«Se sa che a parlaa de Milan se fa
minga fadiga con tanti argoment per i mann el discors el scarliga…»
Giovanni D’Anzi e Alfredo Bracchi
Incipit
La leggenda di san Vittore
A l’è possibil finì a San Vittur domaa per on barilott de pés? Com’era possibile finire dietro le sbarre per un furto da nulla come quello? Eppure lo avevano beccato in flagrante al Verzee mentre cercava di scappare con una botte di acciughe sotto sale.
Ci sono storie che bisogna tramandare
di generazione in generazione, perché fanno parte del nostro
patrimonio culturale. Come i racconti che la bisnonna di Luca Crovi,
Maria Ballerini faceva in portineria e che qui trovano posto, in un
romanzo che non è un giallo vero e proprio come spiega anche
l'autore all'inizio. Una non fiction novel che mescola
ricordi, fatti reali della storia milanese a invenzioni letterarie.
Come il commissario Carlo De Vincenzi,
il poeta di San Fedele, il personaggio partorito dalla fantasia di
Augosto De Angelis e che Luca Crovi fa incontrare col celebre Bepin
Meazza, il campione di calcio dell'Internazionale, poi Ambrosiana.
Siamo a Milano nel 1928: il romanzo
comincia (e finirà anche) con il Balilla, così veniva chiamato
Meazza. Lo vediamo emergere tra le maglie della nebbia
milanese, la scighéra, mentre calcia le sue bordate contro il muro
di San Vittore, il carcere milanese, soprannominato “Il due”.
Bordate così forti che fanno pensare
ad un tentativo di fuga alla giovane guardia Antonio Cerruti.
La guardia che sta consolando il
Pierino Grassi, finito proprio al Due per un furto molto maldestro di
una botte di alici.
Botte così pesante che non è riuscito
nemmeno a fare molti metri prima che un ghisa, attirato dalle grida
del Verziere al mercato di Lambrate
“Un luogo denso di orti selvaggi accanto al fiume Lambro dove nel tempo era cresciuta una mala erba: quella della ligéra. A Milano tutti sapevano bene che certi ceffi si potevano incrociare solo all’Ortica ..”
Tempi duri per i
ladruncoli come il Pierino: il regime nerovestito aveva deciso
di imporre la linea dura contro i piccoli reati (ma i grandi ladri a
Roma potevano stare tranquilli) e contro la ligéra,
per dare un segnale alla popolazione.
Da Roma sono arrivate normative precise del capo della polizia per il rispetto dell’ordine pubblico. Prima è toccato a quelli del Bottonuto subire una prima rigirata e adesso pure al Verziere hanno deciso di intervenire per allontanare i malnatt.
Il nuovo regime non
ammetteva che chi infrangeva la legge la passasse liscia.
Ma per Pierino c'è
un santo in Paradiso, anzi un poeta a San Fedele (vecchia sede della
Regia Questura): è il commissario De Vincenzi che gli concede una
seconda possibilità.
Un lavoro assieme
al cugino Armando, che di mestiere faceva il becchino.
Mentre lasciamo il
Balilla a prendere a calci il pallone e il Pierino a impratichirsi
col mestiere, Crovi ci racconta la storia della Gioconda. Non il
quadro, il servizio funebre che, tra il 1885 e il 1925 a Milano era
fatto utilizzando dei tram speciali
della Edison
«La gioconda è il nome che i milanesi hanno dato per un po' di tempo al servizio funebre allestito con l'uso dei tram. A Milano, per non piangere, si ride su tutto.»
«Cosa?»
«Una volta non sembrava bello che la città venisse attraversata dai cortei funebri e dall'altra parte se si doveva fare lunghi trasporti tra l'Ospedale Maggiore e Musocco o tra il centro e il cimitero Maggior, il rischio era di bloccare il traffico. Allora si pensò bene di ovviare al problema trasferendo i defunti e i loro parenti via tram. Un trasporto veloce, rispettoso e quasi invisibile. Nel tempo prese il nome beffardo di Gioconda. Perché la Gioconda non ha un sorriso e c'era poco da ridere a veder passare quei cortei su rotaia.»
Ma torniamo al
commissario De Vincenzi: originario della Val D'Ossola ma trapiantato
a Milano, dove aveva incontrato fin da subito la scighera
Il commissario Carlo De Vincenzi aveva scoperto cos'era la scighera la prima sera che era arrivato a Milano in treno. Uscito dalla Stazione Centrale si era trovato avvolto in un nebbione folto e impenetrabile, estremamente denso. A malapena i lampioni di piazza Duca D'Aosta fendevano quella sorta di enorme bambagia fluorescente che i milanesi chiamavano scighera.
Amante della
busecca e della buona cucina, delle buone letture (da cui il
soprannome di “poeta”), De Vincenzi è un investigatore con una
grande umanità: per sbrogliare il bandolo della matassa dietro un
crimine, ha bisogno di ricostruire l'intero contesto, l'umore,
l'ambiente in cui era avvenuto
Il suo assioma era: "Il delitto è una derivazione della personalità".E si affidava anzitutto all'onda psichica. Poi entrava in gioco l'ambiente e l'influenza che esso esercitava sull'assassino e sulle sue azioni. Così per prima cosa, De Vincenzi cercava di assorbire l'ambiente.
