23 marzo 2021

Presadiretta – la dittatura delle armi

Al centro del racconto di Presadiretta il mondo delle armi, chi le produce e chi le compra. E le ragioni geopolitiche dietro questo mondo, poco trasparente per natura.

Un altra puntata interessante, dopo quella sulla ndrangheta, che ha suscitato qualche polemica nel mondo forense calabrese: non va sottovalutata la mafia, non va lasciata sola la gente calabrese, i giornalisti che parlano delle ndrine.

L'Italia ripudia la guerra ma spende miliardi in armi e le vende in tutto il mondo: una volta erano le mine della Valsella, oggi sono le mine, più gli elicotteri, i carri, le bombe e le navi.

Le armi sono un settore strategico, lo scorso marzo le aziende di questo settore sono rimaste aperte perché la politica le ha considerate strategiche.

I ministri del Mise e della Difesa hanno scritto una lettera ai vertici dell'industria militare dove chiedevano a loro di scegliere cosa tenere aperto e chiuso.

Nei mesi in cui il virus ci attaccava, il governo si prendeva cura di questo settore: la lettera è arrivata all'ex deputato Crosetto, fondatore di Fratelli d'Italia.

“E' stata chiusa al 50% la parte produttiva ” ha spiegato alla giornalista “oltre al lockdown di tutta la parte amministrativa.” Ma lo stato ha fatto decidere alle aziende: “è stato un accordo fatto coi sindacati all'interno dei codici Ateco che il governo ha reputato fondamentali.”

Nella lettera i due ministri ribadiscono l'importanza fondamentale del settore che si è deciso di tutelare il settore: “le aziende hanno lavorato per le forze armate che si muovono su mezzi che hanno bisogno di manutenzione, hanno bisogno di elicotteri, c'era bisogno di mantenere aperte quelle aziende per mantenere i contratti che altrimenti sarebbero caduti.”

Il settore militare italiano viene sempre privilegiato? “l'industria delle difesa viene privilegiata in tutti gli stati.”

Nel documento programmatico per la spesa tra il 2020 e il 2022 sono contenute le spese per il settore della difesa, con i sistemi d'arma che intendiamo comprare: fino al 2025 nuovi aerei per 11 miliardi, navi e sottomarini per 4,1 miliardi di euro, elicotteri per 2 miliardi, blindati 1,5 miliardi.

Anche aerei spia americani modificati da una società americana per fare attività di spionaggio, che pagheremo in tre tranche, la prima rata è di 1,3 miliardi.

Con l'ultima legge di bilancio del 2020, il bilancio della difesa è passato da 22 a 24 miliardi: il giornalista Francesco Vignarca ha commentato questa scelta: almeno 6 miliardi di euro sono spesi per nuovi bombardieri, nuovi carri armati, nuovi elicotteri: miliardi che potrebbero essere utilizzati per la scuola, per la sanità: “si acquistano sistemi d'arma eccedenti le necessità e in alcuni casi come si è visto per i blindati acquisiti nel decennio scorso, vengono parcheggiati e cannibalizzati per quei mezzi che non si riescono ad aggiustare perché non ci sono soldi.”

Lo spreco è testimoniato dal cimitero dei carri armati nella provincia di Vercelli: ma i soldi della difesa non bastano più, per le armi prendiamo soldi dal ministero delle finanze, per finanziare missioni all'estero e nuovi acquisti e così scopriamo che il 25% dei fondi strategici pluriennali sono destinati alla difesa, mentre la sanità si prende solo l'1,25%: veramente pensiamo che gli armamenti sono così importanti?

Un sottomarino nucleare costa come 9280 ambulanze, un caccia f35 costa come 3244 posti letto in terapia intensiva: ne abbiamo comprati 90 esemplari, un programma di acquisto tra i più costosi nella storia italiana.

LA spesa totale per gli F35 costerà 18 miliardi di euro, ogni governo fino ad oggi ha scelto di andare vanti nel programma.

Non ci sono penali da pagare, chi lo sostiene mente al paese: tanti politici sui caccia f35 hanno cambiato idea con un voltafaccia ipocrita, da Bersani a Renzi.

