Roma, febbraio 1974.
Fu uno degli addetti alle pulizie a rinvenire il corpo. Nel vedere quella ragazza cosí quieta e composta, pensò che dormisse. Poi notò gli occhi sbarrati e non riuscí a reprimere un conato di vomito. Infine, quando la tachicardia si placò, dette l’allarme.
Il
titolo dell’ultimo romanzo di De Cataldo riprende quello della
canzone
di Fabrizio De Andrè, “è una storia da dimenticate, è una
storia da non raccontare, è una storia un po’ sbagliata.”
Che
poi è quello che potremmo dire della storia nascosta del nostro
paese, la storia delle bombe scoppiate nelle banche affollate, le
bombe scoppiate nelle sale d’aspetto delle stazioni, nelle piazze
durante una manifestazione antifascista…
Dei tentativi di
colpo di Stato, il tintinnar di sciabole che serviva a far capire a
chi di dovere che certe politiche progressiste in questo paese non si
potevano fare.
Oppure, come ci racconta l’autore di Romanzo
Criminale, la storia di come si sia inondato questo paese con l’lsd
e l’eroina per andare a scardinare i movimenti e i gruppi
“antisistema”, dove per sistema si intendeva quell’Italia
patriarcale, del lavoro a cottimo, dove i sindacati si battevano
contro il cottimo, per un lavoro sicuro, per uno stipendio dignitoso,
per una casa. Dove gli studenti chiedevano un sistema universitario
aperto anche ai figli degli operai… Forse un’Italia nemmeno
troppo diversa da quella di oggi.
Questa “storia sbagliata” è raccontata attraverso gli occhi del giovane vicecommissario Paco Durante della Mobile di Roma
.. trent’anni, capelli lunghi, giaccone sfrangiato di velluto, alto, profondi occhi neri, faccia tagliata nella pietra e un sorriso da canaglia che le donne trovavano irresistibile, fece il suo ingresso nell’ufficio di Agnello
A
lui viene chiesto di indagare sulla morte della ragazza di cui si
parla nell’incipit: si chiamava Lucia e anni prima Durante aveva
preso una sbandata per lei.
Nonostante la provenienza da una
famiglia “beat”, Paco Durante aveva scelto di cambiare il mondo
non con l’uso delle droghe, con l’anticonformismo di facciata,
con la finta rivoluzione, ma dall’interno. Facendo il poliziotto
“democratico”, ovvero quello per cui prima di tutto valgono i
principi della Costituzione. Una mosca bianca in quell’Italia in
piena guerra fredda dove la polizia era ancora un corpo militare
senza sindacati.
Su questa indagine, che i vertici della procura vorrebbero chiudere quanto prima, lavora il procuratore Agnello, un’altra anomalia nel “sistema”:
Ne aveva fin sopra i capelli di tutto, per la verità. Per la terza o quarta volta era stato scavalcato dal solito collega lecchino e manipolatore nella corsa a un incarico meno oneroso e piú prestigioso.
A
rovinare la vita, in senso fisico e anche lavorativo, era stata
l’inchiesta sul suicidio di quel generale, mancino ma suicidatosi
con la mano destra. Strano, no?
Anche lì, la procura aveva
spinto per far archiviare il caso come suicidio, inutile perderci
tempo, caro procuratore. Eppure, Agnello si era intestardito: aveva
seguito una sua pista che portava ad uno strano servizio segreto, “la
catena”, ad uno strano immobiliarista, alle trame nere della prima
Repubblica, a quello strano suicidio del generale che tutti volevano
archiviare (“lei si sbrighi ad archiviare questo increscioso
suicidio”). Aveva perfino sequestrato delle carte che poi si era
visto scippare dal procuratore generale…
E ora questa ragazza morta, per una dose sbagliata di morfina: Agnello sente puzza di bruciato, come mai quelli della Narcotici non si sono mossi?
Agnello conosceva bene quelli della Narcotici. Se non si trattava di sequestrare come minimo una decina di chili di hashish non muovevano il culo dalla sedia. Vuoi mettere una bella retata?
