Incipit (grazie a incipitmania)
«Rocco? Sali che è pronto».
«Mo vengo, ma’».
«Mo vengo è adesso! No fra due ore».
«Sto a aggiusta’ la bici».
«Quale bici? Tu non ce l’hai ’na bici!».
«Quella de Furio. Ha bucato».
«E se è de Furio, falla aggiusta’ a lui e vieni su che la pasta se scoce!».
«A ma’?».
«Che c’è?».
«Pò magna’ pure Furio da noi?».
«Pò magna’ sì. A Patrizia dopo la chiamo io».
«Signo’, so’ Furio. Mamma a casa non c’è. È annata al San Gallicano, dice che prima delle tre nun rientra».
«E allora vie’ su co’ Rocco, fijo, che magnamo subito. Lasciate giù la bicicletta, forza un po’!».
«A ma’, se lasciamo giù la bici nun ce ritrovamo manco la gomma bucata».
«E allora portatela su, che ve devo di’? Sul pianerottolo però, sinnò se entra la bici uscimo noi».
«Va bene, ma’… salimo».
«Va bene signo’. Grazie».
«E de che, Furio? Addo’ nun se magna in tre, nun se magna manco in quattro».
Onestamente, non mi ricordo più a che numero siamo nella serie di Antonio Manzini con Rocco Schiavone, ma poco importa: quest'ultimo conferma la direzione che l'autore ha voluto dare alla sua creatura, un uomo che vive col ricordo del suo passato che riesce ad abbandonarsi alle spalle e con un futuro davanti che non vuole vedere.
Sin dall'inizio si viene proiettati in questa dimensione dei ricordi della sua gioventù romana, altri ricordi faranno capolino qua è la nelle pagine di questa nuova indagine che, da lettore, sembra non finire mai, quanto è intensa è lunga.
Un'altra giornata ad Aosta stava per cominciare e Rocco aveva solo voglia di spararsi un colpo alla tempia per non vedere più albe così belle.
Ecco, questo è il sentimento in questo novembre per il nostro Rocco: i ricordi, Marina che viene a trovarlo ogni tanto, ricordandogli che deve vivere, non cullarsi nel passato. "Nazireo" è la parola che gli lascia, in quel loro gioco privato sulle parole sconosciute.
Ma non è facile lasciarsi tutto alle spalle: la fine di Marina, la fine del rapporto con Sebastiano, tutto quel fango dentro cui è costretto a sguazzare. E anche il presente non invoglia a sentirsi leggeri: l'ultima indagine in cui si era imbattuto in questi attivisti dell'ambiente, ELP, aveva acuito quel velo pessimismo sul suo futuro e, in generale, su quello di questo mondo.
La fine del pianeta lo amareggiava più dell'idea della sua morte. Non si era mai sentito necessario, ma un ospite di passaggio il cui unico compito era lasciare tutto in ordine pulito come l'aveva trovato, il leitmotiv dei cartelli appesi nei cessi degli autogrill.
A peggiorare le cose sarà l’arrivo dell'ennesima "rottura" del decimo livello - secondo quella che la sua personale classificazione degli eventi peggiori che possono capitargli, ovvero un omicidio da risolvere.
Si tratta di un ciclista che viene trovato in fondo ad una scarpata, investito da un'auto pirata che non si è fermata a soccorrerlo.
No, non è un incidente come tanti altri (sempre troppi): non ci sono tracce di frenate, non c'erano problemi di visibilità in quel tratto di strada e, come gli conferma Michela Gambino, la responsabile della scientifica, l'auto ha cambiato corsia per impttare la bici. Si tratta di omicidio.
E non sarà un caso semplice: il morto si chiamava Paolo Sanna, non si capisce che lavoro faceva per vivere, aveva dei parenti, ma lontano da Aosta, una fidanzata a Mestre da cui si era lasciato. Aveva girato diverse città, negli anni.
E, cosa che colpisce Rocco, la sua casa sembra quella di un residence: impersonale, vuota, fredda.
Cosa aveva davanti? Un uomo che sembrava non abitare la sua casa, non avere un lavoro, che cambiava spesso residenza, città, a volte paese. Sportivo, ma neanche troppo. Una specie di ectoplasma che viveva ai margini della società, slegato da rapporti sociali o amorosi, e al contrario degli altri esseri umani, non aveva voglia di lasciare traccia del suo passaggio.
Tocca iniziare un'indagine partendo dalle poche tracce lasciate: i parenti, la fidanzata, quegli strani (perché particolari e fatti tanti anni prima) tatuaggi sul corpo, un pugnale e una scritta in latino che recita più o meno "su ciò che è stato fatto non puoi tornare indietro".
A cosa si riferiva questo Paolo Sanna? A quale "fatto" del suo passato?
