Il riscaldamento climatico non è una
bufala, come sostiene Trump: basta andare a vedere come si
stanno sciogliendo i ghiacci sull'Artico, il nostro sistema
refrigeratore.
L'Artico è al centro dei cambiamenti
climatici, si sta riscaldando in fretta e gli effetti si vedranno in
tutto il mondo. Anche da noi.
I ghiacci si sciolgono anche sulle
Alpi, sul Monte Bianco: perdiamo le nostre riserve idriche e la
nostra memoria. Il ghiaccio infatti è un archivio vivente della
storia e del clima.
Una carota presa nell'Antartico va
indietro di migliaia di anni fa o centinaia di migliaia di anni fa: è
un patrimonio dell'umanità, per comprendere la nostra storia
climatica.
E per capire quanti CO2 e quanti gas
serra erano presenti nell'atmosfera: oggi siamo 400 parti per
milione, come concentrazione di anidride carbonica.
Una concentrazione mai così alta,
negli ultimi 800 mila anni, quando la Terra era ben diversa da quella
che conosciamo.
LA velocità del cambiamento indica che
è anche colpa nostra: colpa delle attività umane, dei combustibili
che usiamo, dicono i ricercatori del CNR intervistati dai giornalistidi Presa diretta.
La co2 è stata misurata per la prima
volta dal prof Keeling nel 1958: da allora è sempre in
crescita, perché continuiamo a bruciare materiale fossile e questo
porta al caldo di questi ultimi anni, alla deforestazione, alla
siccità, alle migrazioni di popolazioni in cerca di migliori
condizioni di vita.
A Roma, nei laboratori dell'ESA,
misurano gli indicatori del clima usando i dati dei satelliti: per
esempio le deforestazioni in Brasile, che contribuiscono a
contrastare alla presenza dei gas serra. Ma ogni anno perdiamo pezzi
di foresta grandi come la Grecia.
Come perdiamo anche il ghiaccio
sull'Artico, che diventa anno dopo anno sempre con meno spessore:
rischiamo, se va avanti questo processo di immissione di gas serra
nell'atmosfera, di arrivare ad un processo irreversibile. Un Artico
senza ghiaccio.
Il viaggio in Artico: Alessandro
Macina è andato a vederlo, il ghiaccio eterno, sull'Artico.
Ospite in un villaggio di scienziati,
Ny-Alesund, il giornalista ha osservato il lavoro dei ricercatori,
tra cui anche quelli italiani del CNR.
L'attività è incentrata nel capire
cosa sta succedendo ai Poli: l'aumento di temperatura nel pianeta ha
effetti sull'Artico e questo ha dei riflessi sul sistema terra, anche
alle nostre latitudini.
Come quest'anno: a Roma nevicava mentre
all'estremo nord pioveva, perché la temperatura era sopra lo zero.
Si misurano tutti i dati del clima
sulla torre dei “cambiamenti climatici”: il vapore acqueo, le
temperature, la presenza di co2. Qui si stima che le temperature sono
in crescita di 3 gradi ogni 10 anni: all'Artico il cambiamento è più
veloce rispetto al resto del pianeta.
Così in autunno, quando si dovrebbe
riformare il ghiaccio, si scopre che il ghiaccio è il grande malato.
Ogni anno si misura sempre meno neve
sui ghiacciai: piove sempre di più, in inverno e in autunno, acqua
che scioglie i cristalli creando dei crepacci nei ghiacciai, non più
eterni.
Il riscaldamento non procede in modo
lineare qui, ma c'è un effetto di amplificazione delle temperature,
chiamato “amplificazione artica”.
L'assenza del ghiaccio ha effetti
sull'amplificazione delle temperature: si scioglie il ghiaccio da
sotto (perché il mare è più caldo) e ha degli effetti
sull'ecosistema naturale: gli orsi polari devono muoversi non più
sul pak, ma nuotare nell'acqua per trovare le prede.
Milioni di metri cubi di ghiaccio si
sono trasformate in acqua: acqua dolce che si riversa in acqua
salata, cambiando l'ecosistema, il trasporto di calore.
