01 maggio 2020

Il primo maggio ai tempi del coronavirus


Com'è questo primo maggio ai tempi del coronavirus?
E' il primo maggio in cui c'è la volontà di rivedere il mondo del lavoro, le sue regole, le sue dinamiche per attuare finalmente quel principio stabilito dal primo articolo della Costituzione (in questi giorni spesso citata)? L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro..

E' il primo maggio dove ricordare, ancora una volta, che prima di questa crisi il lavoro era sfruttamento, erano le morti bianche, la giungla dei contratti precari, l'assenza di controlli da parte degli ispettori del lavoro (così si chiamavano) sul rispetto delle norme per la tutela delle persone.
Era il lavoro di quelli che, pur avendo uno stipendio, facevano fatica ad arrivare a fine mese.
Era il lavoro dove le donne erano discriminate, per diversità di stipendio, per l'impossibilità di conciliare il lavoro (coi suoi orari, col suo stress) con l'essere madri.

Oggi ci viene detto che dobbiamo riaprire, “se i morti di Bergamo potessero parlare”.. (citando un senatore della Repubblica molto famoso in questi giorni), perché altrimenti non ne usciremo, molte imprese falliranno, sarà la fame.
Oggi Repubblica mette in prima pagine (e i servizi continuano a pagina due e tre) le storie di persone in crisi per la pandemia, perché sono state lasciate a casa oppure perché campavano di lavoretti e ora non è più possibile (come i tanti che facevano lavoretti a nero nel settore agricolo).

Tutti vogliamo uscire da questa crisi, ma è sul come che ci sono le divergenze: apriamo e vediamo come va a finire, qualcuno controllerà che si rispettino le norme (sui treni, sulla metropolitana, nelle imprese, negli uffici..), dicono in tanti.
Allora avremmo perso un'occasione, l'occasione per cambiare il lavoro, per cambiare la vita di quelle persone che oggi fanno un lavoro essenziale ma che, paradossalmente, sono quelle peggio pagate e con meno tutele.

Proprio per rispetto a quei morti si dovrebbero dosare e pensare le parole.
Per rispetto a quei morti non si può improvvisare nulla. Perché altre morti ci saranno oggi (siamo ancora abbondantemente sopra quota 100 in Lombardia) e domani, con nuovi focolai, la curva dei contagi e delle morti potrebbe risalire.

E' il primo maggio e non posso non ricordare altri morti, quelli di Portella della Ginestra, 11 contadini andati a festeggiare sotto il Pelavet la festa dei lavoratori e uccisi dai colpi sparati dalla banda di Giuliano, dai fucili dei mafiosi, dai colpi dei lanciagranate sparati da ex militari (“s'intisi struscio di na sparatina e bummi a mano peggio de li trona”).
La strage di Portella è stato il primo segreto di Stato della storia repubblicana, il cadavere del bandito Giuliano messo lì a bella posta dai carabinieri per creare la storia da dare al pubblico, la santissima trinità urlata da GasparePisciotta al tribunale di Viterbo (“Banditi, mafia e carabinieri eravamo tutti come una cosa sola, come la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo”), i mandanti della strage indicati da Pisciotta stesso tra i politici regionali e nazionali (l'onorevole Bernardo Mattarella, l'onorevole Tommaso Leone Marchesano, l'onorevole Giacomo Cusumano Geloso e il principe Gianfranco Alliata, il ministro Scelba) e su cui non si è mai fatta luce...


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