Ecco allora l’incarico a quel giovane vicecommissario che, come lui, è una anomalia del sistema. Uno di sinistra ma che sa fare il suo mestiere: Paco, infatti, si imbatte in uno strano “americano” che sarebbe dietro lo spaccio delle nuove droghe pesanti che hanno preso il posto del fumo. Americano che vive in un appartamento dentro un palazzo storico di proprietà di un immobiliarista che il giudice conosce molto bene:
Capisce adesso perché nel leggere il nome di Arena mi sono incazzato come un picchio? Perché lei ha messo le mani su una cosa enorme. Una cosa enorme, viscida, putrida. E proprio quando stavamo per afferrarla, puff, se l’è lasciata scivolare via…
Cosa
e chi c’è dietro questa inondazione di eroina su Roma?
Come
mai, sebbene siano tutti contro il consumo degli stupefacenti, in
Italia e oltre oceano, ogni volta che questa “anomala” coppia di
investigatori si avvicina troppo alla preda, questa gli scappa via da
sotto il naso. Come se… come se in alto loco non ci fosse veramente
l’intenzione di bloccare il grande traffico di stupefacenti.
Lo scenario era cambiato. Quello del ’74-75 era passato alla Storia come l’inverno dell’eroina. Sequestri e arresti si susseguivano a ritmo incessante, cosí come i morti con la siringa in vena all’angolo delle strade.C’è tutto un pezzo della nostra storia passata dentro questo romanzo, breve ma intenso, dal 1974 al 1978: dagli anni in cui come predisse il direttore del Sid, “adesso sentirete parlare del terrorismo rosso”, le Brigate Rosse vengono via via bloccate per ricrescere ancora più pericolose e sanguinarie. Compagni che sbagliano o solo pericolosi sovversivi al gioco dell’eversione?, questo si chiedono gli intellettuali – arroganti, sterili, autoreferenziali – di sinistra dalle loro terrazze affacciate su Roma. Sono gli anni in cui il processo per la bomba di Milano veniva spostati lontano, per anestetizzare la memoria, ulteriore oltraggio verso il dolore dei familiari.
Anni che culminano nell’operazione Fritz, l’attacco al cuore dello Stato.
Cosa deve fare ora Paco Durante? Lasciar perdere, perché questo è un gioco troppo grande per lui?
Nonostante
il tentativo dell’autore, non si fa troppa fatica a dare i giusti
nomi ad alcuni protagonisti indiretti del romanzo: il
colonnello Rocca e il sul strano suicidio legato alla vicenda,
mai chiusa, dei fascicoli
del Sifar (il servizio segreto militare). Dietro “la catena”
si nasconde il “noto servizio”, un servizio che non si poteva
nominare dentro il Viminale, emerso dietro alcune pagine buie della
nostra storia (come la fuga di Kappler) la cui specialità era
uccidere i propri nemici con incidenti simulati.
Lo zio Carlo,
che incontreremo più avanti in Romanzo Criminale (saremo eternamente
grati a De Cataldo per questo libro!), è Pippo Calò, il cassiere
della mafia.
Si intuisce dietro quel magistrato romano che,
solitario indagava sul terrorismo nero (e sui suoi agganci con la
massoneria), il giudice Amato.
E poi, le famose stanze di compensazione dove uomini che all’apparenza appartengono a mondi l’uno in contrasto con l’altro, possono trovarsi e decidere le sorti della nazione. Tipo una certa scuola di lingue francesi sorta a Roma pochi mesi prima del rapimento di Aldo Moro e chiusa pochi mesi dopo la sua morte. Hyperion si chiamava.
È una brutta partita. Alla fine, il destino di Moro si deciderà in qualche camera di compensazione in cui si ritroveranno i «quasi», vari tipi di «quasi», molto diversi fra loro in apparenza ma legati da comuni interessi. Saranno loro a fare la scelta finale.
Per
chi fosse interessato ad approfondire questa “storia sbagliata”,
consiglio la puntata di Blu Notte OSS – Cia – Gladio i rapporti
segreti tra America e Italia (qui
il link su Raiplay).
E poi, ma solo una volta arrivati fino in
fondo, questo altro libro di DE Cataldo, L’agente
del caos -
Einaudi.
La
scheda del libro sul sito di Einaudi
I
link per ordinare il libro su Ibs
e Amazon

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Mi raccomando, siate umani