03 novembre 2024

Anteprima inchieste di Report - il laboratorio di Israele e le prossime elezioni americane

Stasera Report si occuperà della destra mondiale: quella di Israele, “come laboratorio della destra internazionale”, e di Gaza “usata come laboratorio per testare le armi”. Poi la destra di Trump e le elezioni americane, con un racconto dei rapporti inediti del candidato repubblicano con gli italo americani.

La guerra di Israele a Gaza

Per mesi abbiamo sentito dire, dai giornalisti, gli opinionisti, quelli che ne sanno insomma, che quella di Israele a Gaza era una guerra legittima, in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, con la morte di migliaia di persone e il rapimento di 250 ostaggi.

E le morti civili? Da imputare ad Hamas, questo dicevano nei talk, se liberasse gli ostaggi finirebbe tutto.

Poi, di fronte alle immagini delle macerie, al numero di morti civili crescente, donne e bambini, questa narrazione tossica è diventata insostenibile.
A Gaza, se non è un genocidio, parola tabù fino a poco tempo fa, sta accadendo qualcosa di grave.
“Ho ordinato un assedio totale sulla striscia di Gaza, non ci sarà elettricità, benzina, cibo, chiuderemo tutto, stiamo combattendo contro animali umani e agiamo di conseguenza”: così parlava all’indomani della strage il ministro Gallant con l’annuncio dell’operazione Spada di ferro, l’operazione più sanguinosa messa in atto dall’esercito israeliano, partita con bombardamenti indiscriminati su Gaza e poi passata ad una invasione di terra che sembra non arrestarsi mai. Come aveva detto il ministro, i bombardamenti non stanno distinguendo civili e miliziani di Hamas. Siamo arrivati a 41mila vittime, secondo il ministero della salute di Gaza, la stragrande maggioranza di questi è gente comune, quasi 17 mila sono bambini e, tra questi, quasi duemila avevano meno di due anni.

La parola genocidio è stato un tema divisivo nel dibattito politico dei singoli paesi europei non solo in Italia: Giorgio Mottola ha intervistato il professor Raz Seagal - professore di storia dell’Olocausto, che racconta come gli attacchi contro di lui sono arrivati dopo un articolo sull’attacco di Israele a Gaza, definito un “caso da manuale di genocidio”.
Dopo questo articolo è scoppiato uno scandalo perché alcune associazioni ebraiche del Minnesota lo hanno attaccato sostenendo che la sua posizione sull’attacco lo rendeva incompatibile con l’incarico di direttore del centro studi per l’Olocausto, così pochi giorni dopo il rettore dell’università gli ha scritto ritirando l’offerta di lavoro.



Eppure le posizione di Raz Seagal, presentate nei suoi articoli scientifici sono condivise tra i sessanta più importanti studiosi di Olocausto. Lo scorso dicembre hanno pubblicato un documento in cui spiegano perché a Gaza si stia compiendo un genocidio.
La Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite definisce come autore di un genocidio chiunque compia almeno una di queste cinque azioni, con l’intento di distruggere nella sua interezza o in parte un gruppo etnico o religioso:
- se ne uccide i membri

- se li danneggia fisicamente o psicologicamente

- se infligge condizioni di vita tali da causarne la distruzione

- se ne limita la procreazione

- se ne deporta i figli

A Gaza si assiste alla dinamica della violenza genocida declinata secondo queste cinque azioni : i massimi livelli militari e istituzionali del paese lo hanno annunciato fin dall’inizio in modo chiaro che il loro intento è distruggere Gaza. Sono partiti subito bombardamenti indiscriminati, Israele ha usato le proprie bombe più potenti nel sud di Gaza, nelle aree che aveva indicato come sicure. Migliaia di rifugiati erano adnati lì perché Israele aveva detto ‘andate lì’ e l’esercito poi li ha bombardati. E questo è proprio uno dei casi descritti dalla Convenzione internazionale, creare le condizioni per distruggere fisicamente un gruppo etnico, nella sua totalità o in parte. Non dimentichiamo che il ministro della difesa israeliano ha definito gli abitanti di Gaza come animali, l’indicazione di una intera popolazione civile come nemica è alla base di qualsiasi meccanismo genocidiario. ”
La posizione del professor Seagal e degli altri accademici è stata contestata da una larghissima parte del mondo ebraico e dell’occidente filo-israeliano. L’accusa di genocidio contro Israele viene infatti considerata come un pericoloso segnale di recrudescenza dell’antisemitismo internazionale.

