Dumping sociale, sfruttamento del lavoro, incentivi pubblici che drogano il mercato senza creare vera occupazione (cioè stabile) e vera imprenditoria.
Il fiorire di call center (o contact center) al sud, ha dietro tutto questo: ne parla sul corriere Fabio Savelli
MILANO – L’ultima grana è scoppiata in casa Enel. Ad innescarla Assocontact, l’associazione delle imprese di Contact Center (acronimo che definisce l’integrazione tra sistemi di telefonia e informatici nella gestione del cliente) contro la presunta politica ribassista sulla leva del prezzo della maggiore utility del Paese. Un bando di gara da 50 milioni di euro (spalmati sui prossimi tre anni con opzione per i due successivi), «la cui base d’asta non copre nemmeno i costi industriali», denuncia senza mezzi termini Alberto Zunino de Pignier, direttore generale di Assocontact, tra i cui associati figurano i maggiori operatori di questo mercato come Almaviva, Comdata, Visiant, Teleperformance.
I MARGINI AL LUMICINO – Segnala Zunino che questa tendenza “ribassista” di multinazionali come l’Enel sembrerebbe diventato uno schema abituale, replicato anche da operatori di telefonia, gestori energetici, banche, assicurazioni, broadcasters. Nel complesso tutte le grandi aziende che hanno un bisogno di un sistema di “attenzione al cliente” capillare e ventiquattro ore al giorno. Un meccanismo infernale che – amplificato dalla Grande Crisi che ha ridotto il budget destinato al customer care da parte delle grandi aziende – finisce per innescare un circolo vizioso che penalizzerebbe soprattutto gli ultimi della filiera: i centralinisti. Malpagati, sempre di più. E sempre più qualificati, tendenzialmente laureati, giovani, poliglotti e soprattutto meridionali.
LO STIVALE CAPOVOLTO – Sì, perché il mercato dei contact center sembrerebbe, a una prima lettura, smentire il mito della questione meridionale. Di un Mezzogiorno fuori dai gangli produttivi del Paese. Al contrario tutte le imprese del settore scommettono sul Sud, tanto che non dovrebbero sorprendervi gli accenti variegati – ma spiccatamente meridionali – dei vostri interlocutori telefonici quando ritenete necessario «parlare con un operatore». La spiegazione, in realtà, è duplice e semmai conferma la tesi originaria di Salvemini. Da un lato al Sud c’è una maggiore disponibilità di manodopera qualificata e a buon mercato, attratta da compensi che – seppur irrisori – permettono di sopravvivere grazie anche a un costo della vita più basso. Dall’altro è l’unica ricetta in mano alle imprese del settore per restare sul mercato: aprire delle sedi al Sud significa assumere in aree depresse, avere minori oneri contributivi utilizzando gli incentivi statali e comunitari, oppure giovandosi delle agevolazioni fiscali concesse dallo Stato in caso di assunzioni di lavoratori svantaggiati coinvolti in procedure di cassa integrazione o di mobilità.
IL MERCATO DROGATO – La conseguenza è che tutto finisca per drogare il settore, in cui le logiche dei bandi di gara spesso rischiano di essere totalmente avulse da criteri di profittabilità. E l’unica esigenza è mantenere il committente, che finisce per essere l’autentico (e unico) depositario dei destini ultimi delle imprese e dei lavoratori. Così il corollario è il dumping (vendere a un prezzo finale inferiore al costo di produzione), ipotesi che Zunino attribuirebbe anche a questo bando dell’Enel da 50 milioni di euro.
IL CONTRATTO DELLE TLC – Dice Zunino che, nel caso particolare, «il prezzo complessivo a base d’asta, i volumi e le durate consentono di calcolare il valore per minuto di interazione e per ora lavoro, rispettivamente circa 0,30euro/minuto e 13,5 euro/ora. Cifre che non coprono nemmeno il costo orario di un terzo livello del contratto delle telecomunicazioni, il livello minimo previsto per queste attività». Dal canto suo l’Enel replica duramente alle insinuazioni di Zunino smentendo la teoria della gara al massimo ribasso. Dice l’azienda che «la valutazione nella scelta dell’impresa aggiudicatrice avviene non solo per considerazioni legate al prezzo finale, ma anche su precisi requisiti tecnici, perché il call center finisce per veicolare l’immagine aziendale, per cui abbiamo tutto l’interesse a scegliere il miglior operatore sul mercato, non quello più economico».
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