Tutto è collegato: acqua, terra,
atmosfera.
Gli effetti dell'Artico stanno già
colpendo il pianeta: alluvioni, uragani, isole che scompaiono.
sommerse dall'acqua, vittime per questi eventi, danni alle strutture.
L'instabilità dei poli causa eventi
climatici sempre più forti, come il fronte freddo “burian”
arrivato in Italia l'inverno scorso.
Con questo ritmo di scioglimento dei
ghiacci, si stima un innalzamento dei mari da 1 a 2 metri: si pensi
che l'aeroporto La Guardia è ad 1 metro sopra il livello del mare...
E' a rischio la costa est degli Stati
Uniti, il continente indiano, Shangai. Anche l'Italia come penisola è
a rischio: secondo l'ENEA ci sarebbero 7 aree a rischio, tra cui
Venezia.
Lo scrittore Amitav Ghosh ha
scritto dei cambiamenti climatici in Bangladesh: cambiamenti che
causano spostamenti di persone, che devono abbandonare i loro
terreni.
Venezia e il Bangladesh vivono la
stessa minaccia, la scomparsa al crescere dei mari.
Viviamo in un mondo dove scienza e
ingegneria sono importanti: eppure nonostante gli allarmi della
scienza siamo ciechi – dice lo scrittore.
Nonostante tutti gli allarmi,
continuiamo a costruire vicino al mare: come se il nostro modo di
pensare tenda ad escludere l'arrivo di queste catastrofi, neghi
questi cambiamenti.
E lo stesso vale per la politica che
vive una deriva tragica: nessuno si occupa dei cambiamenti climatici,
delle disuguaglianze, della crescita insostenibile, degli eventi
estremi.
Il climatologo del CNR Pasini in
uno studio ha dimostrato che i tornado che si formano nel
Mediterraneo sono legati all'innalzamento della temperatura del
nostro mare.
Basterebbe un grado in meno, e il
tornado che si è abbattuto su Taranto, causando un morto, non ci
sarebbe stato.
Basta un grado in più per incamerare
tanta energia che poi si scatena in modo violento sul territorio.
Il punto è che l'Italia è sempre più
calda e il nostro territorio sempre più a rischio: ci riscaldiamo di
più rispetto alla media globale, un quarto di grado ogni 10 anni, a
fine secolo arriveremo a 4 gradi in più.
Siamo vicini, pericolosamente, al
limite stabilito dall'accordo di Parigi, di due gradi: colpa della
fisionomia del nostro paese.
Come sarà il nostro paese, tra 30
anni: al CIRA (centro euro mediterraneo di ricerca) prevedono
maggiori eventi estremi, meno pioggia ma più intensa, siccità e
stagioni calde.
Ondate di calore sempre più lunghe ed
intense e notti tropicali dove la temperatura rimane alta.
Come mai dopo l'accordo di Parigi
del 2015, le emissioni di co2 aumentano?
C'è qualcuno che sta scommettendo
sulla catastrofe?
C. Figueres, architetto dell'accordo di
Parigi, come segretario dei cambiamenti climatici alle Nazioni unite
ammette i limiti dello stesso: non è vincolante e ha troppe deroghe.
Trump per esempio si è ritirato: ma
Figueres non ne è preoccupata, perché il mondo interno ormai ha
capito che ci si deve muovere sulle energie rinnovabili.
L'accordo di Parigi è in una fase di
applicazione: stiamo decarbonizzando l'economia, stiamo puntando
sull'energia elettrica, quella che mi preoccupa è la velocità.
Purtroppo è anche vero che Trump sta
smantellando le riforme di Obama in ambito energetico: è un
negazionista del cambiamento, nonostante le prove.
Il cambiamento climatico coinvolge
tutti: anche i paesi ricchi, quelli che oggi stanno puntando sulla
corsa all'oro sull'Artico.
Se i ghiacci si sciolgono, questo apre
nuove opportunità commerciali per le navi che possono passare a nord
ovest evitando viaggi lunghi per Panama.
C'è poi un discorso per gli
idrocarburi, per le risorse che si estraggono da questi territori: in
Artico si stima siano presenti il 30% degli idrocarburi non estratti.
