Nel giorno in cui esce il decreto
sicurezza, che passerà al vaglio dell'ufficio giuridico del
Quirinale (potrebbe avere profili di incostituzionalità, potrebbe
violare dei trattati internazionali..) Presadiretta
si occupa di lavoro e di capitale umano.
Ma prima, l'intervista il presidente
della Camera Roberto Fico.
Si parla di sicurezza, dell'Egitto di
Regeni e dei recenti provvedimenti del governo.
La visita in Egitto era già
programmata e ho voluto che ci fosse un punto a piano: la tortura e
la morte di Giulio Regeni – racconta Fico.
La procura di Roma ha fatto un bel
lavoro, anche senza un protocollo ufficiale: Regeni è sparito dentro
una ragnatela, ci sono stati tanti depistaggi sulla fine di Giulio.
Ho chiesto ad Al Sisi l'inizio di un
processo vero, guardandolo negli occhi.
Dopo l'incontro Al Sisi ha fatto una
dichiarazione per uscire da questa situazione di stallo: i rapporti
tra i nostri parlamenti possono riprendere se si risolve questa
situazione sul caso Regeni.
La questione sicurezza: Fico ha tenuto
un atteggiamento diverso da quello di Salvini e di parte del M5S (e
di Di Maio).
C'è un dibattito aperto tra me e Di
Maio, dibattere è il sale della democrazia.
Che differenza tra politiche securitarie e percezione della sicurezza?
Ci si deve occupare ai diritti dei
cittadini alla cultura, all'acqua pubblica, alle cure: quando si
rispettano questi diritti i cittadini sono più sicuri.
Solo col bastone, con la politica
sicuritaria, non si ottiene persone più sicure.
Sulle diverse visioni all'interno del
movimento.
Il movimento è un contenitore di idee,
né di destra né di sinistra nel senso di andare oltre le
divisioni. Il dibattito nel movimento deve esserci.
Ci sarà un avvicinamento col PD?
Non è previsto: nei giorni della
crisi, prima della formazione del governo, Fico ricorda la distanza
del PD dal movimento.
La partita con la Rai.
Fico è stato presidente della commissione
di Vigilanza: ai tempi del governo Renzi aveva contestato la riforma
della Rai; questa va superata mettendo assieme partiti e governo, per
arrivare ad una Rai indipendente.
È nel programma di contratto, se così
non sarà sarà un fallimento.
Serve una legge sulla governance della
Rai, per liberarla dai partiti e sul conflitto di interesse, che non
è un problema solo di Berlusconi.
Il mercato del lavoro italiano e i
suoi paradossi.
Le aziende
italiane cercano lavoratori e non li trovano: a Rovereto Presadiretta
è andata ad intervistare i manager della Bonfiglioli,
un'azienda in crescita che in questi anni ha assunto 60 persone.
Ma questa azienda
fa fatica a trovare lavoratori dentro il mondo degli istituti tecnici
e degli ingegneri: cercano persone con esperienza pregressa.
C'è ne sono tante
di aziende che fanno fatica a trovare personale: per questo
l'università di Trento ha aperto un laboratorio di meccatronica per
avvicinare la domanda e l'offerta.
Questa decisione,
all'interno dell'università, è stata vincente: chi si iscrive alla
facoltà di meccatronica trova lavoro entro un anno.
In Italia abbiamo
pochi laureati: sono laurati solo 18 persone su 100, tra gli ultimi
al mondo.
Per questo sono
nati gli ITS, gli istituti superiori di tecnica dove gli studenti
fanno anche un tirocinio presso delle aziende.
Scuola e
formazione per poi approdare ad un contratto di lavoro: le aziende
fanno comunque fatica a trovare personale nel settore tecnico,
rispetto a Germania a Francia sforniamo pochissimi diplomati.
Il vicepresidente
di Confindustria, intervistato dalla giornalista di Presadiretta, ha
spiegato come mancano ancora oggi migliaia di persone in settori
tecnici: il capitale umano va formato e preparato per il lavoro.
