29 maggio 2022

Scritto sulla sabbia: L'ultima indagine di Gori Misticò, di Fausto Vitaliano

 


Località Casavrusciàta Bosco della Papalùta

Tra i serpenti più diffusi in Calabria vi sono ’a sèrpa nìgura (altrove nota come biacco carbonaro), ’u saettùna, ovverosia il còlubro di Esculàpio (celebre per comparire avvolto lungo il bastone del patrono della medicina), la biscia tassellata e la biscia dal collare e, soprattutto, il possente cervone, che da queste parti chiamano ‘mbastùravàcchi, in quanto la leggenda riteneva fosse attirato dal latte delle mucche.

Un incipit dove si parla di serpi, di leggende che affondano nel passato. Sulla copertina l'immagina di una cassetta delle lettere (qualcosa che oggi non vediamo più).. 

Libri come questo, ultimo della trilogia di Fausto Vitaliano con Gori Misticò, vorresti non finissero mai, perché arrivati in fondo scopri di aver conosciuto un amico, una persona che ti ha messo a nudo le sue debolezze, che non ti ha nascosto i suoi pensieri, anche quelli più cupi e ora, dopo tutto questo viaggiare assieme, sai che lo devi lasciare..

Leggendo le pagine di questo romanzo mi sembrava di rileggere le pagine del maestro Camilleri, per la sapienza con cui si alternava italiano e dialetto (calabrese in questo caso), per come si raccontava la Calabria dell’interno (inventata ma non per questo meno reale, come Vigata), una terra bella e disgraziata che si affaccia su due mari, con montagne e foreste.
Per come l’autore è stato capace di raccontare, in un libro giallo che si muove su ben due piani temporali, anche pagine dove si discute del senso della vita: per cosa vale la pena vivere? Cosa ti porterai dietro nei momenti finali? L’attaccamento alla vita, perché ogni giorno vale la pena di essere vissuto.

Ritroviamo in questo romanzo l’ex maresciallo Gori Misticò, reduce dall’operazione contro il suo male, su a Milano, che non ha sconfitto il suo male. Il suo nemico è ancora lì, col suo carico di dolore a cui non bastano nemmeno più le medicine dell’amico medico Nico Strangio, uno dei pochi amici veri, assieme a Michele, l’eterno ragazzo morto giovane a sedici anni, tanti anni fa.

Questa volta, Gori, vorrebbe veramente farla finita: dopo tanti anni nell’arma come infiltrato nei gruppi terroristici, dopo quella sparatoria finita male, dopo aver lasciato Julia, la sua compagna a Milano, per tornare al suo paese, San Telesforo Jonico, per essere solo un maresciallo di un paese dove è cresciuto e che ha abbandonato tanti anni fa. Quel paese dove ha ritrovato i tanti ricordi del passato, le estati passare assieme a Nicola e Michele, i tramonti sulla spiaggia del Pàparo.
Nonostante sia ormai un maresciallo in congedo non è ancora il tempo di mollare tutto: il suo vice, il brigadiere Federico Costantino, ha bisogno di lui per uno strano caso.

.. verso la casupola che spuntava dall’erbaggio e si accorse che ci stava qualcuno. Un brivido gli si strascinò lungo la spina dorsale. Ommadònnadocàrmine, disse tra sé. ’A Papalùta!

Nucenzo, il ragazzo che abbiamo incontrato nell’incipit, si imbatte nel cadavere di una donna, davanti una casupola nel bosco della Papàluta, la strega che secondo la leggenda popolare rapisce i bambini per succhiargli il sangue.

.. era proprio la strega che si annidàva nel boscàme e che avrebbe rapito pure a lui, come aveva fatto molto tempo addiètro con quei due poveri bambini, di cui ricordava pure i nomi: Leone e Margherita. Che anno era? Forse il 1960 o il 1961,

Ma qui non si tratta di strega: la morta è una donna che, secondo i registri ufficiali, è già morta una volta. Chi è allora questa donna allora? E come è potuto accadere questo scambio? Dopo un rimpallo di responsabilità, la grana arriva sul tavolo del povero brigadiere.

