Siamo riusciti a trasformare la tragedia che sta accadendo a Gaza, sotto i nostri occhi, in diretta video, in uno scontro tra tifoserie, arrivando a mettere sullo stesso piano di complicità tutti i palestinesi della striscia con Hamas, arrivando a considerare i volontari della SumudFlottilla come complici di Hamas.
E
in questo scontro ci si dimentica dei morti, dei bambini uccisi, di
città rase al suolo, di
come è iniziata questa guerra (non il 7 ottobre):
Il 70% della Striscia di Gaza è stato raso al suolo. Cibo, acqua e medicinali scarseggiano: è una catastrofe umanitaria che ha già fatto decine di migliaia di vittime civili tra i palestinesi. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha avviato l’occupazione totale del territorio.
Cercheremo di capire – spiega Iacona presentando la puntata – se la proposta di pace, di negoziato, presentata da Trump e accolta da Netanyahu avrà anche il si di Hamas, se questo dovrebbe comportare oltre che alla consegna degli ostaggi ancora in vita, anche un momento di pace per quelle popolazioni martoriate. Ma resta il punto che Gaza in questi due anni è stata completamente distrutta, le persone che vivevano lì e che vivono ancora lì sono state oggetto di deportazioni, trasferimenti forzati. E poi è arrivata la fame, la carestia: “cercheremo di spiegare i meccanismi che l’hanno provocata, quali le conseguenze e poi entreremo nel dibattito israeliano e ci faremo la domanda ‘come mai quello che è insopportabile per noi in tutti questi anni, le uccisioni dei civili innocenti, è invece sopportabile per una parte importante dell’opinione pubblica israeliana?’ E infine cercheremo di capire quali sono le relazioni che legano il nostro paese con Israele sul terreno dell’import ed export delle armi.”
A prescindere dalle azioni che faranno i governi (come il nostro, che rivendica corridoi umanitari per le università, dopo aver bloccato gli arrivi per mesi), le persone non l’accettano più questa situazione e lo dimostrano scendendo in piazza. E la Flottiglia ha rappresentato questo sdegno, questa indignazione contro la carestia, la fame e l’inazione (o complicità) dei governi occidentali: “persone che coi loro corpi, con le barche, si sono mossi sono arrivati lì dove non si doveva stare” raccontava Iacona giovedì sera a Il cavallo e la Torre “hanno forzato quel blocco che sta causando carestia e la fame e hanno mostrato al mondo intero che cosa bisogna fare. E la gente lo ha capito in maniera spontanea. Quello che mi impressiona di più di queste piazze sono i ragazzi, i ragazzini, le scuole, sono i nostri figli.. spero che tutto questo avvenga nella pace e senza disordini, ma questo è un segnale importante.”
La voce di Hind
Nel servizio si racconterà anche la storia di Hind Rajab, la bambina di Gaza uccisa dai soldati israeliani. La sua voce è diventata protagonista di un film che è stato recentemente presentato al festival di Venezia e testimonia meglio di tanti articoli di giornali il dramma che sta vivendo la popolazione civile, un dramma che non risparmia neppure i bambini.
Nel video che potete vedere in anteprima sui canali social di Presadiretta si sente la voce della bambina chiedere aiuto ad una soccorritrice della croce rossa: i suoi familiari sono stati già uccisi, appena fuori dalla casa dove avevano dormito assieme la notte precedente. Dopo i bombardamenti l’esercito israeliano aveva emanato un ordine di evacuazione, così la sua famiglia ha provato a scappare a sud a bordo di un’auto. Le immagini satellitari mostrano i carri armati a presidiare gli incroci mentre l’esercito rimuove gli alberi, abbatte gli edifici.
E spara alle auto, come la Kia della famiglia di Hind, come anche ai soccorritori, anche loro uccisi dall’esercito israeliano: la madre si è salvata perché non c’era posto in auto ed è arrivata da sola al punto di ricovero.
Alcuni giornalisti hanno provato a giustificare questa morte dicendo che un giorno qualcuno le avrebbe messo un velo in testa.. ecco, stendiamo un velo pietoso.
