Prologo
Resta incantato a osservare la ruota che gira. Nell’aria bollente del tramonto il fruscio dei raggi produce un sibilo soffocato, simile al ronzio di una mosca morente. La bicicletta ha terminato il suo volo oltre il ciglio della strada e ora giace, spaccata in due, sul limitare del fosso. Il manubrio rovesciato all’indietro, le manopole infilzate nella terra riarsa, il triangolo del telaio distorto…
Mettetevi comodi prima di partire con la lettura di questo romanzo, l’ultimo dello scrittore Gian Andrea Cerone, perché sarà un viaggio faticoso, sebbene tutta la storia inizia e finisce nell’ambito di una afosa settimana di fine agosto, quando Milano sembra una città abbandonata e camminare sull’asfalto rovente è quasi una condanna.
Ci sono più storie dentro questa storia: ci sono dei bambini che sono stati rapiti da un uomo, lo chiamano Ifrit, l’uomo del fuoco, come il personaggio del videogioco. Perché sono stati presi, per nulla di buono evidentemente, visto che sono stati strappati alle madri, tenuti al chiuso in uno stanzone in un luogo abbandonato.. Cosa ha in mente quell’uomo e la strega che ogni notte viene a visitarli?
C’è poi un certo personaggio politico che ha deciso di vendicarsi degli investigatori dello UACV della Questura di Milano: è la squadra del commissario Mandelli e dell’ispettore Casalegno, che in questo momento è in una fase transitoria, dopo che il vicequestore Pinduccio è stato ferito nel corso della precedente indagine, una storia di vendette le cui radici affondano nel passato.
Infine,
in quel torrido caldo milanese, qualcuno ha rapito la nipote del
vecchio boss Lino Porratti, chiamato “il fetta” per la sua
abilità nel saper dividere in parti uguali il bottino. Vecchio
residuo della criminalità storica milanese, il fetta è riuscito a
sopravvivere a tutte le guerre di mafia, all’arrivo delle mafie
straniere col suo business delle bische. Ma qualcuno ha deciso di
fargli la guerra col
rapimento dell’adorata nipote Clara. Così
il vecchio Lino Porratti è costretto a rivolgersi al vecchio
“nemico”, che però è l’unica persona di cui può fidarsi in
questo momento, proprio il commissario Mario Mandelli.
Mandelli
che si sta godendo le meritate ferie in Liguria assieme a Isa anzi,
sotto la supervisione di Isa che lo tiene sotto controllo per quella
pancetta che non deve crescere a colpi di focaccia.
«Buongiorno commissario Mandelli, cosa le do?»
L’uomo dall’altra parte del bancone mastica un saluto in perfetta sintonia con il burbero protocollo ligure
Nonostante il sole, il mare ligure, la pace, la presenza di Marisa a fianco, la testa del commissario non si è del tutto staccata da Milano. Deformazione professionale, certo, ma anche lo strascico dell’ultima indagine (“Il trattamento del silenzio”). Ma sarà la telefonata del “fetta” a strapparlo da quella quiete
«Sono io, il Lino» dice con il tono di chi sa comandare.
«Ciao, Fetta» risponde una voce sporcata da una lieve inflessione lombarda. «Guarda che non c’è mica bisogno che ti presenti...»
Il rapimenti di Clara è una questione personale, non solo per il legame col vecchio criminale che nel passato lo aveva aiutato: con Clara anni prima era successo qualcosa, c’era stata una certa attrazione tra i due e Mario era stato sul punto di cedere. Imbarcato su un treno per Milano, dopo tutte le rassicurazioni alla moglie, il commissario ritorna in quel forno che è Milano in agosto.
«Quanto manca ancora alla cima di ’sto cazzo di monte Sorbetto?» domanda a Caterina Dei Cas, ferma sul ciglio del sentiero a osservare il panorama.
Il braccio destro di Mandelli, Antonio Casalegno, si sta godendo le sue vacanze assieme alla viceispettrice Dei Cas, nella sua casa in Valtellina, con cui forse può cominciare qualcosa di nuovo e forse per la prima volta nella sua vita, di stabile nel senso affettivo.
Ma anche per lui saranno gli ultimi giorni di ferie prima del rientro, anche perché a Milano sono rimaste le due colleghe della squadra, Marica Ambrosio e Gabriella Donati che per superare la noia del momento hanno deciso di approfondire una intuizione dietro una serie di suicidi avvenuti nelle ultime settimane, che hanno delle similitudini che saltano agli occhi:
«Oggi ne è saltata fuori un’altra. È morta nella notte tra sabato 20 e domenica 21. Il cadavere galleggiava nell’ansa del Lambro meridionale, proprio nel punto in cui il fiume interseca il Redefossi..Sono suicidi di donne, ritrovate senza documenti in luoghi fuori Milano: cos’hanno di particolare tanto da suscitare l’attenzione della giovane poliziotta Donati? Sono avvenuti in posti non facili da raggiungere, non avevano documenti addosso né biancheria intima, nessun altro segno particolare. Nessun biglietto per spiegare il gesto. Sono cinque donne, di cui solo per una è nota l’identità: contravvenendo un po’ alle regole, le due agenti decidono di iniziare una loro indagine senza avvisare la superiore, la dottoressa Santini che ha preso il posto del precedente responsabile, Salvatore Pinduccio ancora in convalescenza.
