Al centro del racconto di Presadiretta
il mondo delle armi, chi le produce e chi le compra. E le ragioni
geopolitiche dietro questo mondo, poco trasparente per natura.
Un altra puntata interessante, dopo
quella sulla ndrangheta, che ha suscitato qualche polemica nel
mondo forense calabrese: non va sottovalutata la mafia, non va
lasciata sola la gente calabrese, i giornalisti che parlano delle
ndrine.
L'Italia ripudia la guerra ma spende
miliardi in armi e le vende in tutto il mondo: una volta erano le
mine della Valsella, oggi sono le mine, più gli elicotteri, i carri,
le bombe e le navi.
Le armi sono un settore strategico, lo
scorso marzo le aziende di questo settore sono rimaste aperte perché
la politica le ha considerate strategiche.
I ministri del Mise e della Difesa
hanno scritto una lettera ai vertici dell'industria militare dove
chiedevano a loro di scegliere cosa tenere aperto e chiuso.
Nei mesi in cui il virus ci attaccava,
il governo si prendeva cura di questo settore: la lettera è arrivata
all'ex deputato Crosetto, fondatore di Fratelli d'Italia.
“E' stata chiusa al 50% la parte
produttiva ” ha spiegato alla giornalista “oltre al lockdown
di tutta la parte amministrativa.” Ma lo stato ha fatto
decidere alle aziende: “è stato un accordo fatto coi sindacati
all'interno dei codici Ateco che il governo ha reputato
fondamentali.”
Nella lettera i due ministri
ribadiscono l'importanza fondamentale del settore che si è deciso di
tutelare il settore: “le aziende hanno lavorato per le forze
armate che si muovono su mezzi che hanno bisogno di manutenzione,
hanno bisogno di elicotteri, c'era bisogno di mantenere aperte quelle
aziende per mantenere i contratti che altrimenti sarebbero caduti.”
Il settore militare italiano viene
sempre privilegiato? “l'industria delle difesa viene
privilegiata in tutti gli stati.”
Nel documento programmatico per la
spesa tra il 2020 e il 2022 sono contenute le spese per il settore
della difesa, con i sistemi d'arma che intendiamo comprare: fino al
2025 nuovi aerei per 11 miliardi, navi e sottomarini per 4,1 miliardi
di euro, elicotteri per 2 miliardi, blindati 1,5 miliardi.
Anche aerei spia americani modificati
da una società americana per fare attività di spionaggio, che
pagheremo in tre tranche, la prima rata è di 1,3 miliardi.
Con l'ultima legge di bilancio del
2020, il bilancio della difesa è passato da 22 a 24 miliardi: il
giornalista Francesco Vignarca ha commentato questa scelta:
almeno 6 miliardi di euro sono spesi per nuovi bombardieri, nuovi
carri armati, nuovi elicotteri: miliardi che potrebbero essere
utilizzati per la scuola, per la sanità: “si acquistano sistemi
d'arma eccedenti le necessità e in alcuni casi come si è visto per
i blindati acquisiti nel decennio scorso, vengono parcheggiati e
cannibalizzati per quei mezzi che non si riescono ad aggiustare
perché non ci sono soldi.”
Lo spreco è testimoniato dal cimitero
dei carri armati nella provincia di Vercelli: ma i soldi della
difesa non bastano più, per le armi prendiamo soldi dal ministero
delle finanze, per finanziare missioni all'estero e nuovi acquisti e
così scopriamo che il 25% dei fondi strategici pluriennali sono
destinati alla difesa, mentre la sanità si prende solo l'1,25%:
veramente pensiamo che gli armamenti sono così importanti?
Un sottomarino nucleare costa come 9280
ambulanze, un caccia f35 costa come 3244 posti letto in terapia
intensiva: ne abbiamo comprati 90 esemplari, un programma di acquisto
tra i più costosi nella storia italiana.
LA spesa totale per gli F35 costerà 18
miliardi di euro, ogni governo fino ad oggi ha scelto di andare vanti
nel programma.
Non ci sono penali da pagare, chi lo
sostiene mente al paese: tanti politici sui caccia f35 hanno
cambiato idea con un voltafaccia ipocrita, da Bersani a Renzi.
