, non bastava la cementificazione del suolo pubblico, il progetto di San Siro che porterà a nuovo cemento.
Pure per la casa ci affidiamo al buon cuore del privato che, senza lacci e lacciuoli di tasse e burocrazia, ci concederà qualche appartamentino a prezzi modici (tanto AirBnb le tasse le paga con comodo).

E questa sarebbe la sinistra?
La sinistra che sta dalla parte degli ultimi, quella inclusiva, che non lascia indietro nessuno, che non abbandona le periferie, che non lascia il mercato delle case in mano al racket (italiano e straniero)?
Ecco, slogan a parte, specie in giorni di lutto come questi, servirebbe una sinistra che sia meno confusa.
Anche perché diventa veramente poco credibile nei confronti di una destra che invece, confusa non lo è.