18 giugno 2024

La ragazza di Gladio - la fidanzata di Silvio Ferrari


Uno dei punti centrali del libro, preciso, facile da leggere, basato solo su fatti accertati (non illazioni o ipotesi da vagliare) è la testimonianza della fidanzata di Silvio Ferrari: era il ragazzo bresciano che faceva parte di Ordine Nuovo, morto mentre stava preparando un attentato contro un locale.

Non era uno dei tanti ragazzetti che inneggiava al duce e alzava il braccio: nel 1973 e ad inizio 1974 Ordine Nuovo, dopo essere stata sciolto (ufficialmente) dal presidente Rumor, dove aver visto che gli attentanti (come Milano alla Banca dell'agricoltura) non hanno portato ad un governo di destra, decide di alzare la posta.

Servono altre bombe, serve altro terrore, perché la gente impari. Impari a non chiedere riforme progressiste, salari più dignitosi, scuole e università per tutti.

Queste bombe, questo nuovo corso della strategia della tensione non è solo frutto della loro mente: la fidanzata di Silvio Ferrari, che solo adesso che è morto un certo generale molto chiacchierato ha deciso di parlare al processo di Brescia, è stata testimone di incontri tra questi neofascisti e ufficiali dei carabinieri legati ai servizi.

La storia inizia proprio in una caserma, che è rimasta scolpita nella mente della testimone. «Quella stazione dei carabinieri giocò un ruolo molto importante negli ultimi mesi di vita di Silvio. Ci andavamo con la sua moto. E qualche volta in macchina, portati da un appuntato di Brescia.

In quella caserma ho partecipato a diverse riunioni con il capitano Delfino e con altri ufficiali dei carabinieri, credo, di cui non conoscevo i nomi e i gradi. Io ero lì per Silvio, lui mi portava per avere una testimone.» Ogni partecipante aveva un posto attorno ad un tavolo tondo, in una stanza spoglia, ma con una decina di foto di militari appese alle pareti. C'erano quattro giovani neofascisti: lei, Silvio, un duro del gruppo bresciano e un veronese «un po' più piccolo», s'intende di età, ma «tremendo, determinato.» Intervallati tra loro, sedevano quattro militari.

Delfino, in divisa, era in mezzo ai due duri, il veronese e il bresciano.

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Il ricordo è lancinante, ancora oggi le trafigge il cuore. «Sin dalla prima riunione alla quale partecipo, che collocherei nel gennaio 1974 o al massimo nel dicembre 1973, si parla di una strage da fare al Blue Note di Brescia.

La strage di Brescia, a piazza della Loggia, sarebbe dunque nata da un incontro tra neofascisti e uomini dello stato. Persone in divisa.

Come il capitano Delfino, quello del pentito Balduccio Di Maggio.

Ma c'è di peggio nel racconto della testimone, tutto riscontrato dai magistrati, non è nulla di inventato: alcuni incontri avvenivano nel comando FTASE di Verona

Senza possibilità di sviluppo processuale è rimasta, invece, la notizia che in apparenza sembrava la più sensazionale: l'ipotesi che Delfino facesse capo alla Cia o ad altri apparati statunitensi. 

L’unico dato certo è che a Verona la testimone ha riconosciuto il palazzo del centro storico, in via Roma, che allora ospitava il comando della Nato.

«Ho accompagnato più volte Silvio qui dentro: entravamo all'interno, lui parcheggiava la moto nel cortile e veniva ricevuto dal capitano Delfino in uniforme nera. C'erano anche altri militari in uniforme carta da zucchero, un azzurro verso il blu. Io non li seguivo mai, rimanevo vicino alla motoretta. Poi Delfino lo riaccompagnava in cortile e ripartivamo.» 

Il verbale è suggestivo: Delfino, in effetti, era soprannominato «l’americano» e fu anche sospettato di essere un referente della Cia a Brescia.

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La scena di un giovane terrorista neofascista bresciano che viene ricevuto in un comando strategico della Nato ha dell’incredibile.

Manovalanza fascista, pupari dentro lo stato.

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- La ragazza di Gladio - le coperture dello Stato ai fascisti

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