Sulle spese militari la politica si
convince sempre, nonostante i costi aumentati, nonostante le
consegne in ritardo: l'ex generale Tricarico, di fronte alla domanda
dei costi del caccia f35 si è messo a ridere. Dovremmo spendere di
più secondo il generale, che forse non sa che la spesa militare è
da anni in crescita. Spese che non danno ritorno in posti di lavoro,
spese che non hanno dietro esigenze strategiche, come l'acquisto
voluto dall'ex ministra Pinotti per i droni della Piaggio. Spesa
fatta per una questione di immagine.
Ma allora, compriamo armi per la nostra
sicurezza oppure per l'immagine delle aziende private che le
producono? E poi, come mai vendiamo armi a paesi come l'Egitto e
l'Arabia?
Il 3 febbraio 2016 a Il Cairo fu
ritrovato il corpo di Giulio Regeni, sparito giorni prima: sul
suo corpo il segno della tortura, fatta dai servizi segreti egiziani,
“il dizionario delle torture” lo chiama la madre di
Giulio.
Tutti sanno cosa è accaduto a Giulio,
tutti i politici a parole dicono di voler arrivare alla verità su
Giulio, di voler arrivare ai responsabili. Ma solo a parole: dal
governo Renzi al governo Conte, la ragione di stato ha sempre fermato
la volontà di fare giustizia.
L'Egitto ha sempre protetto i servizi,
depistando le indagini, uccidendo testimoni: la procura di Roma
accusa 4 ufficiali della sicurezza egiziana, hanno scoperto anche che
Regeni fu venduto da un venditore ambulante ai servizi egiziani,
arrestandolo il 25 gennaio per portarlo nell'edificio sede della
security a Il Cairo.
Un'attivista egiziano di We Record,
scappato alle torture, ha raccontato a Giulia Bosetti del suo
incontro con Giulio Regeni: si diventa un numero nelle carceri
egiziane, quando si entra in queste strutture, dove le persone sono
numeri, così è più facile ucciderli.
Il dittatore Al Sisi sa proteggere i
suoi uomini, sa premiare chi fa quadrato attorno ai segreti del
regime: Al Sisi sapeva dell'arresto di Regeni, perché
riguardava un cittadino italiano, un paese con cui l'Egitto aveva e
ha forti rapporti commerciali.
Dal 2016 al 2018 l'Italia ha smesso di
vendere armi all'Egitto: nel 2018 le dotazioni per le forze si
sicurezza vengono però sbloccate.
L'anno della svolta è proprio il
2018: a Il Cairo arriva un nuovo ambasciatore, inviato dal
governo Gentiloni e pochi mesi dopo, arrivano i ministri del governo
Conte freschi di nomina, tra cui il ministro Salvini, il primo ad
incontrare il presidente Al Sisi, nel luglio 2018.
Ad agosto è il turno del ministro
degli esteri, Enzo Moavero, poi tocca al ministro del lavoro Di Maio:
tutti in fila per incontrare premier e ministri del governo egiziano.
L'ultimo è stato il presidente Conte,
a novembre 2018, che parlava di un dialogo costante col presidente Al
Sisi per arrivare ad una verità giudiziaria ..
Nonostante tutte queste visite, il
governo italiano non ottiene la verità sulla morte di Giulio Regeni,
ma ottiene altri accordi per la vendita delle armi.
Dal 2019 – lo racconta Erasmo
Palazzotto, presidente della commissione sulla morte di Regeni –
l'Egitto è il primo paese verso cui l'Italia esporta le armi e nel
2020 questo record viene superato, aumentando il volume d'affari,
parliamo di cifre pari a 900 milioni di euro nel 2019 e nel 2020 col
contratto di fornitura per le due fregate Fremm, un rapporto che per
i prossimi anni porterà a vendite per 10 miliardi di euro.
Le due fregate Fremm costruite da
Fincantieri, società partecipate dal Tesoro, sono state adattate
per gli egiziani, coi sistemi di controllo di Leonardo, ex
Finmeccanica, con una partita che è costata 1,2 miliardi di euro. La
prima fregata parte per l'Egitto a Natale, quasi di nascosto.