Per mesi ci si è scontrati, anche qui in Italia sulla parola “genocidio”: “certo che non è genocidio, perché chi lo dice fa antisemitismo perché paragona Israele al nazismo” – queste le parole di Fiamma Neirenstein, per anni giornalista ma con anche un’esperienza politica nel Popolo della Libertà, oggi consulente del governo di Israele nella lotta contro l’antisemitismo.
Ci sono stati altri genocidi nel mondo ma – spiega la giornalista – “se lo si riferisce agli ebrei è chiaro che si tratta di criminalizzazione dello stato di Israele e la criminalizzazione degli ebrei è assimilabile all’antisemitismo”.
A spaventarla non sono solo gli episodi di antisemitismo, aumentati del 400% dopo il 7 ottobre, ma anche le manifestazioni in piazza a favore della Palestina.
In queste manifestazioni, spiega al giornalista di Report, si esprime anche odio verso gli ebrei: esprimere una critica allo stato e al governo di Netanyahu è antisemitismo, “sono vent’anni che spiego che l’antisemitismo che prima era religioso, poi è diventato razzista e poi è diventato odio per lo stato di Israele.”

Il servizio di Giorgio Mottola ha ricostruito l’attacco di Hamas del 7 ottobre, preparato con cura e che ha colto di sorpresa le forze militare che presidiavano i varchi delle recinzioni erette nel 2007 che rinchiudono il territorio di Gaza: è stata molto più che una azione terroristica – racconta il giornalista – alle 6 del mattino un migliaio di miliziani iniziano ad attraversare il confine occidentale della striscia, neutralizzano le difese israeliane, i carri armati di giardia e le torrette di avvistamento. Altri miliziani sono arrivati via mare, altri dal cielo con i deltaplani: dapprima attaccano le basi militari, sparando per uccidere i militari e prendendo i superstiti come ostaggi. Poi i miliziani si sono diretti verso sei centri urbani, uccidendo chiunque incontrassero per strada, una volta arrivati nei centri residenziali hanno iniziato a sparare contro le case, senza risparmiare nessuno, donne e bambini. L’obiettivo civile più importante è il Nova Fest, il rave party dove si erano radunati migliaia di giovani. È la mattanza dei ragazzi e delle ragazze, uccisi sul posto o rapiti. 1151 persone uccise di cui 274 i soldati e 859 i civili, tra loro 2 neonati e 46 sotto i diciannove anni. Gli ostaggi catturati sono stati 251 nascosti nei bunker di Hamas a Gaza.
LA risposta di Israele è arrivata subito, annunciata dalle parole del ministro Gallant, con l’operazione Spade di ferro, con una delle operazioni più sanguinose del paese. Coi bombardamenti, coi droni militari, con l’invasione dell’esercito per cancellare Hamas ed eliminare tutti i suoi miliziani. Ma al momento, ad essere cancellata, sembra essere la Striscia di Gaza, con bombardamenti che non discriminano miliziani e civili.


