19 aprile 2022

Report – la mobilità del futuro, la guerra in Ucraina, le ffp2 e le new Town oggi

Una puntata dove si parla di mobilità, auto guidate dall'intelligenza artificiale (dove l'Italia ha un ruolo importante), la cyberwar in Ucraina, i più di 400 teatri italiani chiusi.

Ma nell'anteprima, le mascherine ffp2: possono essere indossate dai ragazzi per tutte le ore di lezione in presenza?

MASCHERE MOZZAFIATO di Antonella Cignarale

Per gli studenti da sei anni in su esiste l'obbligo di indossarla in classe in caso di contatto con positivi (altrimenti basta la chirurgica), a volte sono gli stessi genitori a fargliele indossare anche senza obbligo. Ma queste mascherine sono pensate per i bambini? Report lo ha chiesto all'Ente Italiano per la Normazione – UNI, che spiega che queste sono maschere per adulti, non pensate per i bambini, specie per un uso prolungato.

I genitori sono allora preoccupati, chiedono una certificazione per le FFP2, che al momento non esiste: queste maschere sono testate su un volto di un adulto, sui bambini il rischio è che il virus si insinui nelle zone di non aderenza.

Per fare le certificazioni non si possono usare bambini, questo è il problema: respirare è dura, dicono i bambini, che impiegano più energia a scuola, col rischio di affaticarsi.

Per i bambini bisognerebbe rivedere i parametri, come per esempio l'accumulo di co2 dentro la mascherine: a Latina hanno fatto uno studio su queste mascherine, arrivando ad un alert, ovvero se il bambino non ha stress in aula, non ci sono problemi. Diverso è il caso se si usa mentre si gioca.

Il CTS e il professor Locatelli (che nel passato avevano detto che non era consigliabile l'uso della ffp2 a lungo) ora rassicurano: gli studi rassicurano sull'uso per i bambini, senza però dare a Report altre informazioni.

In Europa si sta lavorando ad una nuova mascherina che tenga conto dell'affaticamento respiratorio e degli effetti sul suo utilizzo per lunghi periodi di tempo.

La maggior parte dei paesi europei non ha reso obbligatoria la mascherina in aula.

AUTISTI ARTIFICIALI DIGITALI E MECCANICI di Michele Buono con la collaborazione di Edoardo Garibaldi

Il racconto di Michele Buono parte da Las Vegas, con due auto da corsa che si rincorrono nell'autodromo: sono due auto senza nessun guidatore, sono guidate dall'intelligenza artificiale, sono auto che stanno riscrivendo una storia più grande dove dentro c'è una parte dell'Italia. Possiamo riscrivere la storia dei trasporti, con l'auto a guida autonoma che vi viene a prendere sotto casa, ci porta dove vogliamo andare e poi va a prendere altre persone.

In questo scenario servirebbero meno auto per spostarsi, meno auto, meno consumi energetici, meno impatto ambientale, meno incidenti …

Ma l'intelligenza artificiale deve essere allenata: noi italiani siamo bravi in questo settore, la sfida è stata lanciata dalla Dallara, per far gareggiare questi bolidi, che si affronteranno nella pista di Las Vegas, premio un milione di euro.

La Dallara è un'azienda di Parma che produce auto da corsa, da strada e le indie car, quelle della 500 miglia di Indianapolis. Un giorno hanno pensato: e se facessimo correre queste macchine da sole, senza il pilota? LA sfida è stata lanciata a tutti ma è stata raccolta dai ragazzi nei laureati del Politecnico di Milano e di Reggio Emilia e di altre università nel mondo.

La sfida è prevedere tutto quello che potrà andare male nella guida e istruire i veicoli a come gestirli nel corso della gara: si è partiti con gare virtuali, ripetute più volte, prima di arrivare alla gara vera.

La gara virtuale è stata vinta dal Politecnico di Milano che poi ha partecipato alla gara reale.

Questa è stata fatta sul circuito di Indianapolis: le auto sono state fornite dalla Dallara, l'intelligenza è frutto del lavoro dei team delle università, cinque computer al posto del pilota che raccolgono le informazioni dalle telecamere, anche dal GPS e poi prendono le decisioni, muovendo lo sterzo, frenando o accelerando.

Sono auto che imparano anche dai loro errori, usando tutti i dati raccolti: sono auto che sfrecciano a 300km all'ora, evitando gli ostacoli.

I due team, quello di Modena Reggio Emilia e quello di Milano continuavano il lavoro di simulazione una volta finite le gare, per migliorare l'apprendimento del software (l'intelligenza artificiale implementata dall'algoritmo), per cercare di risolvere i bug.

Dietro le auto a guida autonoma c'è una sfida che i responsabili della pista di Indianapolis hanno raccolto subito: ci sono investimenti, ci sono sponsorizzazioni, c'è la possibilità di rivedere il sistema dei trasporti nella vita di tutti i giorni.

C'è una visione dietro, c'è la volontà di attirare i migliori talenti del mondo, comprese le nostre università.