A questa indagine parteciperà tutta la squadra, perfino Caterina Rispoli dal ritorno dal matrimonio con quello che Rocco ha definito come lo “gnu” (Rocco deve trovare per ogni persona l’equivalente animale). E poi tutti gli altri, Scipioni, Deruta, Casella (e il figlio di Eugenia abile coi commputer e nelle ricerche ai limiti della legalità). E poi D'Intino, bruciato dall'esperienza con Pupa e che ora, per trovare una compagna, si decide ad iscriversi ad un sito di incontri.
Ma serve una scheda con cui presentarsi, con tanto di hobby:
«Hobby?» chiese spiazzato D’Intino.
«Sì, che ti piace fare?»
«L'amore!» e preso un altro calzoncello.
«Madò… Sei fesso? Se a una le scrivi così pari un maniaco sessuale. No, che ti piace, tipo lo sport? Il cinema? I libri?»«Mettici ferramenta» rispose a bocca piena.
Casella storse un poco il capo. «Un negozio?».
«Mi piace andare a guardare gli attrezzi nei ferramenta, senza accattà niente, però.»
Partendo dai numeri di telefono lasciati sulla sua rubrica e su altri “strani” numeri, l'indagine su questo fantasma porterà Rocco in giro per il nord Italia, Udine, Ancora, Vercelli. Fino a l’Aquila, la città del terremoto del 2009, la città dove le persone non si sono dimenticate di quello che è successo nella notte del 6 aprile. La gente qui ha la testa dura, ancora ha voglia di ricordare:
«Ricordare che cosa?»
«Chi ci ha lasciato la buccia, chi ha costruito con la sabbia del mare, eppure a ricordasse che il settimo paese più industrializzato del mondo in tanti anni ancora non è riuscito a ricostruire una delle più belle città d'Italia. Fanno bene alla memoria cose così.»
Questo fantasma era un uomo che aveva paura, si stava nascondendo da qualcuno che aveva a a che fare col suo passato (ancora una volta viene fuori questo tema) e con quello delle altre vittime di una mano omicida che sembra seguire un filo comune. Un filo che lega queste morti e che porta ad un cimitero in un paesino sperduto nel Friuli, Erbacore, sopra Cividale.
La veda come una collana o tutte le pietre che sono i sei cadaveri mi manca il filo di collegamento che le tiene unite.
Ma c’è un’altra
indagine che Rocco è costretto a seguire, anche facendosi aiutare
dai suoi due amici, gli ultimi fratelli che gli sono rimasti, Furio e
Brizio: riguarda la sparizione della giornalista Sandra Buccellato.
Cosa è stato quello con Sandra, un rapporto finito troppo presto,
una storia che non è mai sbocciata per colpa della paura di
lanciarsi nel vuoto da parte sua?
Di certo Sandra non è stata
solo una delle tante, altrimenti vederla assieme a quello strano
personaggio nel ristorante di Ettore l’avrebbe lasciato
indifferente. Invece no: è un campanello d’allarme quello che
inizia a suonare nel suo cervello, quell’uomo – con la faccia da
rana, sempre per il suo gioco di paragonare le persone ad animali –
ha qualcosa che lo inquieta.
Campanello d’allarme che, quando Sandra sparisce per diversi giorni, diventa quasi una questione personale.
Tocca muoversi, per
salvare Sandra, la principessa che col bacio avrebbe potuto salvare
Rocco, nelle vesti del bello addormentato e in questa ricerca
frenetica e feroce, non c’è tempo per rispettare le leggi e
nemmeno per perdersi dietro i discorsi filosofeggianti di un amico
della famiglia Bucellato che sembra sapere tante cose della
sparizione della giornalista.
Come finirà la caccia al
fantasma Paolo Sanna? E come finirà la ricerca di Sandra Bucellato?
Riuscirà Rocco a liberarsi da quel fardello pesante, quel passato
che lo costringe a vivere con la testa perennemente voltata indietro?
Sto dicendo che la tua paura di vivere ammazza anche gli altri. Facci i conti, una volta per tutte. Io, francamente, sono stanca di ripetertelo?
Lascia stare i morti – gli dice Marina in quell’ultimo incontro – parla coi vivi che stanno accanto a te e richiedono il tuo amore.
C’è il peso del passato in questo romanzo, ma anche lo sguardo duro e disincantato di Rocco sul presente: un paese che non sa pensare al domani, che non ha mai avuto una vera rivoluzione e dove, anzi, a parlare di rivoluzione è stato il fascismo ma in modo reazionario e il terrorismo rosso, coi suoi cattivi maestri
Un paese che sembra non volersi interessare alle cose importanti, un po’ come Rocco che, in un finale molto dolce e molto malinconico, si trova a camminare solitario per le strade deserte di Aosta.
La poesia di D'Intino
“A Natale so' vinte tutte le tombole e tu sì cchiu bona della pasta 'nghe le vongole”
Domenico D’Intino, agente di polizia e poeta
La scheda del libro sul sito di Sellerio
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