08 novembre 2022

Cena di classe, di Alessandro Perissinotto e Piero d’Ettorre


La prima indagine dell’avvocato Meroni

22 febbraio 2018. Ore 6.27

Stava facendo di nuovo quel sogno. Non proprio un incubo, però un sogno torbido. Come le altre volte si trovava in tribunale. Sul banco degli imputati c'era Bin Laden, non quello verto, certo, il Bin Laden del loro lessico familiare, quello che era entrato a forza nella sua vita e in quella di Rossana; lui cercava di guardarlo in faccia, ma i due carabinieri gli facevano schermo, perché nessuno potesse scorgerne la fisionomia. E lui, dal suo scranno di avvocato di parte civile, si sporgeva, si muoveva, si agitava, ma non otteneva altro risultato se non quello di beccarsi un richiamo dal presidente: "Avvocato Meroni, stia fermo e non mi faccia perdere la pazienza. Lei non ha diritto di guardare in viso l'imputato qui presente."

Alla Passione per il delitto, la rassegna letteraria dedicata al noir e al thriller, avevo ascoltato con molto interesse la presentazione dei due autori, cominciata con un breve reading di alcuni passaggi di questo romanzo che si svolge a Torino, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 2018 e che ha come protagonista un avvocato, Giacomo Meroni.
Chi è Giacomo Meroni, avvocato penalista? E’ un avvocato che crede fortemente nella sua missione, garantire al suo assistito la migliore difesa possibile. Crede anche nella giustizia, che non è né forcaiola (come spesso qualcuno vorrebbe, per saziare la pancia delle persone, spesso dopo delitti che colpiscono l’opinione pubblica), ma nemmeno garantista nel senso di fare qualunque trucco pur di salvare l’assistito dal processo (e non nel processo).
Ma Giacomo Meroni è stato anche ufficiale dei carabinieri, come lo era stato prima di lui il padre, ucciso in uno scontro a fuoco in un posto di blocco dove nemmeno doveva esserci, maledetto destino e maledetti criminali.
Questo suo passato gli ha lasciato qualcosa, dentro, come racconta egli stesso: oltre ad una vasta rete di conoscenze nel mondo dell’arma, sempre utili, gli ha lasciato dentro quello spirito del detective, per cui non gli basta difendere le persone che arrivano nel suo studio, il prestigioso studio Actis-Meroni (Actis è il cognome del genero di Giacomo, il padre della moglie Rossana)

Difendere gli assassini gli procurava sempre un certo disagio. I colleghi ripetevano che il compito dell'avvocato è quello di garantire l'equità del processo, non di stabilire la verità e ancor meno quello di far condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti. Però a lui, forse per via di suo padre, che da carabiniere ci era vissuto e morto, a lui, Giacomo Meroni, la verità interessava.

Di quale verità si dovrà occupare, in questo caso, Giacomo Meroni? Una mattina di febbraio si presenta al suo studio una “madamin”, Vittoria Corbini: “una donna secca, rifinita, più scialba che austera nel suo vestitino grigio in misto lana, del bon pat, a buon prezzo, che pure doveva essere quello per le occasioni importanti..”.

Il figlio, Riccardo, è stato arrestato quella mattina dai carabinieri, all’alba (“l’ora canonica degli arresti a sorpresa”) con un’accusa infamante: aver ucciso una sua ex compagna di classe al termine di una festa, l’ultima festa di classe prima della maturità, avvenuta nell’estate del 1984. La ragazza si chiamava Antonella Bettini ed era stata ritrovata nel fienile della tenuta dove era avvenuta la festa, col cranio spaccato. Uccisa dopo aver subito una violenza sessuale.
Il classico cold case rimasto irrisolto per anni che, però, grazie alle tecniche moderne, si è potuto riaprire.
Prima di scoprire cosa ha fatto riaprire il caso, questo romanzo ci porta dentro il carcere delle Vallette, come comunemente viene chiamata la casa circondariale Lorusso e Cotugno: è il nome di due guardie del carcere uccise dai brigatisti negli anni ‘70, quando questo paese specie al nord era attraversato da una guerra asimmetrica che aveva travolto le vite di centinaia di persone.
La prima cosa che ci salta addosso, entrando in un carcere, è il rumore delle chiavi, che ci chiudono dentro, i corridoi, le stanze, escludendo tutto ciò che sta fuori.
Qui, in questo mondo (che gli autori per motivi di lavoro conoscono bene), Giacomo Meroni conosce il suo nuovo assistito Riccardo Corbini: si dice che le prime impressioni su una persona siano le più veritiere. Ecco, nel caso di Riccardo, l’immagine è quella di una persona grigia, che conduce una vita monotona, sempre uguale, senza nessuna moglie o fidanzata. E una madre la cui presenza deve aver molto condizionato la sua vita (forse per questo a Giacomo viene in mente quel film di Hitchcock, Psycho):

“Credevo di essere stato chiaro, signor avvocato. Non sono stato io ad uccidere Antonella Bettini, non ero neppure a quella festa. Non ho mai ucciso nessuno, non ho mai stuprato nessuno [..]”
E di nuovo in quella voce, nella veemenza di quelle affermazioni, Giacomo credette ancora di trovare che contraddiceva il senso delle parole pronunciate. Ma di nuovo non insistette.

