Il generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa la conosceva bene la mafia: l'aveva conosciuto sin dal
1948, quando si era occupato dell'omicidio di Placido Rizzotto, il
sindacalista ucciso dai mafiosi di Corleone, da Luciano Leggio,
perché combatteva a favore dei contadini contro i latifondisti.
Era la mafia rurale, quella che faceva
da braccio armato per gli interessi dei signori e che nelle campagne
dettava legge.
L'aveva studiata bene anche negli anni
'70, quando aveva fatto la prima mappatura delle famiglie mafiose nel
palermitano: era già un'altra mafia, già diventata cosa nostra ed
entrata bene dentro i meccanismi degli appalti pubblici.
Il sacco di Palermo di Ciancimino e
Salvo Lima, le palazzine liberty abbattute per far posto a quei
casermoni, tutti uguali, tutti brutti, che avevano fatto fare il
primo salto ai boss.
Aveva combattuto il terrorismo rosso,
al nord, con qualche interruzione (lo smantellamento della sua
brigata prima del rapimento Moro) ma con grande successo: successo
dovuto al modello investigativo, basato sulla centralizzazione e
sulla condivisione delle informazioni, e dalla carta bianca che aveva
avuto.
Dopo gli omicidi politici della
stagione 1979-1980, il segretario PCI Pio La Torre, il presidente
della regione Piersanti Mattarella, il segretario provinciale DC
Michele Reina, venne mandato dal governo Spadolini a Palermo, come
prefetto con pieni poteri per combattere la mafia.
Pieni poteri che non arrivarono mai,
come raccontò a Giorgio Bocca in una celebre intervista:
«Credo di aver capito la nuova regola del gioco. Si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso, ma si può uccidere perché isolato».
Solo: Dalla Chiesa era stato lasciato
solo, dal governo di Roma e anche dal potere siciliano.
I pieni poteri arrivarono, dopo la sua
morte il 3 settembre 1982, a Domenico Sica, nominato Alto Commissario
per la lotta alla mafia (una struttura che poi Falcone smantellò,
perché non aveva portato alcun risultato, sostituendola con la DIA).
Aveva capito tante cose, sulla lotta
alla mafia: la necessità di portarla avanti non solo come
repressione, con gli arresti e le indagini giudiziarie.
Serviva dare credibilità allo Stato:
serviva cioè uno Stato capace di garantire al sud i diritti
riconosciuti dalla Costituzione.
Sempre dall'intervista a Bocca:
Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l'hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l'ala socialista dell'Evis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.
"Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
Fu ucciso solo dopo
100 giorni a Palermo, senza che avesse messo in pratica alcun atto
concreto di contrasto alle mafie.
Perché
quell'omicidio deciso così in fretta? Perché quell'ennesima sfida
allo Stato?
Se dobbiamo dar
retta al pentito Tommaso Buscetta, “Il generale era ingombrante
per qualcuno nello stato”: il figlio, il professor Nando Dalla
Chiesa ha parlato di convergenza di interessi.
Quella convergenzadi interessi tra stato e anti stato che nasceva non solo dai timori
per quello che il prefetto avrebbe potuto fare per la lotta alla
mafia e per quei diritti per i siciliani fino a quel momento negati.
La convergenza di
interessi nasceva anche da quello che Dalla Chiesa aveva fatto negli
anni precedenti: la sua ricerca del memoriale di Aldo Moro, la cui
divulgazione in quegli anni sarebbe stata esplosiva (Gladio e l'elenco completo dei gladiatori,
ingerenze straniere sulla nostra politica..).
Sono passati 36
anni dall'omicidio Dalla Chiesa, ucciso assieme alla moglie e
all'agente di scorta Domenico Russo e Palermo (e anche il resto
dell'Italia) è ancora in attesa di quella risposta credibile delle
istituzioni, che serva a dare fiducia nello Stato.
Basta con questi
padrini dentro i partiti.
Basta con questa
corruzione che è una delle porte in cui si infila la criminalità
organizzata.
Basta con l'essere
indulgenti nei confronti dell'evasione.
Attenderemo ancora.
Questo esecutivo, guardando i primi mesi della sua vita, sembra avere
altre priorità.
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