Chi ha vinto la gara di Indianapolis? È stata una gara strana, sul cicuito si sfidavano lo stesso modello di auto, quello della Dallara, ma con algoritmi diversi, frutto del lavoro degli studenti dei migliori atenei al mondo.

I ragazzi del politecnico di Milano hanno scoperto che a velocità elevate la tenuta dei GPS è a rischio, infatti loro ne hanno persi due nel corso della gara, andando poi a sbandare contro un muro. La macchina di Modena si è bloccata per un bug.

Alla fine ha vinto l'università di Monaco, ma la macchina più veloce è stata quella di Modena che ha comunque vinto un premio da 100mila dollari.

Queste gare a cosa servono? A preparare le auto a guida autonoma nelle città, più sicure delle altre, meno inquinanti. Questo è il futuro della mobilità, dice il presidente dell'Indiana ma è lo stesso obiettivo degli organizzatori e degli sponsor.

A Modena all'università si sta lavorando a questo: si addestrano le auto a distinguere i pedoni, le altre auto, gli ostacoli, le strisce pedonali. Servono tanti dati per addestrare l'algoritmo a prendere le giuste decisioni.

Queste auto a guida autonoma potrebbero rivoluzionare la mobilità nelle città, liberando le città dal traffico, rendere l’aria meno pensate per le minori emissioni: lo racconta a Report Sergio Savaresi, docente del Politecnico di Milano: tra dieci anni si cambierà di paradigma, dal possesso dell’automobile per muoversi si passerà all’uso di un servizio trasporti, chiamerò l’auto al domicilio e indicherò dove devo andare “questa è la rivoluzione, il completo cambio di modello dal possesso di automobile ad un servizio pubblico”.

A regime di quanto si potrebbe tagliare il parco delle auto vetture? Secondo il docente si potrebbe passare da 40 a 4 milioni di automobili con questo nuovo modello di mobilità.

A livello globale l'impatto sarebbe anche maggiore: siamo all'alba di una nuova era della mobilità, auto che si muoveranno dentro città intelligenti, con energia intelligente. Gli americani ci credono in questo modello e stanno cercando i migliori ricercatori al mondo, tra cui i nostri ragazzi, come anche gli studenti tedeschi di Monaco.

Ma è un'occasione che l'Italia non può perdere: questa è l'industria del futuro, quella che potrebbe creare posti di lavoro, qualificati.

A Las Vegas gli americani decidono di lanciare una seconda sfida, dentro un autodromo in cui le auto gareggeranno assieme, superandosi l'una con l'altra e non da sole come successo ad Indianapolis.

La squadra del Politecnico si è “allenata” su una pista nel deserto del Nevada, dove provare velocità sempre maggiori (sempre con la Dallara V21) e vedere se i GPS dopo le modifiche, ora reggono: sono riusciti ad arrivare a 286 km/h, un record mondiale.

Ancora una volta le università italiane arrivano alla finale, assieme ai tedeschi di Monaco e ai coreani di Seul.

In finale arrivano le auto del Politecnico di Milano e dell'università di Monaco: questa volta abbiamo vinto noi, con una gara a quasi 300km all'ora, con due auto che si sono sorpassate senza nessun autista.

Abbiamo lasciato spazio all'immaginazione, quella basata sulla conoscenza, come aveva detto Einstein: è venuto fuori una strumento dalle potenzialità enormi, la Nasa metterà a disposizione la sua base per il Politecnico, per fargli battere il record dei 300km orari.

CORRISPONDENZE DALL’UCRAINA : I resilienti di MYKOLAIV Di Luca Bertazzoni

Mentre l'esercito russo sta mollando la presa nel nord del paese, stanno stringendo la morsa al sud del paese come a Mykolaiv, dove l'esercito di Putin sta bombardando soprattutto obiettivi civili, come l'ospedale.

Le persone che hanno bisogno di medicine e cibo sono aiutate dai volontari e anche da connazionali tornati al loro paese per aiutare la popolazione e i loro parenti.

Una signora è tornata in Ucraina per salvare i propri genitori che non hanno intenzione di abbandonare la loro terra: terminata la guerra tornerà in Italia ma in questo momento deve stare da loro.

Nella periferia di Mikolaiv la Croce rossa ha organizzato un servizio di consegna casa per casa di medicinali e cibo per chi non può raggiungere il punto di distribuzione dei beni alimentari: anche qui Bertazzoni ha raccolto altre testimonianze dei civili, i bombardamenti contro le case, giorno e notte, gente anziana che senza questi aiuti portati dai volontari non potrebbe sopravvivere.

Un ragazzo che ha accompagnato il giornalista ha raccontato la sua storia: era un informatico, ma ha scelto di combattere i russi, perché non accetta di finire sotto il dominio russo, “so che vinceremo e che saremo felici”. Al momento però non si salvano nemmeno gli ospedali pediatrici, che per fortuna continuano a funzionare.

Bertazzoni ha incontrato un italiano, un poliziotto in pensione che vive qui da venti anni: quando si sentono le sirene ci si rifugia nelle cantine, con muri da 80 cm che dovrebbero resistere alle bombe.

Anche Salvatore si sente ucraino, più che italiano: noi siamo ucraini, non russi – dice a Bertazzoni – non siamo come lui.