E la scighera era l'ambiente di Milano. Il sapore,il pensiero, l'umore della città.
Un
investigatore bravo a “reimpastare”
gli indizi e a renderli risolutivi: come
in cucina, anche in polizia bisogna saper far buon uso degli avanzi,
ovvero i casi dimenticati che a lui venivano affidati.
E
risolti grazie al lavoro dei suoi uomini e al suo intuito.
Il
primo caso che deve affrontare è il furto di un gioiello (“il
briciul”) da casa della marchesa Ottoni: la soffiata giusta da
parte del materassaio lo porta al quartiere dei formaggiai, “El
borgh di formagiatt”, in
corso San Gottardo vicino Porta Ticinese
Quel quartiere aveva una strana origine. Per molto tempo durante la dominazione austriaca era vietato ammassare e conservare formaggi all'interno delle mura. Ogni merce che entrava a Milano era soggetta a dazio e non poteva varcare le mura spagnole se non si era pagata una tassa speciale. Così i produttori di latticini delle cascine del lodigiano, del piacentino e del parmense avevano cercato di ovviare alla situazione creando delle vere e proprie casere nella zona di Corsico e Buccinasco. In questi speciali magazzini gli alimenti venivano custoditi, portati a stagionatura e trasportati nei mercati rionali meneghini. Quando si era compiuta l'unità d'Italia i dazi erano stati aboliti e i latticini (che per un certo periodo erano stati persino contrabbandati grazie alla complicità dei barcaioli dei Navigli) avevano ricominciato a circolare liberamente.
Ci sarà poi il
caso del Capitano nero, un ladro acrobata ispirato a Fantomas,
che coi suoi furti aveva lanciato una sfida alla polizia. La scoperta
della scuola per ladri e l'incontro, bellissimo nella sua invenzione,
tra il poliziotto e il chitarrista Andrés Segovia, con la musica
della fontana delle Quattro Stagioni, in piazza Giulio Cesare, a fare
da accompagnamento.
E proprio quella
fontana sarà luogo di un triste evento di cui De Vincenzi è
testimone:
la bomba alla Fiera Campionaria del 12 aprile 1928. Una bomba
che doveva, forse, colpire il re, venuto ad inaugurare la Fiera e che
causò 16 morti: qui storia e fiction si intrecciano in un racconto
che riporta in vita una delle pagine dimenticate della storia
meneghina.
Esautorato dalle
indagini, che il regime affidò all'ispettorato generale di Polizia,
De Vincenzi compie una sua indagine di nascosto e assieme alle
persone più fidate. Il Pierino e l'Armando, i fidati colleghi Bruni
e Crumi, tutti riuniti attorno al tavolo della “sciura Maria”, la
portinaia di via Massena.
Ovviamente di
fronte ad un piatto fumante e profumato di Busecca, perché “in
trippa veritas”.
La strage alla
Fiera di Milano ancora oggi è un mistero irrisolto: la sua storia
ricorda molto l'inchiesta dell'altra strage milanese, Piazza Fontana.
Con la pista rossa seguita inizialmente e coi sospetti venuti poi che
i responsabili andassero cercati non troppo lontani dal regime.
In una delle frange
del fascismo ostili a Mussolini.
“La grande anima di Milano che per due giorni si era inginocchiata dinanzi allo strazio delle vittime innocenti schiantate dalla raffica d'odio, è sorta ieri in piedi per uno di quegli impulsi collettivi in cui hanno rigrandeggiato ancora una volta tutta la sua volontà virile e tutta la sua forza generosa”.
Così scriveva Il
Corriere della sera, parlando dei funerali che avevano commosso tutta
la città.
Così come è
cominciato col Balilla, questo racconto lungo le memorie di Milano
termina ancora con lui: è un omaggio al campione milanese di cui
andremo a scoprire alcuni aspetti poco noti della sua storia.
E andremo anche a
scoprire il suo segreto, la sua ombra: chi è la persona che da anni
lo segue e lo sta aiutando di nascosto.
Con le prime scarpe
da calcio coi tacchetti.
Coi pali per la
porta, per la sua squadra, la Costanza A.S.
Coi biglietti per
la Scala.
E che ora Meazza
andrà a ringraziare di persona con una partita speciale proprio a
San Vittore, il carcere costruito, dice la leggenda, proprio sopra la
tomba del legionario Vittore, convertito al cristianesimo.
Buona lettura!
Altri post sul libro
La scheda del libro sul sito di Rizzoli
I link per ordinare il libro su Ibs
e Amazon
Questi sono invece due siti che potete
visitare per saperne di più sulla Gioconda e sui funerali su rotaia (e altre curiosità)
- http://www.anticacredenzasantambrogiomilano.org/
- http://milanoneisecoli.blogspot.it
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