Vendere armi all'Egitto è una cosa
normale? Secondo Crosetto ci si muove secondo i confini dati
dalla politica. Il problema è se uno vuole avere rapporti con paesi
come l'Egitto – sono parole dell'ex sottosegretario – non gli
vende le armi e nemmeno i formaggini.
Ma la questione Egitto era così
scottante che è stata gestita direttamente da Conte e da Di Maio: un
aiuto per la propria industria, è sempre il generale Tricarico a
parlare, perché tutti i paesi difendono i loro prodotti.
Ma questo è un tradimento nei
confronti dei genitori di Giulio Regeni: l'Egitto è il più
grande acquirente di armi per il nostro paese.
E' tutto collegato: Al Sisi e l'Italia
sono legati, l'Egitto ha comprato la nostra inerzia nella ricerca
della verità con le concessioni per il gas estratto nel bacino
davanti le sue coste, comprando le armi.
E ad ogni acquisto di armi, Al Sisi
si intasca una commissione pari al 2,5% che finisce in un conto
in Svizzera: non solo, i soldi per comprare le Fremm sono arrivati da
un prestito arrivato dalle banche, tra cui la nostra Cassa depositi e
prestiti.
E il prestito è stato garantito dalla
SACE, la controllata di CDP, e dal ministero dell'Economia, grazie ad
un decreto firmato dal ministro Gualtieri.
Noi abbiamo pagati interessi per 21
milioni di euro per le Fremm, che dovevano essere vedute alla marina
italiana: paghiamo noi le armi per Al Sisi che, dall'altra parte, sta
pagando il nostro silenzio, la nostra vigliaccheria.
Queste fregate verranno usate dal
governo egiziano per presidiare il Mediterraneo orientale, dove sono
presenti i bacini di estrazione del petrolio tanto cari al governo
egiziano e su cui l'Eni ha firmato un accordo con Al Sisi: la
geopolitica del governo egiziano coincide dunque con la politica
dell'industria delle armi, nonostante il fatto che, in base alle
leggi italiane, noi non potremmo vendere sistemi d'arma a paesi che
non rispettano le convenzioni sui diritti umani.
L'Egitto sta investendo molto nella
sicurezza, pur soffrendo una grossa crisi, per continuare ad avere
una certa influenza nell'aria nordafricana.
E continuare a torturare i nemici del
popolo, a far sparire le persone, a mantenere nel terrore la vita dei
cittadini egiziani. Chiunque parli delle sparizioni, delle torture,
fa una brutta fine.
Come successo a Patrick Zaki, in
carcere dal 7 febbraio 2020: collaborava con una ONG per la difesa
dei diritti umani, dei detenuti e degli omosessuali.
Arrestato dalla polizia, è stato anche
lui torturato e messo in carcerazione preventiva, senza un processo,
da un anno intero. Con l'accusa di propaganda eversiva.
Gli egiziano lo chiamano “riciclaggio
di prigionieri”, persone arrestate e detenute per settimane, poi
rilasciate e riarrestate con accuse diverse.
Cosa deve succedere perché nessuno
venda armi all'Egitto: nel 2016 la commissione europea aveva provato
a fare una risoluzione per non vendere armi ad Egitto e Arabia, ma
poi Macron ha rotto il fronte, concedendo la Legion d'Onore ad Al
Sisi. Tutti vendono armi all'Egitto, e non sono formaggini come
dice Crosetto.
Ogni paese ha le sue leggi, i suoi
regolamenti per vendere le armi: l'europarlamentare Neumann si sta
battendo per un regolamento unico per l'export delle ami, ma molti
stati membri come Italia a Francia violano questa posizione comune.
Le armi non devono finire nelle mani
dei dittatori, non devono uccidere civili, dobbiamo controllare a
chi vendiamo le ami.
I nostri fucili d'assalto Benelli sono
stati usati in Bahrein, durante la repressione delle proteste
dei civili: la vendita è continuata anche dopo che l'Unione Europea
ha protestato contro le violenze sui civili nel 2015.
Anche in Birmania le persone
sono uccise da pallottole italiane.
E lo stesso succede in Turchia,
lo dice il lavoro del gruppo di indagine Light House: elicotteri
italiani sono stati usati per colpire la popolazione curda nel 2018 e
nel 2019.