Anche a Mikolaiv i negozi sono chiusi, i supermercati aperti sono colpiti dagli attacchi: farmacie, alimentati, pizzerie. LE bombe distruggono vetrine e muri, ma uccidono anche le persone per strada.

Per strada carcasse di auto, resti di palazzi che oggi si alzano come scheletri, come il palazzo del governo: il sindaco della città oggi si muove col fucile, perché i russi rapiscono i sindaci quando arrivano in una città.

I russi sparano con l'artiglieria, usano missili con munizioni a grappolo per uccidere più personi possibili: quello dei russi è un genocidio – racconta il sindaco – perché Putin vuole uccidere il popolo ucraino.

Ci sono tre modi per finire la guerra: o Putin muore o viene ucciso, oppure fermiamo i suoi soldati, ma in quel caso Putin potrebbe scatenare una guerra nucleare.

I CYBER LEGIONARI Di Giuliano Marrucci

Il viceministro dell'Ucraina ha lanciato su twitter una chiamata alle armi per reclutare su Telegram un'armata cibernetica per combattere questa guerra: volontari civili da tutto il mondo oggi stanno combattendo una guerra, come i volontari di Fearless Security, un team italiano che ha scelto di combattere l'occupante russo.

Dopo terra, mare e aria il cyber spazio è la quarta dimensione della guerra: quello che sta succedendo in Ucraina non è una novità (attacchi informatici sono avvenuti anche in altre guerre): quello che è di nuovo in questa guerra è che l'Ucraina ha chiesto aiuto ad hacker di altri paesi, mettendo a disposizione due società private del suo paese.

Che ricadute potrebbe esserci dopo questa scelta?

Il governo ucraino indica su Telegram gli attacchi da colpire: attacchi DDOS, modifica della comunicazione delle pagine dei portali per mandare messaggi sulla guerra.

Ma il governo Ucraino può autorizzare tramite IT Army attacchi provenienti da altri paesi?

Una delle due aziende coinvolte è la Hacken di Dyma Budorin: si occupava di criptovalute, con un suo sw, Disbalancer, mescolando affari con la politica (ovvero gli attacchi DDOS per isolare la Russia).

Il proliferare di software che infettano i computer, trasformandoli in zombie, renderebbe internet meno sicura: come diventerà internet domani? Ogni paese si dovrà isolare con la sua rete per proteggersi dagli altri paesi? Avremo una balcanizzazione della rete?

In Russia, aveva raccontato il giornalista Nossik nel 2017, c'è un patto tra stato e gruppi criminali, che eseguono compiti di hacking contro i nemici di Putin, in cambio di un nulla osta per i loro reati informatici.

LE NEW TOWN DELL’AQUILA 13 ANNI DOPO Di Chiara De Luca

Il progetto New Town costò 800ml di euro, in parte frutto di finanziamenti europei: oggi una parte di queste case sono in cattivo stato, sono abbandonate. Dei 4400 alloggi 2900 sono abitati, 4 sono stati affidati a famiglie afgane, 50 posti letto sono stati invece affidati ai profughi ucraini: uno di questi è un atleta della nazionale di ciclismo, arriva da Donetsk e rimarrà in Italia fino alla fine della guerra – racconta alla giornalista.

Tutta la nazionale di ciclismo è in realtà ospite in una delle New Town, quando era iniziato il conflitto erano in Turchia, era impossibile tornare a casa e così molti di loro ora sono in Italia mentre le famiglie sono rimaste in Ucraina. I figli che hanno già compiuto la maggiore età non possono uscire dal paese, perché devono prendere le armi per la guerra.

Ma poi, se anche potessero, il comune dell’Aquila ha detto loro che in queste New Town non c’è posto per i familiari, nonostante 1500 appartamenti siano vuoti solo che, o sono inagibili, o lasciati nell’incuria più totale.

Sono rimasti sul groppone del comune de l'Aquila, che non riesce a proteggere le case dai vandali, dai furti, dai problemi di manutenzione.

Eppure dal 2015 il comune ha ricevuto dal CIPE fondi per 11 ml di euro per questo obiettivo, per la gestione delle pulizie, degli ascensori: ma sono stati veramente utilizzati?

60 ml dal PNRR saranno destinati per queste case, ora il sindaco deve decidere se riqualificarle o se abbatterle. Forse non la soluzione ideale per queste case..

GIÙ IL SIPARIO di Giulia Presutti

In tutte le regioni d'Italia c'è un patrimonio inutilizzato: sono i teatri chiusi per mancanza di fondi per i lavori di ristrutturazione o di messa in sicurezza.

Non è solo un tema di non valorizzazione del patrimonio, è anche un perdita per la cultura italiana, una porta in faccia agli italiani che non hanno più un luogo di aggregazione.

Quando chiudi un teatro non è come quando chiudi la bottega, la serranda” – racconta a Report Andrea Pennacchi- “quando chiudi un teatro chiudi le porte in faccia a ragazzi, a signori e signore, pensionati che avevano roba da fare, chiudi la porta in faccia alla città, ti chiudi tu fuori da una roba preziosa.”

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