Uno dei passaggi più importanti del servizio riguarderà le armi che Israele usa a Gaza diventata laboratorio bellico della difesa israeliana: armi sperimentate sul campo, sulla pelle dei civili e che poi vengono vendute ad altri paesi, come l’Italia. Ad esempio l’intercettore mostrato nell’anteprima del servizio. Giorgio Mottola ha incontrato ad una “fiera delle armi” un rappresentante dell’ufficio stampa della Elbit System che lodava questo sistema antimissile che consente di localizzare da dove viene l’attacco e lanciare in risposta un missile intercettatore, ora stanno provando a venderlo all’Italia, caso mai anche noi venissimo attaccati, chessò, dalla Francia o dall’Austria. Negli ultimi dieci anni l’industria bellica israeliana ha aumentato del 100% le esportazioni, raggiungendo nel 2023 la cifra record di 12 miliardi di euro, quasi il doppio dell’Italia che è però un paese dieci volte più grande. Israele è il nono esportatore in armi nel mondo, ma in rapporto al numero di abitanti risulta il paese che guadagna più al mondo dall’export di armi (siamo a 1300 euro per abitante, mentre in Italia il rapporto è a 100 euro pro capite).
Shir Hever – economista del movimento BDS (il movimento europeo per il boicottaggio di Israele) racconta a Report come in molti paesi europei il rapporto dell’import export delle armi è 80-20, 80% per uso domestico e 20% per esportazione, in Israele è l’opposto, il 20% delle armi prodotte è per uso domestico, il resto è venduto all’estero.
“Secondo le convenzioni internazionali è vietato vendere o acquistare armi da paesi che sono sospettate di compiere crimini di guerra o peggio ancora che sono accusate di genocidio. Perciò formalmente è illegale comprare armi da Israele ”.
Nonostante questo alla fiera d’armi più grande d’Europa sono esposti pronti per essere venduti i prodotti delle principali aziende israeliane del settore della difesa, come SmartShooter, azienda che usa l’intelligenza artificale per potenziare le armi usate in guerra. Come i fucili montati di telecamera per garantire la massima precisione del tiro, per uccidere le persone. “Si può centrare l’obiettivo al primo colpo” viene garantito: sono armi vendute all’esercito di Israele che vengono usate a Gaza come a dire, sono armi provate sul campo, nel corso di un esercizio bellico reale. Sono armi vendute anche all’Italia: per i clienti è importante sapere che queste armi sono state testate con successo su un vero campo di battaglia: “se vai alla BMW e chiede se la loro macchina è la migliore ti diranno ‘certo è la migliore’, qui in questa fiera ognuno dira che il suo prodotto sia il migliore ma se un esercito l’ha sperimentato sul campo è come avere una recensione indipendente. Se l’esercito israeliano dice usiamo quest’arma sul campo, è fondamentale. Il miglior spot commerciale”.
L’operazione militare a Gaza costituisce il miglior spot commerciale possibile per la maggior parte dei produttori israeliani che stanno rifornendo armi all’esercito di Tel Aviv.
Non ho parole per commentare questa deriva bellicista.

Un altro passaggio del servizio riguarderà lo stretto rapporto tra la destra italiana e i movimenti a supporto dell’attuale governo di Tel Aviv come anche lo stretto rapporto tra la destra italiana con la destra europea: Nazione futura, think tank d’area di Fratelli d’Italia e dell’orbaniano Danube Institute sono, assieme alle fondazioni americane e israeliane, i promotori degli eventi europei dei movimento nazional conservatore che nel 2020 ha avuto il suo battesimo in Italia quando a fare gli onori di casa c’era Giorgia Meloni.

Nell’ultimo caso di “spionaggio”, l’inchiesta su Equalize l’agenzia de security milanese con forti agganci negli apparati di stato e con la politica, è emersa la collaborazione dei servizi israeliani: Report torna ai tempi del governo Renzi, quando l’ex presidente aveva proposto la creazione del’agenzia si cybersecurity nazionale, che doveva essere affidata a Carrai, amico e collaboratore di Renzi e anche console onorazio di Israele, “perché Israele ha tante cose sulla cybersecurity ha tante cose che potremmo copiare”.