Di questo dobbiamo
occuparci se vogliamo vincere la battaglia sulla disoccupazione:
formare gli studenti, puntare sulle professioni che hanno valore per
le imprese, potenziare i centri per l'impiego.
I centri per l'impiego.
La giornalista Roberta Ferrari di Presa
diretta è andata in Molise, nel distretto del tessile e
dell'agroalimentare a Campobasso messo in ginocchio dalla crisi.
La regione e i centri per l'impiego non
hanno fatto molto per i disoccupati, per le persone in cassa
integrazione.
Solo il silenzio dai centri per
l'impiego dove, dalla riforma del jobs act, si dovrebbero incontrare
domanda e offerta, dove si dovrebbero offrire corsi per le persone in
difficoltà.
Invece niente: computer vecchi, banche
dati che non si parlano, tra quelle statali e quelle regionali. E
chiaramente niente corsi per i disoccupati.
E la situazione di Campobasso è comune
ad altre città: anche a Roma, al centro impiego di Cinecittà.
Se le regioni non dialogano succedono
storie come quella di Benevento: qui si sono selezionate persone per
lavorare in Germania, nel settore medico.
Ma i ragazzi che hanno aderito alla
domanda non sapevano il tedesco e non avevano visibilità delle altre
domande qui in Italia.
I 552 centri, costano 600 ml di euro
l'anno: in Germania ci sono 100mila operatori e si spendono 11
miliardi per i centri.
Il risultato è che in Germania il 20%
delle persone trova lavoro in questi centri: i nostri, dopo il
fallimento del referendum di Renzi, i centri sono stati abbandonati
alle regioni.
Si chiama Anpal la struttura centralizzata
che doveva supervisionare i centri, hanno solo parte delle offerte e
nemmeno hanno potere sanzionatorio.
Ma ci sono anche storie diverse: a
Foggia al Salone del lavoro organizzato dall'università, sono
riusciti a far incontrare domanda e offerta.
Alla fine della giornata, 6000 ragazzi
hanno fatto un colloquio e 200 ragazzi hanno firmato un contratto.
Cosa farà il governo Conte?
Cosa bolle in pentola in Parlamento?
Come spendiamo i soldi dei fondi
europei? In studio Iacona è stato affiancato dal giornalista Sergio
Rizzo.
Marcello Bracciaroli è andato a vedere
dove finiscono i fondi europei per la formazione: sono 7 miliardi nel
periodo 2014-2020 per il “capitale umano”.
Capire come sono spesi è difficile? È
un caos capirlo, perché sono fondi in mano alle regioni e ciascuna
fa di testa sua.
Nel Lazio c'è il bando per chi vuole
andare all'estero, c'è il contratto di ricollocazione per gli over
40, il contratto generazioni.
Bisogna prima iscriversi al centro per
l'impiego e scegliere un ente di formazione che si prenderà 800 euro
per persona: sono enti che fanno sì formazione ma non si occupano di
contattare le aziende.
Anzi, nemmeno formazione: solo qualche
lezione per fare il cv, per come presentarlo.
La regione Lazio spende per i centri di
formazione per 500ml di euro: di questi, 48ml servono per finanziare
enti privati accreditati per fare formazione.
Enti che dovrebbero ricevere soldi solo
se riescono a dare un lavoro alle persone, ma non è così: gli 800
euro, dice la responsabile delle politiche per il lavoro, sono un
loro rimborso spese.
Livorno è una città che è stata
colpita dalla crisi, qui si sono persi migliaia di posti di lavoro:
per rilanciare il porto e creare occupazione si sono investiti 500ml.
La regione Toscana ha finanziato dei
corsi specifici per posizioni di lavoro legate all'industria
livornese: sono corsi veri ma i posti sono limitati.
Anche qui ci sono poi i corsi d
formazione erogati da enti accreditati: molti di questi però sono
legati alla ristorazione, alla cura della persona ..
Le aziende hanno bisogno di competenze
tecniche ma ci sono troppi corsi per il turismo, per fare i barman,
come mai?
Come mai la regione non controlla i
corsi erogati, specie quelli privati?