Il 2019 l'Europa blocca l'export di
armi verso la Turchia, dopo i bombardamenti turchi in Siria: ma
l'Italia non ha mantenuto la promessa, abbiamo continuato ad inviare
armi all'esercito e all'aeronautica turca, che viene usata contro la
popolazione civile.
Dal 2018 l'Italia è il paese che
esporta più armi alla Turchia, alla faccia delle promesse di Di
Maio: un ex ammiraglio della marina turca ha raccontato alla
giornalista come, con l'Italia, ci sia un progetto per un lavoro
congiunto tra Italia e Turchia.
Nonostante il blocco annunciato
dall'Italia, noi continuiamo a vendere armi ad Erdogan e a lavorare
assieme: la Beretta possiede uno stabilimento a Turchia, Leonardo ha
una sede ad Ankara e appalta i suoi modelli d'arma ad una società
turca, la Onuk.
Onuk spedisce le componenti all'Italia
e l'Italia vende le armi alla Turchia: nel 2019 questo paese ha
importato armamenti per 3 miliardi, ma ha investito anche nella
produzione di armi con aziende locali, ogni anno investe in armi 45
miliardi.
Come sono usate le armi dalla Turchia:
in Siria, nel Curdistan iraqeno, perché la Turchia vuole
esercitare la sua egemonia sul popolo curdo.
Egemonia esercitata grazie agli
elicotteri Mangusta, prodotti in Turchia su licenza: attacchi
militari che Erdogan giustifica con l'esigenza di garantire sicurezza
sui suoi confini.
Giulia Bosetti è andata a vedere gli
effetti di questa sicurezza, nella regione del Curdistan: sono
territorio montuosi, dove la guerriglia del PKK può nascondersi.
Ma dove a morire è anche gente comune,
uccisa e ferita da attacchi che colpiscono le case nei villaggi.
Attacchi che lasciano a terra macerie, villaggi rasi al suolo,
migliaia di civili costretti a fuggire: “le schegge delle bombe
sono piovute dal cielo” racconta un sopravvissuto ad uno di questi
raid turchi “ho visto mia moglie in fiamme e mio figlio a terra
coperto di sangue perché era stato colpito alla testa [..] la
Turchia usa le vostre armi contro noi civili, se il nostro governo
non gliele vendesse non potrebbe bombardarci.”
Queste operazioni militari hanno
portato allo spopolamento dei villaggi nel Curdistan, perché nessuno
vuole vivere col terrore dei bombardamenti.
Con le nostre armi. Cambiano i
regimi, da Saddam a Erdogan, ma a farne le spese sono i civili curdi.
Da questa situazione chi si
arricchisce sono i venditori di armi: dovrebbe essere la comunità
internazionale che si deve prendere cura della situazione del
Kurdistan, che non ha armi nemmeno per difendersi.
E non è solo un problema di armi: noi
Italia abbiamo prodotti anche le mine che sono state piazzate e
mimetizzate lungo questo territorio. Mine che uccidono bambini,
che strappano gambe e mani alle persone che hanno la sfortuna di
incontrarle.
Altro teatro di guerra importante è
quello libico: sarebbe vietato far arrivare armi alla Libia,
ma ci sono traffici illegali che alimentano il conflitto libico. La
procura di Genova sta indagando sui traffici di una nave libanese,
arrivata in Turchia al porto di Mersin, poi scortata fino alle acque
libiche che hanno accompagnato il suo carico di armi, scaricato poi
nel porto di Tripoli.
Da Tripoli è poi arrivata a Genova,
dove è poi partita l'indagine: il comandante ha patteggiato una
condanna per traffico di armi, ma il capitano è già in Libano e non
sconterà un giorno di pena.
Questo traffico d'ami, con la stessa
nave libanese, è andato avanti per anni, per trasportare armi in
Libia, violando l'embargo di armi, in modo sfacciato: la Turchia sta
portando avanti la sua politica sul Mediterraneo, vuole conquistare
il controllo nel Mediterraneo orientale.
E così alimenta una delle due fazioni
che si scontrano in Libia, come fanno l'italia e la Francia.