Renzi aveva chiesto esplicitamente a Carrai come avrebbe gestito lui questa agenzia, dove avrebbe speso i primi fondi: quest’ultimo replica che la prima cosa da fare è l’adozione di software israeliani per il riconoscimento facciale che analizzando i dati delle telecamere riescono a capire se una persona sta per compiere un reato. Come quelli usati in Cisgiordania. Non è una richiesta casuale, all’epoca il cuore delle aziende di sicurezza di Carrai era in Israele, come israeliani erano i suoi soci, molti dei quali arrivavano dagli apparati di sicurezza.
“Marco Carrai, prima che diventassi presidente, collaborava coi servizi segreti italiani [non israeliani]” ha risposto l’ex presidente Renzi: è una notizia quella che da a Report, ma agli atti (delle inchieste su Renzi) risultano solo i rapporti tra l’imprenditore e dirigenti di Aisi e Aise, come il generale Luciano Carta e il dirigente Beniamino Nierenstain, figlio di Fiamma Nierenstain (nel corso del 2015).
Ma in base ai documenti di cui Report è in possesso, Carrai aveva rapporti stretti anche con Yossi Cohen, una delle figure apicali dei servizi segreti di Israele.
No – spiega Renzi – Cohen era nello staff di Netanyahu non era ancora capo del Mossad e l’ho incontrato io: quando nel 2016-17 è diventato capo del Mossad ha collaborato coi governi Gentiloni, Conte e Draghi.
Cohen, come riporta Il Guardian, avrebbe fatto delle pressioni e rivolto minacce contro un giudice della Corte Penale Internazionale che stava per chiedere l’arresto del premier israeliano per crimini di guerra.

Diversamente da come ricorda Renzi, Cohen era già direttore del Mossad quando Carrai va ad incontrarlo nel periodo della trattativa per diventare capo dell’agenzia di cybersecurity in Italia e il rapporto con Cohen va avanti anche negli anni successivi.
Nel 2019 Carrai scrive a Renzi una mail in cui Cohen, mentre ricopriva l’incarico di direttore del Mossad, si proponeva come intermediario con l’India per le aziende italiane.

La scheda del servizio: Il laboratorio di Giorgio Mottola

Collaborazione di Silvia Scognamiglio e Greta Orsi

Immagini di Omar Awwad, Chiara D’Ambros, Carlos Dias e Alfredo Farina

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Report ricostruisce come Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale

Dopo l'attacco terroristico di Hamas contro postazioni militari e insediamenti civili israeliani il 7 ottobre dello scorso anno, in cui sono morte circa 2000 persone, il governo di Benjamin Netanyahu ha lanciato una campagna a tappeto per colpire Hamas nella Striscia di Gaza. A pagare sono stati soprattutto i civili: secondo le fonti sanitarie di Gaza i morti al momento sono oltre 43.000, almeno 17.000 sarebbero minori. La Corte internazionale di giustizia ha avviato un procedimento in cui lo Stato di Israele è accusato di genocidio. Report ha ricostruito come negli ultimi vent'anni Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale mentre a Gaza le industrie belliche e della cybersecurity israeliane testano le loro armi e i loro prodotti, che vengono poi rivenduti all'estero e anche in Italia.