La fame a Gaza
Come si possono commentare le immagini dei bambini scheletrici rannicchiati nei letti dell’ospedale pediatrico di Gaza city? Al Hassan Selmi è un giornalista che, con i suoi servizi, ha mostra gli effetti della fame sui bambini. Le famiglie devono scegliere se morire di fame o sotto le bombe. Qualcuno di loro, i più fortunati, sono riusciti ad arrivare in Italia, ma servirebbe corridoi umanitari stabili: i bambini che stiamo curando (citati dal ministro degli esteri nella sua auto celebrazione) sono solo una goccia nel mare. Perché i valichi da cui entrano gli aiuti rimangono chiusi e i beni di prima necessità per le famiglie costano caro. Come si può chiedere ad una madre di un bambino di poche settimane o pochi mesi di emigrare, perché Gaza deve essere sgomberata?
La fame colpisce più duramente i bambini: la malnutrizione dei bambini nei primi giorni di vita o nell’utero è una condanna a vita e i bambini che ne soffrono non raggiungono mai il loro potenziale fisico o cognitivo. Assisteremo alla crescita di un’intera generazione di bambini segnata dalla fame a Gaza oltre che dai traumi della guerra – racconta a Presadiretta Alex De Waal, uno dei più importanti studiosi al mondo di fame. Dagli anni ‘80 racconta come tutte le carestie siano state create dall’uomo, perché la fame ha i suoi beneficiari. Gli israeliani conoscono bene gli effetti della fame, sanno cosa stanno facendo a Gaza: si muore non tanto per la fame ma per la compromissione del sistema immunitario che ti rende vulnerabile ad ogni malattia comune. Un banale mal di pancia o un raffreddore e ora ci sono molte malattie, per le cattive condizioni igieniche in cui le persone sono costrette a vivere. Ammassati nelle tende, senza acqua pulita. La fame, che è stata descritto bene da Primo Levi in Se questo è un uomo ha un effetto così disumanizzante da rompere i legami sociali tra le persone, costringendole a comportarsi come animali, distrugge la società, i gruppi. Questa è la sua definizione di genocidio – continua Alex De Waal – non è tanto uccidere tutte le persone ma è distruggere il gruppo sociale.
Le immagini delle persone che si gettano a recuperare gli aiuti calati dal cielo, pericolosi e inutili, sono emblematiche.
Cosa ci lega ad Israele
Quali sono i nostri legami con Israele? È vero che non vendiamo più armi da quando è iniziata l’invasione dell’IDF a Gaza? Il ministro Tajani alla Camera aveva spiegato come la linea del governo fosse chiara: tutte le licenze per l’esportazione delle armi sono state sospese. Ma il governo Meloni non ha mai sospeso le consegne di armi autorizzate prima del 7 ottobre: i dati relativi a queste consegne nelle relazioni annuali non ci sono. Matteo Taucci è un ricercatore dell’istituto Archivio Disarmo e racconta a Presadiretta che dall’inizio della “guerra” a Gaza fino a marzo 2025 l’Italia ha esportato 8,2 ml di armi verso Israele, di questi solo il 22% sono esplicitati, si sa che armi siano. Ovvero 1,4 ml di euro in componenti accessorie per armi e munizioni, 280mila euro in bombe e granate. La maggior parte dei dati non sono pubblici: Istat ha risposto che una parte dei dati può essere riservata su richiesta delle parti. Ma quelle rimangono armi esportate, contrariamente a quanto ha riferito Tajani.
Quelli che si oppongono alla politica di Netanyahu
Si
è molto discusso nei mesi passati sull’uso della parola genocidio
per descrivere quanto l’esercito di Israele sta facendo sulla
popolazione a Gaza. Per mesi chi usava questa parola veniva tacciato
come antisemita: eppure, come racconterà il servizio di
Presadiretta, dentro Israele una parte della popolazione condanna la
politica del presidente Netanyahu,
usando parole pesanti.
Riccardo
Iacona è andato al Van Fleet Jerusalem institute per incontrare
il professor di scienze politiche Assaf David che insegna a
Gerusalemme: assieme a 15 altri professori ha scritto un rapporto
“The present day: peacemaking Alternatives for Israeli policy”
(alternative di pace per la poiltica italiana). Questo documento è
stato poi firmato da altri 130 accademici di molte università
israeliane ed è molto critico nei confronti del governo Netanyahu.