Queste pagine, ambientate nel tempo dell’oggi, si alternano ad una brutta storia accaduta in un paese vicino, Brancaccio, in un piano temporale che porta indietro negli anni: è la storia di due bambini rapiti da una ragazza giovane, che forse (raccontano le voci del popolo) si era invaghita del loro padre, rimasto vedovo, un uomo potente nel paese. Un rapimento sciagurato, allora, come gesto estremo di un amore malato..

Brancaccio (attualmente, paese fantasma)
Leo si era svegliato per primo e, coraggioso com’era – suo papà glielo diceva sempre: Devi essere coraggioso come il nome che porti. Ti chiami Leone Altieri – non era scoppiato a piangere,

Come si intreccia questa storia, i bambini, la giovane ragazza con una passione insana, col mistero del cadavere morto due volte e ritrovato proprio nel bosco dove, secondo la leggenda (che però dietro ha sempre un pezzo di verità) viveva questa strega crudele?

Misticò, che è sceso giù in Calabria per prendere un’importante decisione, vorrebbe tenersi lontano dalle indagini, dai problemi, perfino dalle persone. Ma certe scelte non dipendono da noi, a volte il destino ha già scelto e non rimane che assecondarlo. A Linate incontra una ragazza che sta scendendo anche lei al suo paese e a cui da un passaggio.

Misticò sembrava non capire. “Lùs,” disse lei indicandosi. Lui la guardò strano. “Lùs? In che senso?” “Il nome completo è Luzija.”

Sta organizzando qualcosa, giù in Calabria, perché non va a visitare le sue installazioni, qualche giorno? C’è sempre tempo per imparare a fare cose nuove ogni giorno.
C’è poi un’altra persona, anche lei venuta dal nord, che incrocia la vita di Misticò: è sceso a San Telesforo per una missione, portandosi dietro la sua tosse insistente e una pistola. Sta cercando proprio l’ex carabiniere: per fare cosa? Qual è la sua missione?

Solo qualche giorno, si ripeteva. Devi resistere solo qualche giorno, Armando. È l’ultimo atto, il finale della storia. E il finale definisce il racconto, gli dà senso.

Alla fine è la curiosità, scoprire la verità sulla donna morta due volte, che spingerà Misticò verso questa sua “ultima indagine”, in cui si interroga su sé stesso su fino a quando riuscirà a resistere al dolore della sua malattia. In cui dovrà andare a scavare nella storia passata del paese, anche attraverso l’incontro con una santona, la “Benadìca”, la “La donna che toglieva il malocchio”. Incontreremo i Tre Fenomeni di San Telesforo, “cioè a dire Mario Corasaniti, detto ’u Filòsofu, Peppa Caldazzo, noto come ’u Sapùtu, e Ciccio De Septis, che tutti indicavano come ’u Rinàtu, stavano seduti al tavolino del Bar Centrale”, ormai parte del architettura del paese.

Emergerà una storia di soprusi, da parte di uno di quei tanti don Rodrigo che comandano vita e morte nei paesi, al di sopra della legge, ieri come anche oggi. Una storia di padri mancanti e di madri scomparse e di figli abbandonati.. Una storia che è anche quella personale di Misticò, che in questo suo ritorno a San Telesforo, oltre all’indagine sulla morte, è alle prese con una indagine più privata, personale, quella che porta al grande mistero su suo padre. Chi era, come si muoveva, quando è stata l’ultima volta che da piccolo lo ha preso in braccio?

Eccola, allora la vita, il senso della vita, quello che ci portiamo dentro, quello per cui, arrivati al gran giorno, ci dispiacerà perdere e per cui è valso la pena aver vissuto:

Stava per dire un’altra cosa, ossia che tutti dicono la vita, la vita… Ma la vita sono le persone. Quelle che conosci, che incontri, che ti amano e che ami.

Gli altri romanzi della trilogia

- La mezzaluna di sabbia

- La sabbia brucia

La scheda del libro sul sito di Bompiani

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