I sostenitori italiani di Trump

Martedì si vota e mercoledì in Italia sapremo il nome del prossimo presidente americano: potrebbe esserci, nonostante i processi, nonostante le accuse sulle responsabilità per l’assalto al Campidoglio il giorno dell’insediamento di Biden, il ritorno di Donald Trump. Tra l’altro, l’ideologo della sua passata campagna elettorale e anche l’ideologo della nuova destra mondiale, Steve Bannon è stato rilasciato e ora potrà riprendere la sua campagna elettorale per i repubblicani. Potrebbero vincere loro, prendendo voti perfino dalla comunità afroamericana, sicuramente i voti arriveranno dagli italo americani: una volta erano il serbatoio di voti dei democratici, oggi, come racconterà il servizio di Report, in tanti nella comunità italiana votano per Trump (almeno ad ascoltare gli umori della piazza dove si festeggiava il Columbus Day). Un paradosso se si pensa che sono i figli e i nipoti di quanti, tanti anni fa, sono emigrati dal nostro paese per cercare fortuna “all’America”. Un po’ come oggi succede agli emigrati che dal sud del continente vogliono arrivare negli Stati Uniti dovendo affrontare il muro e le tante milizie sovraniste, pronte anche a sparare.
“Trump fa avere rispetto all’America, agli italiani a tutto”, dicono: ma il legame con la comunità degli italiani nasce molto prima di quanto l’ex presidente si buttasse in politica. Risale ai tempi in cui The Donald era un giovane palazzinaro e le famiglie mafiose italiane controllavano il business delle costruzioni.
Lo racconta a Report il giornalista investigativo David Cay Johnston: le relazioni con la mafia iniziano con sui padre, Fred Trump, che dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York City. “All’epoca aveva bisogno di molto aiuto da parte dei mafiosi” continua il racconto “perché l’industria delle costruzioni era, e in una certa misura lo è ancora, controllata dalla mafia. Stringendo un’alleanza con Willie Tomasello, associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, i Genovese e i Gambino, Fred Trump riuscì a garantire che i suoi progetti fossero realizzati senza problemi coi sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. E in cambio Fred Trump li pagava.”
A fare da ponte con la mafia sarebbe stato il suo avvocato Roy Cohn, all’epoca difensore di fiducia dei più grandi boss di N.Y. tra cui Antony Salerno.

A raccontare dei rapporti tra Trump e la mafia di N.Y è anche Murray Richman l’avvocato che per sessant’anni ha difeso tutte le famiglie mafiose della città e ha avuto a che fare coi principali boss della grande mela, proprio come Salerno, boss della famiglia Genovese in passato guidata da Lucky Luciano.
Trump era solito andarlo a trovare – racconta a Report Richman – Trump e Tony Salerno si conoscevano, l’avvocato Roy Cohn li ha messi in contatto.

Nel servizio verrà intervistato John Alite “ex killer della più potente famiglia mafiosa di New York, i Gambino di John Gotti, con alle spalle almeno 7 omicidi e un centinaio di pestaggi ”: anche lui è uno dei supporter dell’ex presidente Trump, aveva anche preso parte all’assalto di Capitol Hill.
Sta con Trump perché sa di avere una sua influenza politica, per quel milione di visualizzazione dei suoi video su Tik Tok.
Lo ammette candidamente, i pestaggi, l’aver sparate a delle persone poi dalla vocazione per i pestaggi è passato alla vocazione politica, con l’assalto al congresso nel 2020 dopo la vittoria di Biden. Cosa succederà se Trump non dovesse vincere? “Vedrai proteste in tutte le strade, come protesteranno queste persone? Alcune in modo violento, altre semplicemente protesteranno per strada, ma non sarà tutto a posto perché sarà la fine della libertà”.
Gira una foto di Alite con Trump che ha causato qualche imbarazzo a Trump, che si è difeso dicendo di non conoscere l’ex killer, ma non è vero. Alite ha incontrato Trump la prima volta negli anni 90, nei suoi casinò, si sono incontrati decine di volte, è stato persino nella villa di Mar-A-Lago.

