Sembra Palermo, o Scampia, ma siamo invece nella periferia milanese:
La voce femminile al telefono non trema: "No, per favore, anche se è qui sotto, non le apro. Il fatto è molto semplice, noi vogliamo vivere la nostra vita, è giusto o non è giusto?". E testimoniare al processo glielo impedirebbe? "Sa, qui bisogna giocare d'anticipo" risponde la donna. In che senso, scusi? "Prima che succeda a noi qualche cosa come è successo ad altri... È sicuro che nessuno sa che sta parlando con me? Come ha avuto il numero?".
Qui la gente ha paura di testimoniare al processo per la morte del tassista Luca Massari, ucciso a botte da Morris Ciavarella.
"Oggi - dice una magra signora, uscendo dal cancello dove vivono i Citterio del processo - è difficile vivere bene, ma non solo qui, dovunque. Bisogna stare molto attenti a come si parla, a come si saluta, a come si cammina". "Abito qui, ma non qua", aggiunge un'altra, interessata solo a filar via. Dietro la porta chiusa, l'imputata Stefania Citterio ribatte: "L'avvocato m'ha detto di non parlare, andatevene. Ho mandato una lettera ai familiari di Luca Massari, lei non lo sa, ma mio padre ci ha insegnato a vivere onestamente, non siamo mafiosi. Ho pianto, mi sono arrabbiata per il cagnolino, ma non pensavo che potesse morire un uomo, ma tanto chi mi crede?".
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