Tecnici informatici, metalmeccanici ..
non c'è bisogno di badanti,barman, estetista, operatore
assistenziale o guida turistica.
Come si difendono gli enti? Si
difendono dando la colpa alle persone che arrivano da loro, che si
scelgono i corsi che ritengono migliori, che daranno loro le migliori
prospettive.
La moda del cuoco e dello chef
stellato..
Colpa della regione Toscana, dicono.
E la regione Toscana dice che loro i
dati, sugli indirizzi, li ha pubblicati.
La regione ha speso in voucher 7ml di
euro, una buona parte dei fondi, per i corsi di formazione: il
governatore Rossi si è auspicato la creazione di una unità
centralizzata sui centri per l'impiego e la formazione, cosa che
doveva avvenire con la riforma costituzionale.
La regione controlla i centri privati:
dei 500 enti, almeno 60 sono stati sanzionati e alcuni di questi si
sono visti togliere i fondi.
La vicenda Almaviva: nel 2016 il
colosso dei call center manda a casa 1600 dipendenti a Roma; il
governo vara il piano Almaviva per re inserire almeno l'80% dei
lavoratori.
Dopo due anni il piano è fallito:
molti degli ex dipendenti non hanno trovato lavoro e ora sono
disposti ad accettare qualsiasi lavoro.
Altro che formazione: molti di loro
hanno anche una certa età e sono penalizzati rispetto a persone più
giovani.
I corsi di formazione si sono rivelati
mini corsi da 30 40 ore, molti enti accreditati si sono ritirati e
non hanno rilasciato nessun attestato.
Tra l'altro, visto che gli ex Almaviva
sono entrati dentro il progetto Anpal, non hanno potuto accedere ai
corsi regionali.
Su 1200 figure, questo sistema ha
ricollocato meno del 10%.
L'ente di formazione Ciapi di
Palermo ha speso migliaia di euro per formare pochi apprendisti:
i soldi presi dai fondi europei sono finiti in giri politici.
È una storia che è stata raccontata
da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel loro libro “Se crolla il
sud”: il sistema dei centri per l'impiego alimenta solo sé stesso,
non serve affatto per trovare lavoro.
E' un sistema concepito male: pochi
controlli, fondi sbriciolati in mille rivoli che alimentano
clientele, regioni che non sanno gestire i fondi.
O come la Calabria, spesi per
finanziare la nazionale di calcio.
Troppi centri per l'impiego che non
sono confrontabili, regione per regione: capire se i soldi dei fondi
strutturali europei sono spesi bene o male è impossibile.
Servirebbe una centralizzazione nella
gestione di questi fondi: di questo è convinto Rizzo.
Una struttura che sappia sanzionare le
regioni e gli enti inadempienti: era stata pensata dai governi Monti
e Letta ma poi non se ne è fatto niente.
Dei 7 miliardi di fondi, ne abbiamo
impegnati solo 1,1.
Le riforme pensate del governo.Il
7 agosto il decreto dignità voluto dal ministro Di Maio è legge: ci
sono vincoli sui contratti a termine, una estensione sui voucher,
sanzioni per le aziende che delocalizzano.
L'obiettivo
è aumentare i contratti a tempo indeterminato: l'inps però ha
stimato una perdita dei posti di lavoro; contro il decreto anche pd,
fi e fdi.
IL
jobs act non è stato smantellato – ha spiegato la deputata
Serracchiani: la riforma ha confermato pezzi della riforma di Renzi.
Contrari,
per motivi diversi, anche CGIL e Confindustria: la prima perché non
c'è il ritorno dell'articolo 18, la seconda per l'irrigidimento
delle norme del lavoro.
Marco
Bentivogli, segretario FIM Cisl parla di una grande operazione di
marketing, che farà perdere posti di lavoro: si deve investire nella
formazione sulle persone e un incentivo alla stabilità.
Il
decreto dignità non tocca né i centri per l'impiego, né il reddito
di cittadinanza, né l'articolo 18 e nemmeno la formazione: alcuni di
questi saranno affrontati nei prossimi mesi, ma l'articolo 18 no, non
è nel contratto di governo.