Un altro sostenitore di Trump è Joe Merlino ex boss della mafia di Philadelphia, oggi influencer e podcaster. La gente lo ama, si fa fotografare con lui, è uno capace di influenza le scelte delle altre persone, per esempio a votare Trump “a tutti i costi”, “il più grande presidente degli Stati Uniti”, se dovesse perdere potrebbe tornare in Italia.
Nei suoi podcast parla di politica, di cibo e di “rats”: chi sono queste persone? Sono quelli che parlano e che lui cerca di smascherare. Si ritiene in ex mafioso? Assolutamente no, “non so niente della mafia, fbi è la mafia..”
Alla domanda del giornalista sugli affari di Trump nelle costruzioni e dei rapporti con le famiglie mafiose l’influencer inizia a cambiare tono, “ti ho detto che non volevo parlare di questa roba”.
Lasciate stare in pace Trump, ripete al giornalista di Report che, come si capisce dal video, non è persona gradita da questo gruppo di sostenitori del candidato repubblicano (con tanto di insulti..).
Un mafioso non perde il vizio di fare intimidazioni, una volta mafioso, sei sempre mafioso, a meno che diventi un pentito: “devo dirtelo, quello che hai fatto è molto poco professionale.. perché parlavi della mafia, cosa c’entra la mafia con tutto questo .. scopriremo chi sei e cosa stai facendo .. se c’è un modo per rovinarti lo faremo. Che ne dici?”.
Insomma, parlare di certi argomenti è tabù, tra i supporter di Trump: le minacce sono il prezzo per aver posto domande scomode agli influencer come Merlino.

Giampiero Calapà sul Fatto Quotidiano ha pubblicato una anticipazione del servizio

Report: l’impero di Trump costruito coi soldi della mafia

alle 20.30 in tv - “Incontrò il boss Tony Salerno”

Di Giampiero Calapà

Donald Trump ha sempre negato di aver incontrato e intrattenuto rapporti con le famiglie mafiose italo-americane di New York City. È una storia di cemento, acciaio, grattaceli, casinò, gangster e soldi, molti soldi, quella che racconta Report – stasera alle 20.30 su Rai3 – riscrivendo parte dell’epopea di The Donald proprio nell’imminenza del voto americano per la presidenza degli Stati Uniti.

Sarebbe già diventato presidente sconfiggendo Hillary Clinton, Trump, se non avesse avuto alle spalle un impero immobiliare da 3,9 miliardi di dollari? domanda Report, fornendo qualche risposta: “Una fortuna che nasce con il padre Fred che ha fondato la Trump Organization, maturata grazie anche ai proventi dei tre casinò costruiti negli anni Ottanta: Harrah’s at Trump Plaza; il casinò di Hilton; l’ultimo nel 1990, il Trump Taj Mahal, il casinò più grande al mondo realizzato con un investimento di un miliardo di dollari. Oggi tutti falliti, ma all’epoca furono la chiave delle fortune di Trump. Con il contributo di chi?”.

Il servizio di Sacha Biazzo fornisce alcune risposte. Al microfono della Rai parla il giornalista investigativo David Cay Johnston, già premio Pulitzer: “La relazione con la mafia italiana a New York iniziò con suo padre, Fred Trump. Dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York. All’epoca aveva bisogno di un grande aiuto da parte dei mafiosi, perché l’industria delle costruzioni a New York era, e lo è ancora, controllata dalla mafia. Fred Trump strinse un’alleanza con Willy Tomasello, un associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, Genovese e Gambino. E così riuscì a garantire che i suoi progetti venissero realizzati senza problemi con i sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. In cambio Fred Trump pagava la mafia”.

La scheda del servizio: Make America Italian Again di Sacha Biazzo

Montaggio e grafica di Monica Cesarani

I collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana

Report ha rintracciato una serie di possibili e mai esplorati collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana, attraverso nuove testimonianze di ex boss della mafia, investigatori, legali, e alcuni strettissimi collaboratori che in passato lavoravano con l'attuale candidato alla Casa Bianca. L'inchiesta svela come, dai tempi della costruzione della Trump Tower ad oggi, Trump non avrebbe mai smesso di dialogare, direttamente o indirettamente, con boss ed ex killer della mafia italo americana. Sarà proposta una prospettiva senza precedenti su come Trump, dai suoi primi affari a Manhattan fino all’attuale corsa elettorale, possa essere rimasto legato a figure di spicco delle famiglie mafiose. Un'inchiesta che porterà a interrogarsi sulla possibile influenza della mafia italo-americana nel determinare il futuro presidente degli Stati Uniti.