Al primo punto contestano l’idea del governo della vittoria totale
contro Hamas: “noi sosteniamo che l’idea di una vittoria totale
porta Israele verso la pulizia etnica, non esiste altra spiegazione
per ciò che Israele sta facendo a Gaza. Il 70% delle infrastrutture
e degli edifici di Gaza è completamente distrutto o gravemente
danneggiato. Questo può solo significare che Israele non vuole che i
palestinesi vivano a Gaza”.
Il professore David aggiunge: “questi giorni di fame a Gaza potrebbero essere il punto di non ritorno perché se affami la popolazione poi arriva il crollo totale. Gaza è un’area disastrata ed è come gli alleati hanno trovato i campi di concentramento nel 1945. Questa è Gaza oggi, la Shoa, la Nakba, la pulizia etnica, è genocidio. È il collasso dell’umanità e della società di Gaza per decenni, con malnutrizione e danni irreversibili al corpo e all’anima del popolo palestinese. Ed è una vergogna per tutti noi ebrei israeliani.”
Qual
è il giudizio sulle campagne di Netanyahu
in
Libano, Siria e Iran: hanno dato più sicurezza ad Israele?
“Noi
pensiamo che la sicurezza di Israele non
può dipendere dall’uso esclusivo della forza militare ma dalla sua
capacità di costruire alleanze con i paesi arabi della regione,
soprattutto ponendo fine all’occupazione dei territori palestinesi.
Per fare questo però Israele deve assumersi la responsabilità di
decenni di espropriazioni, sfruttamento, occupazione e ora anche
pulizia etnica e genocidio del popolo palestinese.”
Quanti
sono a pensarla così in Israele?
“Siamo ancora una minoranza,
perché decenni di occupazione hanno disumanizzato i palestinesi e
hanno fatto crescere una cultura di supremazia ebraica sostenuta da
tutti, dallo Stato, dal sistema scolastico, dai media e poi è
arrivato il 7 ottobre. Il 7 ottobre è stato un trauma per gli ebrei
israeliani, siamo ancora tutti dentro il trauma..”
Ecco perché
sarebbe così importante che una autorità indipendente ricercasse la
verità su ciò che è accaduto il 7 ottobre, ma Netanyahu
è
contrario perché, spiega il professore David, “sa di essere il
principale responsabile, i vertici militari e i servizi lo avevano
avvertito che stava per succedere qualcosa e glielo avevano scritto,
ci sono documenti e prove e testimonianze, come può farla franca?
L’unico modo è accumulare sempre più potere e diventare un
tiranno che è quello che sta cercando di fare.”
E’
questo il periodo più drammatico che si sta vivendo in Israele:
“senza dubbio, io sono vivo per miracolo sono stato gravemente
ferito 30 anni fa nel 1995, a Gerusalemme. Ero su un autobus quando è
esploso. Era stato un kamikaze di Hamas, poi ci sono stati altri
attacchi suicidi e poi è arrivata la seconda Intifada con attentati
continui contro i civili. Infine il 7 ottobre, l’evento più
orribile della storia di Israele dal 1940, dalla sua fondazione. E le
persone responsabili sono ancora al potere in Israele, devono
andarsene, devono finire in prigione devono pagare il prezzo di tutto
quello che hanno fatto. L’unica via per Israele è la
riconciliazione storica, che riconosca il fatto che tra il fiume e il
mare vivono due popoli. Il popolo palestinese e il popolo
ebraico.”
Sono questi i giorni della carestia a Gaza,
dove la gente inizia a morire di fame: le immagini dei corpi
scheletrici hanno fatto il giro del mondo. In Israele i media, i
giornali e le televisioni non le hanno mostrate. Così gli attivisti
di “standing together” la più grande associazione che dal 2015
si batte per la pace, sono andati davanti al canale televisivo
principale di Israele per mostrare coi loro cartelli quello che il
pubblico israeliano non vede mai.
“Tutto
il mondo vede queste immagini orribili” racconta a Presadiretta uno
dei volontari “ma gli israeliani che vivono così vicini a Gaza e
sono responsabili di ciò che accade a Gaza. Non sanno cosa viene
fatto a Gaza in loro nome e quindi non possono neanche opporsi e io
credo che se il popolo israeliano sapesse esattamente cosa sta
accadendo chiederebbe la fine di questa guerra.”