Dal
servizio che abbiamo visto si capisce una cosa: serviranno tempi
lunghi e molte risorse per sistemare le cose nei centri per
l'impiego.
E poi
c'è l'effetto collaterale della riduzione della durata dei contratti
a tempo da 36 a 24 mesi: nelle aziende dove il capitale umano vale
meno, si tenderà ad una maggiore rotazione del personale.
L'uscita dall'euro.
Di uscita
dall'euro non si parla nel contratto di governo, che all'interno ha
delle promesse molto esose per le nostre casse: a meno che non si
riescano a pescare i soldi da qualche parte, c'è il rischio che si
arrivi alla svolta indicata nell'ultimo libro di Rizzo per
Feltrinelli, un romanzo di fantapolitica che immagina una nostra
uscita dall'euro in due anni.
Il default dello
Stato, le aziende che chiudono, il fallimento dell'export (per i dazi
messi dalle nazioni straniere): uno scenario che Rizzo ha studiato
andando ad ascoltare diversi economisti che hanno studiati questi
scenari.
Il mondo dei
centri per l'impiego in Olanda
In Olanda si può
perdere il lavoro a 50 anni e ritrovarsi a lavorare in un settore
completamente diverso: in questo paese i centri sono solo 35, sono
tutti collegati e seguono le persone in cerca di lavoro giorno per
giorno.
Sulla piattaforma
web si tengono corsi online veri per far incontrare domanda ed
offerta: le agenzie vanno a cercare persone anche all'estero, purché
qualificati.
Lo Stato ha
puntato sulla flexsecurity: ti aiuta a trovare lavoro supportandoti
nella formazione e con sussidi di disoccupazione pari all'ultimo
salario.
E non c'è solo il
sussidio, ma anche il reddito minimo garantito che arriva a 900 euro:
se non arrivi a questa cifra, il resto lo mette lo Stato.
500mila persone
prendono i sussidi in Olanda: sono erogati fino a 65 anni, poi c'è
la pensione sociale e sono gestiti dai comuni.
Coi sussidi le
persone poi non lavorano?
Gli enti pubblici
lavorano affinché le persone non debbano dipendere da sussidi: “noi
crediamo nelle persone” dicono.
L'Olanda aiuta
molto le persone in difficoltà e anche gli stranieri: chiunque
arrivi ha un codice, il BSN, con cui accedere ai servizi.
Il paese crede
nelle persone, per rimettere in circolo l'energia, per far ripartire
le aziende e l'economia.
In attesa che sia
il governo a prendere a copia il modello olandese, alcune aziende
private, le più illuminate, hanno deciso di puntare sul capitale
umano per la loro crescita: hanno creato un sistema di welfare
aziendale che mette al centro la persona.
Succede alla
Gefran (società
che si occupa di automazione e sensori), dove i corsi di formazione
li paga l'azienda stessa e sono svolti durante l'orario di lavoro:
come il corso per “public speaking” a cui Iacona ha potuto
assistere.
Se le persone stanno meglio, lavorano
meglio – racconta un dirigente dell'azienda: quello che cercano qui
non è solo l'esperienza ma l'approccio al lavoro, improntato alla
voglia di imparare.
Perché il lavoro che fai oggi non è
detto che ci sia domani.
La
fabbrica nata negli anni 60 sul lago d'Iseo è oggi una
multinazionale che realizza sensori che misurano temperatura e
pressione, che vengono venduti anche nei mercati emergenti.
Gefran è un'azienda che, per essere
vincente e competitiva nel mercato internazionale ha deciso di
investire nelle persone, nella loro formazione, nel loro benessere,
le aiutano a crescere e a sviluppare il loro talento.
Qui essere donne e madri non è un
handicap, non preclude le promozioni: “l'azienda sono le persone”
racconta la responsabile del personale, Patrizia Belotti.
E la presidente
Maria Chiara Franceschetti aggiunge “le persone hanno
imparato ad imparare e questo ha fatto sì che oggi è il nostro
capitale umano ..”.
Nessun commento:
Posta un commento