L’influenza dei social media sulla democrazia

I social in queste elezioni hanno un ruolo importante: Report racconterà del lavoro di Tanisha Long e della sua associazione, “Abolition Law Center” che si occupa di dare supporto alle persone che escono dal carcere, a Pittsburgh. Qui le persone finiscono direttamente dal Tribunale al carcere, senza vedere la luce. Il suo gruppo si batte da anni contro le terribili condizioni di vita dei detenuti del carcere di Allegheny, offrendo supporto e assistenza a chi non può permettersi la tutela legale e a chi, dietro le sbarre, ha subito abusi e violenze e cerca di ricostruirsi una vita una volta fuori.
“Questo carcere ha il più alto tasso di morti in carcere del paese, nella nostra contea i neri sono il 13% della popolazione, ma rappresentano il 60% dei detenuti”.
È fondamentale sensibilizzare i giovani su questi temi e per questo usano i social network, come Facebook: i contenuti postati prendono pochi like, da pochi mesi – racconta Tanisha – Meta filtra i contenuti con l’intelligenza artificiale tramite immagine e parole. Anche nelle foto, dove lei indossa la Kefiaf riceve meno like del solito, è una sorta di censura.
La nuova policy di Meta che limita la diffusione di contenuti politici penalizza gli attivisti social come Tanisha: su Facebook e Instagram ha portato avanti per anni le raccolte fondi per aiutare chi usciva di prigione.
Un giorno, mentre cercava di raccogliere tremila dollari per un suo assistito, il figlio era morto in prigione e volevano procurargli una lapide. Quando ha pubblicato un post dove spiegava che ra stata la polizia ad ucciderlo, nessuno donava. Allora ha cambiato strategia, creando un post dove invitata i follower a leggere un libro nella didascalia successiva c’era la raccolta fondi e ha funzionato: “i social media ci hanno aiutato ad aumentare il coinvolgimento delle persone anche fuori dalla nostra città”, come successo anche col video della morte di George Floyd.

La scheda del servizio: Meta-Politica di Lucina Paternesi

Collaborazione di Roberto Persia

Immagini di Alessandro Spinnato

Ricerca immagini di Tiziana Battisti

Montaggio di Francesca Pasqua e Michele Ventrone

Grafiche di Michele Ventrone

Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network.

Da febbraio di quest’anno Meta ha deciso di implementare una nuova limitazione sui contenuti di tipo politico su Instagram e Threads, l’ultimo social nato in casa Zuckerberg. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica e l’assalto a Capitol Hill fomentato dalle fake news che circolavano su Facebook, Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network. Ma chi decide cosa è politica? E quali sono le voci che rischiano di sparire dal dibattito pubblico? Viaggio in un’America spaccata in due che si appresta a scegliere il nuovo Presidente tra attivisti, influencer e giovani che reclamano spazi fisici e digitali per esprimere il proprio dissenso.

Fratelli, sorelle e parenti vari d’Italia

Report tornerà ad occuparsi della gestione del ministero della cultura col ministro Giuli: nei giorni passati il ministro ha nominato il suo nuovo capo di Gabinetto, sarà Valentina Gemignani a prendere il posto di Francesco Spano. Moglie del deputato catanese Basilio Catanoso con precedenti incarichi alle spalle nella pubblica amministrazione nel ministero delle Finanze.
Nel servizio si parlerà anche dell'incarico affidato ad Antonella Giuli, che per anni si è occupata della comunicazione del partito e a gennaio è stata assunto all'ufficio stampa della Camera. 

La scheda del servizio: La Sorella d'Italia di Giorgio Mottola

Collaborazione di Greta Orsi

Immagini di Fabio Martinelli

Montaggio e grafiche Giorgio Vallati

Report torna con novità importanti sulle vicende che hanno coinvolto la recente gestione del Ministero della Cultura.


Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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