24 ottobre 2024

La badante e il professore di Bruno Morchio

C’era questa Natalia che da qualche mese frequentava il Caffè della Posta. Alle due spaccate entrava, si sedeva al tavolo d’angolo, ordinava un cappuccino con tanta schiuma, apriva un libro scritto a caratteri strani e cominciava a leggere senza dare confidenza a nessuno.

Questo La badante e il professore è un ritorno al giallo per lo scrittore ligure Bruno Morchio, autore di una fortunata serie di noir con protagonista il detective dei carrugi, Bacci Pagano.

In questo libro invece l'investigatore, se lo vogliamo chiamare così, è un ragazzetto di 12 anni, Filippo Sarzana, che vive in un piccolo paese sui colli attorno Genova che ogni settimana prende lezioni di italiano da un ex insegante di liceo, il professor Canepa.

A essere sincero, l’idea che il professore avesse accettato di darmi ripetizioni gratis perché la nostra era una famiglia disgraziata non mi riempiva di orgoglio.

A Filippo, chiamato da tutti Sarzanetto, piace andare da questo professore, una specie di istituzione in questo piccolo paese, capace di farlo appassionare ai grandi della letteratura italiana, come Ariosto e i suoi versi per Angelica, come anche le vicende del suo passato, il sessantotto, la contestazione, l'occupazione delle scuole.

Sono anche momenti di distrazione, per sfuggire alla vita familiare difficile dentro cui è cresciuto: un padre perso, caduto in tutti i sensi da un ponteggio, una madre costretta a sgobbare per far studiare i figli e una sorella maggiore, la "secchiona", che ora studia all'università.

Ma in quella casa, del professor Canepa, Filippo incontra anche la "governante" ucraina, Natalia: scappata dalla guerra nel suo paese, aveva trovato lavoro qui, come tuttofare per il professore che si ostinava a chiamarla governante e non badante.

Nonostante quell'aria dimessa, quel voler nascondersi anziché apparire, Natalia aveva qualcosa che faceva ribollire gli ormoni del piccolo Sarzanetto, "certo non era brutta, ma la sua era una bellezza sbiadita, incolore, quasi timorosa di suscitare negli altri una qualunque forma di interesse".

Ma un giorno, di ritorno da una pausa ciottolata nel bar del paese, Natalia e Filippo si trovano davanti il corpo del professore: ucciso da un colpo alla testa col busto di Leopardi.

Chi può aver ucciso questa persona stimata da tutto il paese, da cui erano passati diverse generazioni di studenti?

Filippo si ritrova di fronte, per la prima volta nella sua vita, alla morte, alla consapevolezza di aver perso, e in modo definitivo, qualcuno di importante. Non solo, per la prima volta si trova di fronte alla legge: di questo delitto si occupa il vice questore Lojanocono che, sin dal primo interrogatorio, insinua, nelle domande che pone al ragazzo e a Teresa, la sorella, il dubbio che dietro il delitto ci sia la stessa Natalia.

«Come lo chiamava?» 

«In che senso?» 

«Hai detto che gridava, cosa gridava?» 

«Il suo nome. Ripeteva “Carlo, Carlo, Carlo”...» 

«E quello era il modo in cui lo chiamava di solito?» 

«No, di solito diceva Professorecanepa..»

Anche in paese, un piccolo paese chiuso dove le chiacchiere iniziano a girare e non sempre ispirate a buoni principi, in tanti iniziano a parlare alle spalle di Natalia: eh, le donne dell'est, sono tutte uguali..

No, la sua Natalia, quella donna che gli aveva fatto delle confidenze anche intime, che gli faceva bollire il sangue, non poteva essere l'assassina.

Doveva essere lui a dimostrare la sua innocenza, non poteva lasciarla nelle mani della macchina della giustizia.

Spinto da questo anche ingenuo, ideale di giustizia, inizia così a seguire Natalia nelle sue passeggiate a Genova, la grande città. Cerca una sponda nel cronista locale, Serafino Costamagna, il Costa: un ragazzo vestito in modo "scarmigliato", uno che lavorava per il giornale locale sempre in attesa della grande notizia da seguire. 

Eccola ora servita su un piatto d'argento: la morte di un anziano signore per mano di un assassino da scoprire.

Questa indagine, che ci viene raccontata in prima persona dalla voce di Filippo, costituirà anche un suo percorso di iniziazione, spazzando via quelle illusioni che aveva fino a poco tempo prima: perché la vicenda si mostrerà più torbida di quanto immaginasse, anche l'immagine della sua Natalia verrà sporcata e non dai pettegolezzi della gente della vallata, una zona dell'entroterra genovese spogliata del suo passato industriale.

Chi ha letto i precedenti romanzi di Bruno Morchio potrebbe trovare leggermente spiazzato: in quest'ultimo si fa largo uso dell'ironia, specie per descrivere certi personaggi da "bar" che potremmo trovare in tanti paesi della provincia italiana.

Il baby pensionato che pensa di sapere tutto e che su tutto deve pontificare. Il giornalista che vive solo e la cui macchina è una discarica, chiamato gentilmente dai paesani "scorreggione".

Il razzismo latente nei frequentatori del bar. Il burbero vicequestore di polizia, con la barba sfatta e l'aria stanca.

C'è però, come in altri romanzi, penso a Dove crollano i ponti, il racconto della periferia di Genova, abbandonata a sé stessa dalla fine dell'era industriale, una zona dove non solo crollano i ponti ma anche le aspirazioni e le illusioni delle persone.

E poi c'è Genova, con i suoi tesori tenuti ben nascosti nei palazzi della borghesia bene. 

Lo ha raccontato domenica scorsa Bruno Morchio alla Passione per il delitto: diversamente dagli altri centri storici, a Genova è difficile riconosce il censo delle famiglie dentro un palazzo guardando la facciata. Bisogna andare oltre la facciate dei palazzi, cercare di varcare i loro portoni, farsi invitare dentro per ammirarne le bellezze:

«Quello che invece mi ha sempre colpito della città vecchia è il suo pudore.» 

«Il suo pudore?» 

«Esatto: è piena di bellezze, che però non si lasciano vedere. Dietro portoni che ricordano quelli di una stalla si aprono scale di marmo e pareti decorate con meravigliosi azulejos. [..]»

«Solo che, per vederle» ha proseguito, «bisogna sapere che esistono. La mia idea è che le famiglie aristocratiche avevano paura dell’invidia dei poveri e perciò evitavano di mettere in mostra le bellezze che possedevano.»

Il badante e il professore è una storia di tradimenti, di rancori all'interno della cerchia familiare, rancori e avidità. Ma anche di protezione, prendersi cura tra fratelli, capirete alla fine il perché.

Attenzione, arrivati alla fine non ci sarà una verità consolatoria ad attendervi: alla fine si scoprirà che tutti hanno ingannato e sono stati ingannati, a parte il lettore.

La scheda del libro sul sito di Mondadori e la presentazione dell'autore.

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