29 marzo 2022

Il Gigante e la Madonnina di Luca Crovi

 

Questa è la storia di un re, di un nano e di un gigante. L’avventura di un re senza corona. La confessione di un nano che si smarrì in un circo. La leggenda di un gigante che era talmente gentile da piangere se atterrava un avversario.
La favola di un re che sapeva cantare e suonare. La vicenda di un nano che ballava in sella ai cavalli. La cronaca di una cattedrale sconsacrata a causa dei morti innocenti.

E di una regina, una regina che scruta Milano dalla cima del Duomo, el Domm, una regina “tutta d’oro e piscinina” che veglia e protegge i milanesi nelle tante disgrazie che sono capitate nei suoi secoli di storia, sin dalla sua nascita, nel 1774.

Questo terzo capitolo della serie di Luca Crovi nella Milano del commissario De Vincenzi è, come i precedenti, un’occasione per andare a scoprire tanti episodi della storia passata della città, non solo gli episodi ambientati negli anni del racconto (veri, come veri sono i personaggi della storia).
Ma al centro di tutto c’è la “Madunina” che dall’alto tutto vede e tutto osserva ed è testimone, muta, delle tante disgrazie che capitano, come quelle tre persone che, a distanza di pochi anni, decidono di suicidarsi gettandosi dalla cima del Duomo, come don Mario Spinelli, un prete della diocesi di Como. O sparandoci alla testa in cima alle scale della cattedrale, come l’oste Giovanni Sagace.

Sono dei suicidi come i tanti che, purtroppo, capitano in una grande città, oppure dietro quelle morti si nasconde dell’altro? Forse qualcuno ha spinto quelle persone a compiere quell’ultimo drammatico gesto?

Sono questi i dubbi che girano per la testa del commissario De Vincenzi, “poeta del crimine” (come veniva chiamato nel mondo della ligéra che aveva imparato a rispettarlo per i suoi modi) che in questi anni, a cavallo del 1930, si trova in una situazione difficile. Il fascismo ha ormai rivelato il suo volto totalitario e Mussolini stesso, nel suo discorso del 26 maggio 1927, la polizia che va rispettata e temuta, il cittadino prima del bisogno della cultura deve sentire il bisogno dell’ordine

In un certo senso si può dire che il poliziotto ha preceduto, nella storia, il professore, perché se non c’è un braccio armato di salutari manette, le leggi restano lettera morta e vile.
Mussolini aveva portato avanti una sua pulizia all’interno della Questura milanese cacciando via tutti gli elementi non sufficientemente fedeli al regime, essere buoni poliziotti o men non importava più. Specie se certi poliziotti avessero voluto vederci chiari nei traffici illeciti dei gerarchi fascisti e dei loro protetti, come il mondo delle scommesse, dei ricatti o del traffico di moneta falsa.

In questo campo Milano era diventata la capitale dei soldi falsi i cui vertici arrivavano “all’ex segretario federale del Partito fascista Mario Giampaoli e a un certo Olindo Albertini, che da tempo lavorava al suo servizio”.

L’indagine su quegli strani suicidi, come quello di don Mario nel 1921 che prima di morire aveva confidato all’arcivescovo Ferrari i suoi turbamenti. L’inchiesta sui falsari e il giro grosso che arrivava agli intoccabili del partito.

C’è poi la storia del re di Milano, ovvero Giovanni D’Anzi, Giuanin, il figlio di emigrati pugliesi che da un piccola osteria in viale Monza divenne un famoso musicista, perché lui era predestinato a diventare un re, l’importante è non perdere la speranza, essere consapevoli del talento.

«Glielo dico per il suo bene. El Giuanin el gh’ha di manin d’or. El me par de sent i angel quand el fioeu tuca el pian.»
Da quel giorno il maestro Rusconi insegnò al Giuanin tutti i suoi segreti.

Le parole della celebre canzone “O mia bela madunina” sono sue, cantate per la prima volta a Milano nel 1934, in un momento in cui nel paese e anche a Milano furoreggiavano le canzoni in dialetto napoletano.

Il gigante è Primo Carnera, il pugile friulano che i suoi tifosi chiamavano “la montagna che cammina” mentre per i detrattori era “la montagna di gorgonzola”. Una montagna con un cuore d’oro, tanto da interessarsi alla sorte di quel piccolo bambino scappato da casa, a Novara, per assistere all’incontro del suo mito, nell’incontro di pugilato contro Hans Schönrath di quel maggio 1932.

«E perché? Sei scappato di casa?»
«Voglio andare a vedere il Gigante.»
«Chi?»
«La montagna che cammina.»

Sarà il commissario De Vincenzi ad aiutarlo a raggiungere il suo sogno e a sventare un ricatto contro Carnera da parte di qualcuno che aveva scommesso contro di lui.

Infine, il terzo protagonista dell’incipit, il nano “bagonghi”, così era chiamato Giuseppe Bignoli, altezza settantacinque centimetri, pochi per fare una vita normale (sempre che questa normalità voglia dir qualcosa), ma l’altezza giusta per diventare un star del circo e diventare l’idolo delle folle per la sua capacità di danzare letteralmente sui dorso dei cavalli.

Oggi il termine bagonghi, quasi desueto, indica “chi appare goffo e con abiti troppo grandi per la sua misura”, ma in realtà Giuseppe Bignoli vestiva molto elegante e amava guidare la sua auto, una Fiat costruita su misura, in modo estremamente sportivo per i tempi

.. il Giuseppin Bignoli venne a sapere per caso da un vicino la storia del piccolo Giacomo Marini, scappato dalla casa della zia a Novara per andare a incontrare Primo Carnera a Milano.

Tutte le storie raccontate finora nel libro, il ritorno di Carnera a Milano, l’incontro tra il nano Bignoli e il piccolo Giacomo, i perché di quegli strani suicidi (su cui perfino il cardinale Shuster voleva far luce), i traffici sporchi protetti dalla camicia nera, troveranno una soluzione comune nel finale che culmina col racconto della prima apparizione in pubblico di quelle celebri strofe

O mia bela Madunina che te brillet de lontan

Tuta dora e piscinina, ti te dominet Milan.

Si legge veramente con grande interesse e facilità questo terzo romanzo dedicato alla storia milanese (dopo i precedenti L’ombra del campione e L’ultima canzone del Naviglio) dove tutti gli episodi, i personaggi sono stati ricostruiti andando a pescare nella memoria dei testimoni e negli articoli dei giornali d’epoca (come il Corriere): l’incendio della vecchia stazione di Milano il 31 gennaio del 1923, la bomba scoppiata alla Fiera di Milano e la morte di Romolo Tranquilli, il ragazzo arrestato all’indomani della strage come presunto colpevole e sottoposto a torture dai fascisti.
Qua e là compaiono omaggi a scrittori viventi (come un certo Riccardo Besola, pianista) e ad altri come il maestro Camilleri, il cui zio Carmelo Camilleri era stato poliziotto a Milano.
Fedele la ricostruzione del dialetto, di quell’Italia e di quella Milano non ancora metropoli ma già pronta ad accogliere le tante persone che qui arrivavano a cercar fortuna, perché qui “
se sta mai coi man in man ”.

La scheda del libro sul sito dell'editore Rizzoli e il PDF del primo capitolo

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