Quella che state per leggere è la storia di una grande bugia di Stato, figlia di una colossale mistificazione che dura da ventisette anni. È una storia che nessuno racconta ..
La storia che nessuno racconta (o che
al limite viene solo accennata) è la storia della più grande e
grave menzogna della nostra recente: il depistaggio di Stato suiresponsabili della strage di via D'Amelio dove, il 19 luglio 1992,
perse la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, Traina,
Catalano, Li Muli, Cosina ed Emanuela Loi, la giovane agente che
Borsellino considerava quasi come una figlia, troppo giovane per
morire:
«Questa ragazza mi sembra un farfalla, potrebbe essere mia figlia. Non voglio morti così giovani sulla coscienza. Intesi, Catalano?»
La storia che i due
giornalisti raccontano è la storia di un'indagine che sin
dall'inizio è stata messa sui binari della messa in scena, per
individuare un responsabile di comodo, Vincenzo Scarantino e per
allontanare l'attenzione dai veri responsabili, dai veri mandanti.
In questa storia
non ci sono buoni e cattivi, il confine è veramente labile: ci sono
agenti in divisa come Gioacchino Genchi, che hanno cercato le tracce
dei responsabili seguendo la pista dei cellulari clonati (pista che
porta dentro al mondo dei servizi).
E ci sono agenti
che hanno costruito un finto pentito, Scarantino, vestito come un
pupo e istruito a suon botte e violenze psicologiche affinché
imparasse la lezione.
Sono gli agenti
della squadra messa in piedi dal Viminale attorno ad Arnarlo La
Barbera e che oggi sono stati rinviati a giudizio per la loro
condotta, si tratta di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio
Mattei (La Barbera nel frattempo è morto).
Un'indagine che è
nata attraverso una forzatura, l'assegnazione delle indagini da parte
del procuratore Tinebra ad un funzionario del Sisde, Bruno Contrada.
E proprio dal Sisde
arrivarono le prime veline su Scarantino e le sue parentele mafiose,
che servivano a costruire il personaggio di rango mafioso.
Sembra di rivedere
il film di Piazza Fontana e di altri misteri d'italia: solo che in
questa storia, Scarantino è stato ritenuto credibile non solo dai
magistrati di Caltanissetta (e anche da Ilda Boccassini, almeno nei
primi mesi del suo pentimento, finché non parlo anche della strage
di Capaci), ma anche dai giudici che ritennero vere le sue
rivelazioni, in primo grado fino in Cassazione.
«Il lavoro di
questa procura – dice la Boccassini – è stato possibile perché
tutti i pezzi dello Stato si sono compattati. Il mio ringraziamento
alla dottoressa Liliana Ferraro che non ha mai abbandonato
Caltanissetta [..] Ringrazio il collega Di Maggio la cui esperienza,
professionalità e il coraggio dimostrato [..]
Senza l’aiuto di
Di Maggio, senza la collaborazione del direttore di Pianosa e di
tutti gli agenti non sarebbe stato possibile gestire per la prima
volta con Scarantino nel carcere di Pianosa gli eccellenti risultati
che stiamo ottenendo».
Come è stato
possibile?
Come è stato
possibile credere che Riina affidasse ad un personaggio (che aveva
alle spalle piccoli reati per spaccio) una strage così importante?
Importante per la
fretta, per quei soli 57 giorni che la separavano dalla bomba di
Capaci.
Eppure questo è
successo: ancora oggi i familiari del giudice chiedono conto allo
Stato, all'autorità giudiziaria, al CSM e alla Cassazione del
depistaggio in atto.
I due autori
riportano le dichiarazioni di questi giudici: prima enfatiche, per la
soddisfazione di aver dato subito giustizia alle vittime, per il
racconto di questo pentito che veniva considerato un novello
Buscetta.
Dichiarazioni ai
limiti dell'imbarazzo, poi, quando la menzogna venne svelata,
dall'ennesima ritrattazione di Scarantino e dall'arrivo delle
dichiarazione di Gaspare Spatuzza.
