09 marzo 2023

Favola per rinnegati di Alessandro Bongiorni

 

Ai precari e ai malpagati

PROLOGO
Strappi con la frizione, giri alti, marce ingranate. Il lungo rettilineo e la curva a gomito verso sinistra. Gli pneumatici fischiarono sull’asfalto umido della sera, l’utilitaria pattinò verso l’esterno e finì dritta contro un palo della luce. Un grande botto.
Poi, più nulla: solo il cigolio delle ruote che giravano a vuoto. Il cofano della macchina accartocciato, il parabrezza squarciato sopra il volante.
In una fredda sera di inizio novembre, nel giorno dei morti, a Milano succede l’impensabile: da una macchina due ragazzi sparano diverse raffiche di Kalashnikov contro altri ragazzi seduti davanti un bar nel quartiere di Brera, vicino la chiesa di San Marco. Scappati da quella carneficina, andranno poi a schiantarsi contro un cancello, come raccontano le poche righe dell’incipit.
Ecco perché mentre alcuni dei soccorritori si gettano dentro l’auto per salvarli che la macchina scoppi, altri agenti si mettono ad osservare la scena, gli “ammutinati”. Una scena surreale, inspiegabile senza sapere il perché di quell’incidente:
 ...da una parte, i colleghi in fermento; dall’altra, uomini in divisa con lo sguardo colmo di biasimo. Ammutinati.
Anche a Milano è arrivata l’onda del terrorismo islamico? Quel locale alla moda come il Bataclan a Parigi? Prima che la notizia, con tutte le sue emozioni collegate si allarghi, come un’onda, per Milano e poi per tutta l’Italia, sul luogo della strage arriva il vice commissario Rudi Carrera che, assieme alla collega ispettrice Esposito, inizia a soccorrere i feriti, nel caos generale.
 
Le ambulanze, le volanti, le transenne. Il sangue, i corpi, lo straniamento. I morti e i feriti. Le auto abbandonate in mezzo alla strada. I primi giornalisti, freelance che passavano di lì.
Nonostante le prime voce, qualcuno che avrebbe sentito gridare Allah Akbar, non si tratta di terrorismo islamico. Ad uccidere quei nove ragazzi sono stati due giovani, un disoccupato e uno studente dal carattere chiuso, due ragazzi come tanti che un giorno hanno deciso di aprire il fuoco con un Ak 47 contro altri coetanei. Le indagini vengono affidate dalla Questura di Milano proprio al vice commissario Carrera: la scelta arriva dall’altro, dal triumvirato, il questore Covati che mal sopporta questo poliziotto ruvido che spesso passa sopra le regole, il Prefetto Marta Terrasanta (una che aveva fatto carriera forse troppo in fretta) e il procuratore Rocchetto. Altro che Islam, nel video rivendicazione i due avevano sputato il loro odio contro le donne e i ricchi, contro quella parte di società che viveva felice e che nel loro immaginario si riuniva davanti al bar di Brera.
Ma come hanno fatto due persone così a procurarsi un Kalashnikov?
Carrera assieme alla sua squadra, gli ispettori Esposito e Achilli, viene affiancato da un consulente informatico che arriva dai servizi, che racconta al vice commissario di quello strano mondo che è quello degli Incel. Ragazzi che non sono capaci di coltivare una relazione con l’altro sesso e che sfogano questa frustrazione in modo violento.
È già successo in America e ora tocca anche all’Italia.
 
Tutto così semplice? Possibile che quella strage abbia dietro solo questa motivazione in fondo banale?
Carrera è consapevole di essere solo un parafulmine, se anche dovesse riuscire a capirci qualcosa di questa strage, non si prenderebbe lui le luci della ribalta, che toccherebbero a quel politico del Questore o al Procuratore, futuro politico pure lui.
Ma al minimo errore, il triumvirato gli scaricherebbe addosso tutte le responsabilità, perché Milano vuole i colpevoli, il paese vuole vedere qualcuno con le manette ai polsi. Sembra di essere tornati ai tempi di Piazza Fontana, per chi se li ricorda ancora, con gli anarchici nel ruolo del capro espiatorio.
Carrera si mette in contatto coi suoi informatori sul territorio: un avvocato per cui gli scrupoli sono un lusso costoso, un ex contrabbandiere di armi caduto in disgrazia 
.. negli anni Novanta Rino Corlianò, per tutti “il Pirata”, era stato un grosso trafficante di armi, droga ed esseri umani tra la Puglia e l’Albania.
Nessuno sembra saper niente e questa frustrazione è un altro peso sulle spalle di Carrera che non sta attraversando un momento facile nella sua vita: c’è la separazione da Monica, che ha pagato un prezzo troppo alto per stare vicino a lui, c’è il fantasma di Giada, una ragazza rapita la cui caccia finì in modo tragico sul fondo di un burrone. C’è l’incapacità di saper gestire tutte le cicatrici, il dolore, la violenza e il sangue visto in tutti questi anni. Non bastano le sigarette che fanno sputare catarro o la bottiglia di J&B sulla scrivania per dimenticare.
 