È come se l’indagato Riccardo Corbini, non si renda conto nemmeno di trovarsi in carcere con l’accusa di stupro. Che non si renda conto di quello che rischia: il carcere a vita.

C’è qualcosa che nasconde, questo Riccardo Corbini, all’apparenza una persona normale, come se non volesse essere del tutto sincero col suo avvocato.
Lui, continua a ripetere, non era a quella festa, non era una persona socievole, non aveva legato con nessuno dei compagni e delle compagne di quella quinta del liceo linguistico.
Eppure.

Eppure se il pm ha richiesto il carcere per l’indagato, significa che dopo tutti questi anni ha in mano qualcosa: si tratta della fatidica prova del DNA, un fazzoletto trovato accanto al cadavere che, nonostante gli anni, ancora conserva tracce di quei filamenti che dicono un nome. Giacomo Corbini, appunto.
Di fronte a questa prova, la prova regina, molti avvocati cercherebbero di patteggiare una pena, senza nemmeno porsi il problema se il suo assistito sia colpevole o meno. Ma Giacomo non è così: il dna associa Corbini al luogo del delitto ma non alla scena del crimine e questa non è una sottigliezza.

Certo, deve fidarsi di questo Corbini, che per come si comporta sembra faccia di tutto per ostacolare il suo avvocato. Ci sono i vecchi compagni da interrogare, per cercare una qualche altra pista. E poi c’è quel pm, parodia dei procuratori “poco garantisti”, uno di quelli con la verità in tasca (su cui gli autori hanno un pochettino calato la mano).

Si arriverà così al processo dove assisteremo allo scontro tra l’accusa e la difesa, con le strategie messe in atto da una parte e dall’altra, seguendo le norme prescritte dal codice di procedura penale.
Fino all’attesa della camera di Consiglio.

3 maggio 2018. Ore 15.30
Il tempo della Camera di Consiglio scorre a due velocità diverse a seconda che si sia dentro o fuori. Dentro, gli dicevano, è un tempo accelerato, affollato. Fuori è rarefatto, consumato dall’ansia e svuotato di tutti i pensieri tranne uno.

Un bel legal thriller dove alla parte legal si associa una vera e propria indagine portata avanti da Meroni e dalla sua collaboratrice, Giulia, a cui Giacomo fa sia da tutor che da “maestro”, raccontandole quei pezzi della storia passata della sua città che hanno lasciato un’impronta nella sua anima: la storia delle due guardie carcerarie Cotugno e Lorusso, il clima pesante che si respirava nelle città del nord negli anni settanta. Un clima di paura che però non aveva intimidito la segretaria dei radicali, Adelaide Aglietta, che aveva accettato la nomina di giudice popolare al processo contro le BR. Un esempio di coraggio civile. Altro esempio di coraggio civile lo dimostrò il procuratore Bruno Caccia, ucciso dalla ndrangheta quando ancora non si voleva ammettere che le mafie fossero arrivate al nord.
Ma c’è una seconda indagine, molto più personale, che Giacomo Meroni, sta portando avanti da anni, precisamente da quel 11 settembre 2001. Il giorno in cui crollarono le Torri Gemelle dopo l’attacco terroristico, un pirata della strada investì sua moglie, Rossana Actis, lasciandola su una sedia a rotelle per il resto della vita.

Chi è questa persona a cui Giacomo, nemmeno nei suoi incubi (come leggiamo nell’incipit) riesce a dare un volto?
Ma tanto lui è ossessionato dalla caccia a questo pirata della strada, tanto la moglie ha deciso di scrollarsi di dosso tutto, accettando la menomazione, anzi sfidandola iniziando a gareggiare sulle piste di sci con un guscio speciale, su misura per lei. Perché la vita va avanti.

Nella presentazione a La Passione per il delitto i due autori, che sono anche amici nella vita, hanno spiegato la scelta nel voler scrivere un giallo, con questo personaggio molto umano, che racconti di questa distanza tra la verità e la verità giudiziaria, che possono essere distinte

Rispettando i canoni del giallo, abbiamo voluto raccontare questo: delle regole del processo, delle regole che disciplinano i rapporti col pm, col giudice, coi praticanti dello studio.

Abbiamo creato un personaggio che ha la schiena dritta, rispetta le regole deontologiche, il giuramento di fedeltà col proprio assistito ma anche di lealtà nei confronti dello Stato.

La scheda del libro sul sito di Mondadori

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