Meglio non fidarsi troppo di questa nuova vicequestore..
Da dove partire? Dal Centro lombardo per la mediazione sociale: si tratta di un centro a cui si rivolgono le donne vittime di violenze domestiche, come era successo proprio ad una delle vittime a cui è stato possibile dare un nome. Faiza, questo il suo nome, si era dovuta allontanare dal marito, che la perseguitava per la sua ossessione di farle vestire il velo integrale. Dai genitori scoprono pure che aveva un figlio, Malik, pure lui scomparso. Che fine ha fatto?
In un luogo sperduto nella campagna brianzola c’è una cascina, lontano dalle altre case, dove sono reclusi dei bambini. Sono tenuti prigionieri da un uomo che porta loro da mangiare e che alla minima protesta, non esita a far loro del male. Ma c’è di peggio: in questa storia si aggiunge anche una nota horror, perché la notte viene a far loro visita una strega, i bambini la riconoscono per l’odore di muffa, l’odore della paura che si lascia dietro.
«Viene di notte... senza preavviso. E quando se ne va, si porta via uno di noi... per sempre.»
Il commissario Casalegno sarà costretto a seguire il rapimento di Clara Porratti a modo suo, senza coinvolgere i colleghi, senza far troppo rumore, sperando di non dover scendere a troppi compromessi. Sperando anche che non scorra troppo sangue, perché il vecchio boss delle bische e delle sale da gioco ha ingaggiato un altro vecchio “arnese” della mala milanese:
Angelo Preda è da sempre un fuoriclasse nel suo campo, spietato e matto come un cavallo, certo, ma una sicurezza per quanto riguarda i risultati. È quello che viene definito un «correttore», uno di quegli specialisti ingaggiati per risolvere i problemi…Il fetta, il correttore e poi l’occhio, come viene chiamato il boss della mala cinese che sembra voler aiutare Lino. Sembrano nomi che vengono dal passato, dalla vecchia ligera, ma le pistole e la violenza che si portano dietro sono tremendamente reali.
Ma c’è un altro incubo dal passato che sta cadendo addosso agli agenti della squadra del commissario Mandelli: sui giornali era stata chiamata la Strage di Natale, un padre di famiglia aveva ucciso la moglie e i figli nella sua casa, per poi cercare di suicidarsi con una mossa di harakiri. Avrebbe dovuto essere un caso chiuso, ma forse non è così. Pinduccio e Mandelli dovranno guardarsi le spalle da questo fantasma dal passato.
Cos’hanno
in comune tutte queste storie tra di loro? I bambini chiusi dentro
una cascina da quest’uomo e dalla strega. Le cinque donne
ufficialmente morte per suicidio, ma che forse suicidi non sono. Il
rapimento della nipote del boss Porratti, che Mario Mandelli deve
liberare stando attendo agli schizzi di fango e di sangue?
Sono
tutte storie legate a traumi del passato, conseguenze del male di
ieri che ancora oggi portano dolore, sangue, paura in
una Milano di fine estate “la
stagione che toglie ogni alibi alla città e la denuda
impietosamente, svelando la sua anima più sincera”.
Storie di abusi, di violenze, e di vittime che a loro volta si sono tramutati in carnefici:
Dovevano trovare qualcuno che soffrisse al posto loro, qualcuno tanto speciale da meritare il paradiso e accogliere l’abbraccio purificatore del fuoco come una gioiosa liberazione. Lui e Lalla dovevano trasformarsi in predatori.
Sono indagini che metteranno a dura prova i nervi e le capacità investigative della squadra di Mandelli, perché le storie di orrore di cui saranno testimoni salderanno ancora di più i legami tra ciascuno di loro. I giovani agenti, sia i “vecchi” sbirri come il commissario alle prese coi primi segnali di stanchezza per l’età che avanza, per il peso di tutto il male di cui è stato testimone.
Sapendo però alla fine di una giornata di lavoro, c’è sempre una strada verso casa, verso la prima pace:
.. gli tornano alla mente le parole di un romanzo di Cesare Pavese: «In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, una certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia». La sintesi perfetta di ciò che prova.
Intenso, scorrevole e con dei rimandi perfino ad un famoso film di Hitchcock (non cito il film per non raccontare troppo): un giallo che colpisce nel segno, buona lettura!
I precedenti romanzi di Gian Andrea Cerone
La scheda del libro sul sito di Guanda
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Mi raccomando, siate umani