23 maggio 2012

I 57 giorni

57 giorni separano le due grandi stragi di mafia dell'estate 1992, quella di Capaci e quella di via D'amelio.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e le rispettive scorte: morti che camminno, come dicevano loro stessi con un umorismo nero, che però serviva ad andare avanti ogni giorno.
Dopo 20 anni anni, nonostante le sentente giudiziarie, sappiamo a malapena chi sono stati gli esecutori materiali di quelle stragi, conosciamo i mandanti mafiosi (i capi corleonesi Riina, Bagarella e Provenzano). Ma molte altre cose, sono ancora oscure: e allora ricordare il passato non diventa più un obbligo per tenere viva la memoria su queste persone coraggiose.
Diventa una necessità per la nostra democrazia stessa: la seconda repubblica è nata proprio in quegli anni di tangenti, crollo dei partiti e sangue.
E anche ricatti.

Fa una certa impressione vedere le immagini del film tv di Alberto Negrin sugli ultimi 57 giorni di Paolo Borsellino (bene interpretato da Luca Zingaretti, che però non aveva lo stesso accento marcato del giudice). Sono immagini che ci trasmettono sia la determinazione che il coraggio di un magistrato che sa che quello che sta facendo, lo porterà a morte.
Sa che deve riprendere, dopo il 23 maggio 1992, il filo delle indagini che Falcone lasciò a Palermo quando andò a Roma. Mafia e appalti, mafia e politica.
Da una parte la determinazione , la forza nervosa di un uomo solo (o comunque con pochi collaboratori di cui fidarsi), e dall'altra uno stato che ancora attendeva, balbettava, si metteva in attesa.
Le leggi antimafia che furono approvate solo dopo via D'Amelio.
La Dia, la FBI italiana, che ancora stentava a partire.
La legge sui pentiti che arrivò solo dopo le stragi.
I partiti di governo che, come oggi del resto, non facevano pulizia al loro interno.

"Vedo la mafia muoversi in diretta": la mafia, e quelle parti dello stato a disposizione "per quella convergenza di interessi" con cosa nostra. Nelle stanze del Viminale, e nella fiction è uno dei momenti chiave, Borsellino incontra il dirigente del Sisde (e prima della Criminalpol) Bruno Contrada. Nelle stanze dove si dovrebbe combattere la criminalità ,a lcriminalità stessa aveva (aveva?) una sua testa di ponte.



57 giorni passano da Falcone a Borsellino.

20 anni sono passati dalle stragi, e ancora non sappiamo chi li ha voluti morti. 
Le inchieste di oggi parlano di servizi "deviati" , di uno stato che ha trattato con la mafia e di uno stato (quello di Falcone e Borsellino, degli uomini della sua scorta, dei palermitani che hanno appeso le lenzuola bianche) che ha ha fatto il suo dovere.
Chiedersi da che parte oggi vogliono stare le istituzioni, non è retorico.

Lo è invece andare oggi a celebrare il ricordo dei due magistrati, e poi dimenticarsi della lotta a Cosa Nostra e alle mafie negli altri giorni dell'anno.

Con che coraggio oggi gli esponenti politici possono ricordare Falcone e poi sedersi in un parlamento di condannati (o sotto processo) per mafia?

Cosa vogliamo fare: tornare indietro alla stagione dei veleni contro i magistrati che combattono la mafia veramente?
Tornare indietro agli anni in cui si diceva che la mafia non esisteva o che al limite era una questione di poche famiglie criminali?
Agli anni in cui si diceva che le indagini distruggevano l'economia e l'immagine dei politici ?

La confindustria siciliana ha fatto coraggiosamente la sua scelta: chi ha a che fare con la mafia, pagando il pizzo, è direttamente espulso.
E la politica? Gli amministratori? I professionisti degli ordini (medici, avvocati, commercialisti)?

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