Un’altra
ragazza aggiunge: “la televisione non sta facendo il suo lavoro,
sta aiutando il nostro governo a continuare con questa guerra che sta
uccidendo tutti. Non solo la popolazione di Gaza, sta uccidendo anche
noi.”
“La
televisione israeliana diffonde solo propaganda, nasconde la verità”
è l’opinione di un altro volontario dell’organizzazione “ed è
ora che questo finisca perché la democrazia ha bisogno della verità
e quando si nasconde la verità la democrazia muore.”
La
verità dei bambini colpiti alla testa, al cuore, un massacro, un
genocidio: a quanti dicono che queste morti sono il prezzo da pagare
se vogliamo distruggere Hamas, si deve rispondere che questa non è
una guerra, a Gaza i civili non hanno carri armati, né elicotteri né
droni: “io sono in contatto con un amico a Gaza, li stanno
spingendo, giorno dopo giorno, da un luogo all’altro, e non c’è
più nessun posto dove andare, non puoi stipare due milioni di
persone in un pezzettino di terra. Quindi lo scopo è la pulizia
etnica.”
Quello che sta accadendo a Gaza ha un significato importante per Israele: “abbiamo abbandonato il diritto internazionale molto tempo fa, ma ora sta venendo meno anche la nostra moralità, i valori ebraici per cui si devono combattere solo guerre difensive, questa è vendetta. Questo è brutale e lo stiamo normalizzando.”
Netanyahu ha definito questi volontari come antisemiti: “nell’ebraismo si insegna che non dovresti fare agli altri quello non vuoi venga fatto a te. Che fine ha fatto questo principio?”
Anche secondo l’ex direttore dello Shin Bet, Amy Ayalon, l’unica soluzione è riconoscere lo stato di Palestina.
“Avremo sicurezza quando i palestinesi avranno speranza” aveva raccontato a Presadiretta nel 2023: oggi è convinto che senza un piano per il dopo, questa guerra non finirà. Con quale leader politico di Hamas dovrà trattare domani Israele? Perché questo serve la pressione internazionale per riconoscere lo stato di Palestina.
Iacona lo ha intervistato nella sua casa ad Haifa, assieme alla moglie del colonnello Leon Bar, ucciso da Hamas proprio in quel tragico 7 ottobre (fu ucciso il giorno successivo in realtà) mentre cercava di salvare quanti più ragazzi del rave.
Questa donna ha lasciato la sua testimonianza da un palco davanti ad una platea di persone: era furiosa dopo l’attentato del 7 ottobre e avrebbe voluto che tutti gli ostaggi fossero ripresi con la forza. Ma dopo più di seicento giorni la guerra continua e gli ostaggi sono ancora nei tunnel. E che vanno riportati indietro. “Cosa abbiamo ottenuto dal continuare a combattere? Altri morti? È arrivato il momento di fermare i combattimenti. Di trovare una soluzione a lungo termine che garantisca la sicurezza di Israele e il ritorno degli ostaggi. Vogliamo speranza.”
La scheda
della puntata:
Un viaggio dentro la realtà di Gaza attraverso le testimonianze del giornalista palestinese Al Hassan Selmi, che da mesi racconta la vita quotidiana e le difficoltà del suo popolo. Al centro, la fame usata come arma di guerra, con un'inchiesta sui sistemi di distribuzione del cibo e sulle conseguenze della malnutrizione. Dalle voci degli ebrei israeliani che si oppongono alle politiche di Netanyahu, denunciando pratiche di pulizia etnica, ai reportage sugli oppositori del governo incontrati tra Tel Aviv, Jaffa e Gerusalemme. Spazio poi alle indagini internazionali sui crimini di guerra a Gaza e a un focus sui rapporti di import ed export di armi tra Italia e Israele. Dal Perù alla Gran Bretagna, dal Belgio all'Italia, il racconto di investigatori, attivisti e avvocati impegnati a portare in tribunale militari israeliani accusati di violazioni dei diritti umani. Un mosaico di testimonianze che si intrecciano con l'analisi geopolitica e con le domande più urgenti sul futuro della regione. In studio con Riccardo Iacona, la storica e scrittrice Anna Foa, con collegamenti da Israele e da Gaza per seguire gli ultimi sviluppi sul terreno.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.


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