Il libro di Sandra
Rizza e Giuseppe Lo Bianco racconta la storia assurda di questi
processi, la pista seguita da Genchi sui cellulari clonati usati dai
mafiosi, pista poi stoppata, dei rapporti tra Tinebra (il procuratore
capo di Caltanissetta) e il Sisde, la pista scartata che portava a
“faccia di mostro”, l'agente di polizia che per mesi si è
ritenuto responsabile di diversi delitti eccellenti nell'isola (come
quello dell'agente Agostino nel 1989).
Troppe domande
rimangono ancora senza risposta, ancora oggi, quando sono passati 27
anni da quella bomba: la prima riguarda i poliziotti che hanno messo
in bocca a Scarantino quella menzogna.
Difficile che
agissero da soli, senza un input superiore. E dunque lecito chiedersi
chi ha ideato il depistaggio che tra l'altro mescola anche pezzi di
verità che dovevano arrivare da personaggi che hanno partecipato
alla strage in prima persona (per esempio, la 126 imbottita di
esplosivo, che esce fin da subito dai documenti degli investigatori).
Sia la versione di
Spatuzza che quella di Scarantino convergono sulla centralità della
mafia: Spatuzza ha raccontato un particolare che alza lo scenario ad
altri partecipanti:
L’unico inquietante spiraglio aperto da Spatuzza su scenari inediti, quell’avvistamento nel garage di via Villasevaglios di uno sconosciuto che assisteva al «caricamento» della Fiat 126,
Molte testimonianze
raccontano di personaggi dei servizi segreti presenti sulla scena
della strage sin dall'inizio: come facevano ad essere presenti lì in
così poco tempo? Qualcuno li aveva avvisati prima?
Lo racconta il
vicesovrintendente Giuseppe Garofalo, in servizio alla sezione
volanti: “il poliziotto nota un uomo in borghese, con indosso la
giacca (nonostante il torrido clima estivo) e pochi capelli in
testa.”
Ecco dunque lo
scenario che si apre a nuovi personaggi, come una macchina da presa
che allarga l'inquadratura: non solo il piccolo criminale di borgata,
non solo il mafioso di Brancaccio, il killer dei Graviano. Ma anche
il mondo dei servizi deviati, per cui è lecito cosa cercassero tra
le auto in fumo e i cadaveri carbonizzati: forse quell'agenda rossa
dove Borsellino stava annotando tutte le sue scoperte, come quelle
sulla strage dell'amico Giovanni Falcone?
Tutto questo ci
conduce alla domanda più importante: perché? Perché quella strage,
perché così in fretta?
Dopo via D'Amelio
lo Stato e il Parlamento dovettero approvare il decreto Falcone che
altrimenti sarebbe decaduto. Esso conteneva il 41 bis, una legge che
a Riina non doveva proprio piacere.
Chi ha consigliato
allora a zu Totò quella bomba?
Quello che Borsellino sapeva, quello
che aveva capito, doveva essere messo a tacere per sempre. Per questo
non bastava eliminare il giudice
Domanda che porta a
quella convergenza di interessi tra boss mafiosi, non dell'ala
militare di Riina, politici collusi con la mafia, servizi deviati
all'interesse di quest'ultimi e, se vogliamo dare ascolto all'ex
ministro Pomicino, anche servizi americani:
Non si può non rilevare, secondo Pomicino, che in quel momento c’è stata una «convergenza di obiettivi» tra Cosa nostra e i servizi segreti atlantici, per provocare in Italia un enorme scossone politico.
Dopo 27 anni, dopo
quattro processi, è arrivato il momento di fare luce su tutti questi
misteri, aprendo gli archivi della commissione antimafia e anche
quelli dell'ex Sisde: dobbiamo pretenderla tutti questa verità, se
vogliamo liberare la nostra democrazia da ricatti e segreti (da cui è nata la seconda Repubblica, a cominciare dal partito di Dell'Utri e Berlusconi) e
“respirare quel fresco profumo di libertà”.
La scheda del libro
sul sito di Chiarelettere
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