Secondo capitolo del libro di Attilio Bolzoni: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Il generale che non piace al potere.
“E mentre a Roma si pensa sul da fare, Sagunto viene espugnata dai nemici. E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera la nostra Palermo”
Dopo l'omicidio dell'onorevole
comunista Pio La Torre, lo stato nomina prefetto di Palermo il
generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa: una nomina che
dovrebbe essere la risposta autorevole dello stato che manda in
Sicilia l'uomo che a capo della brigata antiterrorismo ha saputo
combattere e sconfiggere le Brigate Rosse.
Ma è solo apparenza:
anche Dalla Chiesa è solo, nella sua lotta. Solo, e sa di esserlo
anche in quella prefettura, dove viene spiati, ascoltato.
Solo in
quella città che non approva questo nuovo sceriffo venuto dal
Piemonte a scomodare certi equilibri: nel tribunale, nella
prefettura, nella questura, nella Palermo bene.
In un'intervista con Giorgio Bocca che è diventata celebre, Dalla Chiesa, in attesa dei superpoteri che non arriveranno mai, parla dei cavalieri di Catania, “che con il consenso della mafia palermitana oggi lavorano a Palermo”.
Il prefetto
“denuncia la connivenza delle banche che proteggono i loro clienti
in combutta con la criminalità organizzata. E poi dice che
«l'Italia perbene sbaglia a disinteressarsi» di quello che sta accadendo in Sicilia. È un messaggio che lancia a tutta la nazione. Perchè la mafia ormi non è solo in Sicilia. È dappertutto. A Bocca dice anche: «Credo di aver capito la nuova regola del gioco. Si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso, ma si può uccidere perchè isolato»”.
«l'Italia perbene sbaglia a disinteressarsi» di quello che sta accadendo in Sicilia. È un messaggio che lancia a tutta la nazione. Perchè la mafia ormi non è solo in Sicilia. È dappertutto. A Bocca dice anche: «Credo di aver capito la nuova regola del gioco. Si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso, ma si può uccidere perchè isolato»”.
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Isolato come Dalla Chiesa appunto: della sua storia,
Bolzoni ricorda gli anni in Sicilia di
Dalla Chiesa. La prima volta che si scontrò con la mafia, proprio a
Corleone quando operava col Corpo Forze Repressione Banditismo, e si
occupò della morte del sindacalista Placido Rizzotto. E arrivò ad
individuare come responsabile di questa Luciano Liggio, il malacarne
del dottor Navarra, il mafioso locale, chiamato Patri Nostro, elettore della
democrazia cristiana dunque intoccabile.
Forse per questo suo zelo
contro la mafia, il trasferimento d'urgenza a Firenze, e gli anni in
giro per le caserme del nord: Como, Firenze, Torino. Le umiliazioni
subite dai vertici dell'arma, per i continui cambiamenti di sede.
Poi
nel 1966 il ritorno in Sicilia a comando della Legione di Palermo:
qui, il generale, applica il suo metodo: la schedatura di tutte le
famiglie mafiose della città e dell'isola per arrivare ad avere un
quadro “genealogico” di cosa Nostra. Non un gruppo di bande
criminali, separate, ma una entità sola, organica, come sentenzierà
la Cassazione troppi anni più tardi.
Gli anni 60 sono quelli
della prima guerra di mafia, per gli appalti della regione e dell'a
città: sono gli anni dove gli amici di Lima, Ciancimino, Gioia,
amici mafiosi, vincono appalti miliardari per rendere Palermo più
bella. Dove questi miliardi portano anche al sangue: la strage di
viale Lazio, dove i corleonesi uccidono i vertici del clan Cavataio,
è l'episodio più eclatante (assieme alla strage di Ciaculli).
Nel
1973, alla brigata Torino, per la lotta al terrorismo rosso: qui
applica i metodo imparati sul campo sull'isola, Schedature dei
sospettati, specializzazione degli investigatori, la creazione di una
mappa di relazioni.
I nuclei di Dalla Chiesa furono sciolti nel
1976. Dalla Chiesa fu spettatore degli eventi sul rapimento Moro:
Andreotti li ricostituì solo nel 1978 e con essi, Dalla Chiesa
ottenne la carta bianca.
Sono gli anni della scoperta del covo di
via Montenevoso, del memoriale di Moro (e delle polemiche fatte
nascere sulle pagine mancanti), dell'irruzione nel covo di via
Fracchia.
Questa sua disinvoltura a qualcuno, nell'arma, nelle
istituzioni non piace. Non tutti approvano i suoi metodi che
scavalcano le burocrazie e le regole.
Dalla Chiesa non era
iscritto nella P2, ma aveva fatto domanda per entrarvi (per poi
ritornare indietro su questa scelta) per sbloccare la sua promozione.
Quando nel 1981 il suo nome esce, per lo scandalo esploso a Milano,
su Licio Gelli e sulla P2, teme nuovamente di essere messo da
parte.
Fino alla chiamata di Spadolini, che gli chiede di tornare
in Sicilia.
A combattere la mafia, i suoi legami con le
istituzioni locali, con i vertici della DC siciliana per arrivare
fino a Roma.
La Dc a Palermo vive con l'espressione peggiore del suo attivismo mafioso, oltre che politico [...]. Lo Stato affida la tranquillità della sua esistenza non già alla volontà di combattere e debellare la mafia e una politica mafiosa, ma allo sfruttamento del mio nome per tacitare l'irritazione dei partiti [...] pronti a buttarmi al vento non appena determinati interessi saranno o dovranno essere toccati o compresi. (dal diario privato del Generale Dalla Chiesa, 30 aprile 1982; citato in Peter Gomez, Marco Travaglio, Onorevoli Wanted, p. 647)
La Dc a Palermo vive con l'espressione peggiore del suo attivismo mafioso, oltre che politico [...]. Lo Stato affida la tranquillità della sua esistenza non già alla volontà di combattere e debellare la mafia e una politica mafiosa, ma allo sfruttamento del mio nome per tacitare l'irritazione dei partiti [...] pronti a buttarmi al vento non appena determinati interessi saranno o dovranno essere toccati o compresi. (dal diario privato del Generale Dalla Chiesa, 30 aprile 1982; citato in Peter Gomez, Marco Travaglio, Onorevoli Wanted, p. 647)
In molti temono il generale. Il prefetto di Catania
di allora si lamenta per le sue parole contro i cavalieri del lavoro di Catania
(i Costanzo, i Finocchiaro). Quello di Napoli per i poteri che
richiede allo stato.
Ne hanno paura i Salvo, dopo la perquisizione
alla Satris (ente riscossione dei tributi), ne hanno paura i
banchieri, che per decenni hanno vissuto in una sorta di zona di zona d'impunità.
Il 3 settembre, la mafia fisicamente ma non solo la
mafia, mette fine a questi timori.
Come per La Torre, anche qui ci
sono dei “Pezzi mancanti”: qualcuno (servizi, carabinieri) entra
nella sua mano e trafuga i suoi documenti dalla cassaforte.
Dopo
Dalla Chiesa, lo stato manda a Palermo il prefetto De Francesco, dal
Sisde, cui invece concede pieni poteri, che verranno usati in special
modo per attaccare l'ufficio istruzione di Chinnici, Falcone e
Borsellino.
Uomini soli – Pio
La Torre.
"I
pezzi mancanti" di Salvo Palazzolo.
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il libro su ibs.
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