«È arrivato il momento di passare oltre, non credi? Di dimenticarle.
Ane, Sanja, Monica, Giada, tutte loro. Soprattutto Giada. Scrollatele di dosso, [..]
«Io sono i miei fantasmi» disse. Poi si incamminò sotto la pioggia.
Bisognerebbe imparare a lasciarsi alle spalle i propri fantasmi, prima di far la fine di Raimondo, l’amico barbone che dorme davanti il commissariato di piazza San Sepolcro, forse il suo unico amico, oltre la sua squadra.
«Vede, Robin» disse la dottoressa mettendo il tappo alla penna, «io credo che lei porti sulle spalle uno zaino invisibile, e che in questo zaino tenga tutto il peso del mondo.
C’è un altro personaggio che incontriamo in questa storia: si fa chiamare Robin, è un addetto alla sicurezza di un cantiere, ma lo conosciamo la prima volta mentre è in visita dalla sua psichiatra, da cui è in cura dopo essersi dimesso dall’Arma. Non è un ex carabiniere qualunque, Robin Rossi: è stato un undercover per anni, infiltrato dentro le peggiori organizzazioni criminali per contrastare il narcotraffico. Finché un giorno, dopo aver assimilato anche lui una dose di troppo di violenza, la sua testa ha ceduto. Fine del lavoro da undercover, fine del matrimonio.
Si sfiorano per un attimo solo gli sguardi di Carrera e di Rossi:
l’indagine lo ha portato a quel cantiere per una pista che sembra promettente. In realtà sarà molto di più di uno sguardo quello che legherà assieme i due uomini dello Stato con troppe cicatrici addosso:
due schegge impazzite che hanno perso tutto e questo li renderà ancora più pericolosi:
«Voglio solo trovare quello che cerco.»
«Sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire che le nostre strade si stanno incrociando e forse possiamo darci una mano.» «Di cosa stiamo parlando? Chi sono loro?»
Cosa sta cercando l’Arciere, questo il nome in codice di Robin Rossi?
E cosa si nasconde dietro quella strage, chi ha dato quel Kalashnikov a quei due ragazzi? Come mai i servizi si interessano tanto a questa storia?

Ho cercato un aggettivo da associare a Favola per rinnegati, mi è venuto adrenalinico: sono arrivato fino alla fine di questo noir così intenso col fiatone, dopo un racconto pieno di dolore, sangue, vendetta, rimorsi in una Milano diversa da come la immaginiamo, molto più vicina alla Milano calibro 9 raccontata dal padre del giallo milanese, Giorgio Scerbanenco, che compare in questo libro attraverso un articolo firmato da un certo Ugo Piazza (che metterà fuori dai giochi Carrera per un certo periodo).
Una città che non è solo quella delle luci dei grattacieli, ma anche delle piazze dello spaccio, delle ‘ndrine ben introdotte nel tessuto sociale ed economico della metropoli. Delle vie da attraversare a piedi, come ama fare il vice commissario la notte, per sbollire quella rabbia che si porta dentro.
Ma, chissà, forse c’è ancora modo di riscattarsi dal suo passato, giocarsi le sue ultime fiches nella vita e cercare di continuare con quel mestiere che sa fare così bene, il poliziotto.
È solo un giallo, certo, ma con forti attinenze con la realtà di cui qualche volta leggiamo sui giornali, come quelle che scoprirà il vice commissario: i giovani che si isolano dal mondo, i giri sommersi delle armi ..

La scheda del libro sul sito Mondadori e il racconto di questo noir da parte dell’autore

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