25 maggio 2012

Servizio pubblico - vedo sento parlo

In occasione del ventennale delle stragi di mafia, la puntata di Servizio pubblico di ieri è stata quasi interamente dedicata alla mafia: i segreti della latitanza di Provenzano, la trattativa stato mafia e la trattativa per la sua consegna con un misterioso messaggero forse appartenente ai servizi (di sicuro vicino alla Guardia di Finanza di Pollari).
La storia del medico chirurgo Attilio Manca, morto suicida (dicono i magistrati) febbraio 2004, in uno strano suicidio. Ma secondo la madre, morto perchè sarebbe stato un testimone scomodo dell'operazione al tumore alla prostata di Provenzano, a Marsiglia nel 2003.

Ieri sera non si è parlato della mafia secondo il protocollo istituzionale: qui i buoni (Falcone e Borsellino) e lì i cattivi (Riina e Provenzano), e in mezzo poche mele marce. Falcone e Borsellino uccisi per vendetta dalla mafia.
Ieri sera, attraverso le docufiction sulla storia strana del messaggero di Binnu e soprattutto attraverso le parole degli ospiti, si è parlato del potere criminale italiano: quel potere che nel corso della storia italiana ha trafficato con la mafia (per conquistarsi il consenso politico e nella lotta ai comunisti), con l'estremismo di destra. Quel potere che Pasolini immaginava arrocato a difesa nel suo "palazzo": a difesa dei propri interessi.

Quel palazzo così distante dal paese: lo ricordano ancora oggi quelle immagini dei funerali di Falcone e della sua scorta. Da una parte le transenne che schiacciano la gente, e dall'altra i politici protetti dalla loro scorta.
Quel palazzo che ha permesso a mafie e terrorismo di colpire quasi impunentemente: come avrebbe fatto altrimenti un contadino come Riina a diventare capo dei capi, a vivere tranquillo la sua latitanza (come quella di Provenzano), se non ci fosse stata quella convergenza di interessi con parte della DC siciliana, con i fratelli Salvo, con i Lima  e i Ciancimino?

Ma nell'anteprima della puntata, c'è stato spazio per una battuta contro Grillo e la sua fatwa contro le trasmissioni TV.
"Caro Beppe Grillo, vorrei parlarti con un certo affetto, mi ha sempre fatto sperare tanto in un cambiamento, ma tu hai bisogno di dire che siamo tutti uguali. E io da oggi riderò un pò meno."
"Mi hai fatto sempre ridere tanto, pensare tanto e sperare tanto. Non è normale che i giornali di Berlusconi e Bisignani ti applaudono tanto. Hai bisogno di dire che siamo tutti uguali, lo dici perchè Casaleggio può controllare la situazione?.
Se i ragazzi sono contenti di non avere altro Dio all'infuori del tuo blog, auguri ...ma cazzo cazzo, culo culo, vaffanculo, vaffanculo fra poco servizio pubblico ricomincia".


Il mistero della morte di Attilio Manca.

L'intervista di Sandro Ruotolo alla madre


"Ad uccidere Attilio è stata quella rete di protezione nelle istituzioni deviate che ha protetto Provenzano".

L'intervento del figlio in studio (video).


In studio a parlare di mafia e del volto mafioso delle istituzioni c'erano il neo sindaco di Palermo Orlano, il pm Antonio  Ingroia e in collegamento il giudice Roberto Scarpinato, oltre ai familiari di Atiilio Manca.

Antonio Ingroia ha parlato del rapporto stato mafia che negli anni si è riproposto uguale a se stesso, come la storia della lotta alla mafia. Che è sempre stata fatto secondo politiche di emergenza e di contenimento, quando questa si spingeva oltre certi limiti.
E allora la politica, sentendosi minacciata, si metteva in difesa: e nei momenti di tensione (dopo i cadaveri eccellenti dei primi anni 80, dopo le stragi del 92), si ritrovava dentro lo stato la coesione contro la mafia.
Non è stata l'immagine delle bare di Falcone e della scorta ad impensierire il palazzo, ma l'immagine della morte di Salvo Lima.
Quando la mafia batte il pugno sul tavolo, ha continuato Ingroia, lo stato mandava avanti i Falcone e i Borsellino, ma fino ad un certo punto. Quando questi puntano alla finanza, alle banche, quando cercano di indagare i Salvo e i Ciancimino, vengono nuovamente fermati.
La classe dirigente (siciliana e non solo) ha puntato solamente a salvaguardare se stessa.

L'intervento di Roberto Scarpinato.




La verità ufficiale sulle stragi è una verità monca: che si limita alle responsabilità di Riina e Provenzano.
Senza considerare la zona grigia nel mezzo, fatta di questori e prefetti, magistrati e giudici, presidenti di regione e presidenti del consiglio, uomini dei servizi che, sentenze passate in giudicato, hanno indicato come collusi con Cosa nostra.
Altrimenti non si spiega come mai nei 150 anni di storia, non si è sconfitta la mafia.
Come mai si è deciso di smantellare il pool di Caponnetto.
Perchè l'agenda rossa (e non solo) scompare dalla strage di via D'Amelio.
La mafia è stata una parte del potere italiano.

Sansonetti ha voluto chiedere, ai due magistrati, quale fosse questa politica che avrebbe deciso le stragi del 92, visto che dopo l'omicidio Lima, la mafia aveva rotto il suo patto.

Al giornalista ha poi risposto Ingroia, spiegando la natura di quelle stragi: fare la guerra per fare la pace. Battere il pugno sul tavolo, per fare una trattativa con lo stato, per trovare un nuovo equilibro. Equilibrio politico che si spiega col fatto che dopo il 1993, le stragi e le morti eccellenti cessano.

L'intervento di Orlando.



Il messaggero di Provenzano.
Questa storia, della trattativa (presunta) per la consegna di Provenzano, ha tutti i tratti dell'ennesimo mistero italiano.
IL coinvolgimento dei servizi, una storia ufficiale (la cattura nel giorno delle elezioni dell'aprile 2006) e una nascosta (la consegna 30 giorni prima, per parlare con i giudici della procura nazionale antimafia).
E questo messaggero che non si sa bene da dove spunti, se sia uno dei servizi o cosa...



La senzazione, però per i parenti delle vittime (come Maria Giovanna Chelli rappresentante per le vittime della strage di via deio Georgofili) è di profonda rabbia.
Per sapere che le istituzioni sono scese a patti con la mafia.
Istituzioni che avrebbero fatto la trattativa per fermare le stragi che però sono continuate nel 1993: e se si fosse capito subito il messaggio che arrivava, con la bomba di Boboli, forse si sarebbe risparmiata qualche vita.
Per questo, concludeva la Chelli, è importante seguire la pista mafiosa per la bomba di Brindisi.

Nella seconda parte del suo intervento, Scarpinato ha voluto ritornare sul volto criminale del potere italiano, come anche del volto pulito dei capi mafiosi.
I Bontade e gli Inzerillo prima, i Messina Denaro oggi. Professionisti.
Oggi Scarpinato è tra i giudici che stanno indagando sulla trattativa e sulle bombe del 1992-93: un'inchiesta che forse ci spiegherà come è nata la seconda repubblica, in ba se a quali ricatti e compromessi.

La polemica Travaglio-Sansonetti.




L'intervento di Travaglio.

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