04 luglio 2024

Stivali di velluto, di Giuseppina Torregrossa


 

Il verme della mela si chiama carpocapsa. E' un bozzolo che vive incistato sotto la corteccia dell'albero e sfarfalla ai primi tepori. Le larve penetrano nei frutti, scavano gallerie nella polpa, che marcisce. La mela all'apparenza non ne soffre. Attaccata al ramo, si dondola sul suo picciolo, compiacendosi della buccia rossa, mentre il silenzioso ospite la divora dall'interno.
Giulia Vella, profiler, specializzata nella ricerca di serial killer, assomigliava ad una di quelle mele.

È bello, per un lettore come me, scoprire nuovi scrittori che ti sanno convincere delle loro capacità anche con romanzi come questo “Stivali di velluto” che con le sue 156 pagine è poco più di un racconto.

Al centro della storia l’ispettrice Giulia Vella: è una che ha studiato per fare il suo lavoro, alle spalle ha un’esperienza di formazione in America per diventare profiler e analizzare i crimini commessi dai serial killer. Non di certo per riscaldare la sedia come sta facendo adesso a Palermo, aggregata alla sezione Udi, ufficio delitti irrisolti della Mobile.
“La milanesa”, così la chiama il suo antipatico superiore, che non nasconde in alcun modo la disistima che prova nei suoi confronti anche per la nomea di raccomandata che l’ha accompagnata fin da Milano. Nomea nemmeno troppo lontana dalla realtà, essendo figlia del Questore.
A proposito, come mai questa scelta di trasferirsi da Milano fino a Palermo, dove non conosce nessuno? E qual è quella malattia che la sta divorando da dentro, come il verme della mela che si mangia la polpa dall’interno?

Non è una metafora molto lontana dalla realtà: perché Giulia ha veramente un dolore che si porta dentro, legato al suo passato, alla sua vera identità e la cui scoperta sarà una sorta di mistero nel mistero dell’indagine che dovrà affrontare.
Infatti, più per metterla in difficoltà che per aiutarla veramente, il suo dirigente le affida un vecchio caso, oggi lo chiameremmo un “cold case”, scelto col metodo del bussolotto tra i tanti casi irrisolti

L'omicidio era avvenuto il 17 maggio 1977. La vittima, il direttore di un ufficio postale periferico, era stata trovata riversa in una pozza di sangue da un'impiegata appena tornata dalla pausa pranzo.

L’omicidio era avvenuto nel quartiere di Pallavicino, fuori Palermo: ad accompagnarla sul luogo del crimine è l’agente Paola Arena, “cuor contento” è il nomignolo che Giulia le ha affibbiato per il suo carattere remissivo, sempre col sorriso in faccia.
Per la prima volta la “milanesa” scopre la Palermo fuori Palermo, sente parlare del “sacco”, la speculazione edilizia dell’imprenditoria mafiosa che cambiò la faccia della città, condannandola al cemento e alla siccità:

Tutti pensano che in Sicilia manca l'acqua, qui passavano veri e propri fiumi. Il sacco di Palermo ha cancellato giardini, vigneti, vivai, alberi d'alto fusto e le tracce di un glorioso passato..

Chi aveva seguito le indagini aveva archiviato tutto come un delitto avvenuto a seguito di un tentativo di furto ma, leggendo le carte, quel delitto tutto sembra meno che un furto.
Perché il presunto ladro è entrato senza nessuna effrazione, probabilmente è stato il signor Mazza, il direttore ad aprirgli, forse lo conosceva anche.
Poi, nell’ufficio tutto era in ordine, nessun segno come quelli lasciati dai ladri mentre frugano alla ricerca di beni di valore.

.. c'era un'annotazione del medico legale che parlava di un colpo inferto dal basso verso l'alto. Che l'assassino fosse seduto o in ginocchio?

Bisogna andare a rileggersi le carte ma, soprattutto, andare a sentire tutti i possibili testimoni dell’epoca, sempre che siano ancora vivi. Uno di questi è l’ispettore Panseca, un poliziotto che ha ancora un buona memoria:

Gli informatori avevano la bocca cucita.

C'era qualcosa di segreto dietro al delitto. Io comunque alla rapina non ci ho mai creduto.

Le indagini furono chiuse per le pressioni dall'alto: il morto era il genero del capomafia della zona, Don Tano Genco, che probabilmente aveva usato l’ufficio postale per il riciclaggio di soldi sporchi.
Un delitto di mafia?

Anche questa ricostruzione non torna molto.
Panseca però, di fronte alla freddezza di Giulia, da vecchio gentiluomo, la invita a lasciarsi andare:

Ti piacerà vivere qui, dottoressa, c’è il sole che scalda e il mare è respiro vitale. Qui non si muore, al massimo si passeggia in un’altra dimensione. Noi siciliani siamo eterni.

L’indagine diventa un modo per scacciare via tutto il malessere per quel dolore che si porta dentro, legato al suo passato, a quella sua ricerca di identità.
Paradossalmente, anche dentro quel delitto, una volta scoperto il nome dell’assassino, o dell’assassino e il perché, si troverà di fronte ad una questione di identità.
È come se la poliziotta e l’assassino (o assassina) si fossero trovati di fronte allo specchio, ciascuno in grado di vedere il dolore e l’infelicità nell’altro.

Lei è nata infelice. L'ho sentita compagna nel dolore, perciò mi sono fidata di lei.

Forse è arrivato il momento di cacciar via quel verme che ti sta mangiando da dentro e lasciarsi andare di fronte alle bellezze di quella città, il mare, i colori, perfino la bellezza di uno dei mercati rionali

Il mercato era un concentrato di colori. Il rosso delle fragole e dei pomodori, il verde delle fave, dei piselli, della lattuga; l’arancio per la papaya, il viola per le melanzane”.

Pur cadendo un po' in qualche cliché (quando la bella poliziotta scopre l'amore..), rimane una lettura piacevole e interessante, in particolare sul tema dell'identità, sullo scoprire chi siamo veramente (e nell'accettare chi siamo veramente).

La scheda del libro sul sito di Rizzoli
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