L'Europa è più interessata alla Libia
ma non ai libici, racconta l'ex inviato speciale dell'Onu Ghassam
Salamé: non ci sono pene per chi viola gli embarghi per le armi,
tutti i paesi occidentali vendono armi a paesi come la Giordania, che
poi le mandano alla Libia.
Gli embarghi sono aggirati anche dalle
licenze con cui un paese concede ad un altro di produrre sistemi
d'arma.
La RWM produce armi in Sardegna,
bombe poi vendute all'Arabia, che le usava contro i civili in
Yemen: da un mese l'export di queste armi è bloccato.
Le armi per l'Arabia partono dal porto
di Genova, dove una volta al mese attracca la nave della compagnia
araba, dove viene caricata di armamenti ed esplosivi: a maggio 2019 i
portuali di Genova scoprono che le navi di questa compagnia arrivano
cariche di carri armati, esplosivi, elicotteri e che a Genova vengono
caricati i generatori italiani Dual-Use per alimentare i droni da
combattimento e artiglieria da campo da utilizzare nella guerra in
Yemen che, secondo l'OCHA ha causato circa 233mila morti.
I lavoratori hanno bloccato così il
carico di armi: uno di questi portuali, intervistato dalla
giornalista, ha spiegato che da quel giorno hanno deciso che le armi
non dovevano essere più caricate e nemmeno transitare dal porto. “Il
porto è incastonato nella città, la nave che imbarca container
pieni di esplosivo potrebbe essere un monito per la città di Genova
che fa attraccare questa nave a cinquecento metri dalle case.”
Un altro portuale racconta che altre
compagnie fanno la stessa cosa celando la merce, “i mezzi grossi
vengono blindati all'interno delle stive alle quali i portuali non
hanno accesso, l'elicottero non viene parcheggiato nella stiva ma è
a pezzetti, da assembrare poi”.
Non vogliono lavorare con materiale che
porta morte i portuali: “noi non ci sporchiamo le mani di
sangue”.
Quella dello Yemen è la più grave
crisi umanitaria al mondo: in questo conflitto un ruolo lo ha
avuto anche l'Italia, che ha fornito armi per gli attacchi aerei ai
villaggi yemeniti.
Le bombe che uccidono persone in Yemen
sono prodotte in Italia: ora abbiamo bloccato l'export verso l'Arabia
e il 24 febbraio scorso la procura di Roma sta indagando sulle
responsabilità dei dirigenti della RWM sulle morti civili, per la
violazione del diritto umanitario.
Dovremo rimettere in discussione
l'export di armi anche contro la Turchia, ma l'industria delle armi
vive a doppio filo con i vertici delle forze armate: spesso ex
generali finiscono a lavorare per queste industrie, come nel caso di
Tricarico e Carta.
Si chiama sliding doors, una situazione
da conflitto di interesse che viene tollerata in Italia.
Le duecento aziende del settore delle
armi non hanno mercato, lavorano solo coi soldi dello stato italiano,
che ingaggiano poi ex generali ai loro vertici. E poi ci sono aziende
controllate dallo stato come Leonardo.
Qualche nome di generali o politici che
sono passati all'industria:
Sandro Ferracuti ex generale, prende un
incarico alla Selex.
Giulio Fraticelli nel 2006 diventa
presidente della Oto Melara.
De Gennaro diventa presidente di
Finmeccanica.
Minniti entra in Leonardo.
Sono tanti i generali che passano
poi all'industria delle armi: servirebbe un controllo su questi
passaggi tra governo e industria, per far sì che il governo non sia
condizionato nelle sue scelte.
Lo stato è sia controllore che
esportatore di armi, in una situazione di conflitto di interesse. Non
solo tutti gli investimenti in armi non portano grandi incrementi in
PIL e in posti di lavoro.
Leonardo, per esempio, si è convertita
al militare, ma le sue azioni sono passate da 13 a 5 euro: chi ha
investito in azioni ha rimesso il suo valore.
Chi combatte il potere dell'industria
delle armi, come l'ex deputato Gian Piero Scanu, ha perso la
sua battaglia: ha cercato di bloccare sprechi e spese militari ma non
è stato ricandidato dal PD, è stato isolato e lasciato a casa.