Trivellazioni più facili sia in
Alaska, grazie a Trump, e in Siberia per Putin.
E anche l'Eni italiana trivella nel
mare di Norvegia
Marzio Mian è un giornalista italiano:
ha raccontato della più grande miniera di uranio in Groenlandia, che
ha dietro investimenti cinesi e australiani, per centinaia di
miliardi.
È in atto un nuovo colonialismo, un
nuovo Congo: uranio, zinco, rubini, diamanti, petrolio, gas.
L'artico è oggi strategico: il valore
delle risorse si aggira attorno ai 20 trilioni di dollari,
l'equivalente dell'intera economia americana.
L'Artico per la Russia è
un'assicurazione sulla vita: per questo sta militarizzando questa
zona, un'occupazione militare fatta anche con testate militari.
Tutto in violazione agli accordi di
Parigi.
Le generazioni future malediranno per
il resto della vita i politici di oggi, i Trump e i Putin.
La scorsa puntata Presa diretta aveva
raccontato che solo puntando sulla geotermia, per riscaldare le case,
potremmo tagliare le nostre emissioni del 17%.
E' una decisione politica che una base
di cittadini informati può spingere.
L'Artico: la pattumiera del nord
Non solo non sono più ghiaccia eterni,
non sono nemmeno più ghiacciai e neve immacolata, perché i
ricercatori hanno trovato sostanze inquinanti che derivano dalle
nostre latitudini.
Le nevi più inquinate sono più scure
sono quelle che si sciolgono prima: si sta mettendo in moto un
effetto a catena che sta facendo sparire perfino il permafrost.
Uno strato di terreno congelato che
contiene grandi quantità di co2 che ora, rischia di essere liberato
in atmosfera.
Alessandro Macina è andato ad
intervistate il glaciologo britannico Peter Wadhams approfittando
di un suo intervento alla fiera del libro di Milano. Il glaciologo,
nel 1990, è stato il primo al mondo a dimostrare che l’Artico si
stava sciogliendo: oggi è convinto che prima di quanto ci
aspettiamoci sarà un Artico completamente libero dai ghiacci.
Il suo ultimo lavoro si chiama proprio
“Addio ai ghiacci” e prevede la scomparsa dei ghiacci verso la
metà di questo secolo.
Ha iniziato a misurare i ghiacci negli
anni '70, viaggiando nei sottomarini britannici per le misurazioni:
ripetendo le misurazioni nel 1987, aveva notato una riduzione dello
spessore del 15% e oggi quel ghiaccio è più sottile del 50%.
In base a queste rilevazioni, il
glaciologo si aspetta un Artico senza ghiaccio in estate già tra
cinque anni, e la causa siamo noi.
Lo scienziato sostiene inoltre che
abbiamo toccato un punto di non ritorno, non rivedremo più l'Artico
che conosciamo, con quell'ispessimento.
Che effetti avremo sul pianeta? Un
aumento dell'effetto del riscaldamento globale del +50%, oltre a
quelli causati dalla co2 nell'atmosfera.
L'Artico stesso sarebbe dunque un
moltiplicatore del riscaldamento del pianeta: “stiamo
lasciando alle prossime generazioni un pianeta diverso. Tutto
cambierà e anche se riusciremo a gestire il riscaldamento globale
sono sicuro che non riusciremo a tornare al mondo che avevamo prima.
Quindi dobbiamo dire addio a quei luoghi che oggi ci sembrano
familiari.”
Chi sono i ricercatori italiani
sull'Artico? Molti sono precari, l'immagine stessa dell'Italia
che ha studiato, che fa un lavoro importante, ma che lo Stato
italiano fa di tutto per allontanare.
Finiti gli assegni di ricerca, o
vinceranno un concorso oppure dovranno trovarsi un altro lavoro.
Le persone che misurano la febbre del
pianeta e dell'Italia sono precarie.
Come la salute della nostra ricerca.
Come la salute del nostro paese.
Con un futuro precario: infatti spendiamo la metà della media europea
in ricerca.
Qui il link per rivedere la puntata.
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