Sulle spese militari la politica si convince sempre, nonostante i costi aumentati, nonostante le consegne in ritardo: l'ex generale Tricarico, di fronte alla domanda dei costi del caccia f35 si è messo a ridere. Dovremmo spendere di più secondo il generale, che forse non sa che la spesa militare è da anni in crescita. Spese che non danno ritorno in posti di lavoro, spese che non hanno dietro esigenze strategiche, come l'acquisto voluto dall'ex ministra Pinotti per i droni della Piaggio. Spesa fatta per una questione di immagine.

Ma allora, compriamo armi per la nostra sicurezza oppure per l'immagine delle aziende private che le producono? E poi, come mai vendiamo armi a paesi come l'Egitto e l'Arabia?

Il 3 febbraio 2016 a Il Cairo fu ritrovato il corpo di Giulio Regeni, sparito giorni prima: sul suo corpo il segno della tortura, fatta dai servizi segreti egiziani, “il dizionario delle torture” lo chiama la madre di Giulio.

Tutti sanno cosa è accaduto a Giulio, tutti i politici a parole dicono di voler arrivare alla verità su Giulio, di voler arrivare ai responsabili. Ma solo a parole: dal governo Renzi al governo Conte, la ragione di stato ha sempre fermato la volontà di fare giustizia.

L'Egitto ha sempre protetto i servizi, depistando le indagini, uccidendo testimoni: la procura di Roma accusa 4 ufficiali della sicurezza egiziana, hanno scoperto anche che Regeni fu venduto da un venditore ambulante ai servizi egiziani, arrestandolo il 25 gennaio per portarlo nell'edificio sede della security a Il Cairo.

Un'attivista egiziano di We Record, scappato alle torture, ha raccontato a Giulia Bosetti del suo incontro con Giulio Regeni: si diventa un numero nelle carceri egiziane, quando si entra in queste strutture, dove le persone sono numeri, così è più facile ucciderli.

Il dittatore Al Sisi sa proteggere i suoi uomini, sa premiare chi fa quadrato attorno ai segreti del regime: Al Sisi sapeva dell'arresto di Regeni, perché riguardava un cittadino italiano, un paese con cui l'Egitto aveva e ha forti rapporti commerciali.

Dal 2016 al 2018 l'Italia ha smesso di vendere armi all'Egitto: nel 2018 le dotazioni per le forze si sicurezza vengono però sbloccate.

L'anno della svolta è proprio il 2018: a Il Cairo arriva un nuovo ambasciatore, inviato dal governo Gentiloni e pochi mesi dopo, arrivano i ministri del governo Conte freschi di nomina, tra cui il ministro Salvini, il primo ad incontrare il presidente Al Sisi, nel luglio 2018.

Ad agosto è il turno del ministro degli esteri, Enzo Moavero, poi tocca al ministro del lavoro Di Maio: tutti in fila per incontrare premier e ministri del governo egiziano.

L'ultimo è stato il presidente Conte, a novembre 2018, che parlava di un dialogo costante col presidente Al Sisi per arrivare ad una verità giudiziaria ..

Nonostante tutte queste visite, il governo italiano non ottiene la verità sulla morte di Giulio Regeni, ma ottiene altri accordi per la vendita delle armi.

Dal 2019 – lo racconta Erasmo Palazzotto, presidente della commissione sulla morte di Regeni – l'Egitto è il primo paese verso cui l'Italia esporta le armi e nel 2020 questo record viene superato, aumentando il volume d'affari, parliamo di cifre pari a 900 milioni di euro nel 2019 e nel 2020 col contratto di fornitura per le due fregate Fremm, un rapporto che per i prossimi anni porterà a vendite per 10 miliardi di euro.

Le due fregate Fremm costruite da Fincantieri, società partecipate dal Tesoro, sono state adattate per gli egiziani, coi sistemi di controllo di Leonardo, ex Finmeccanica, con una partita che è costata 1,2 miliardi di euro. La prima fregata parte per l'Egitto a Natale, quasi di nascosto.

Vendere armi all'Egitto è una cosa normale? Secondo Crosetto ci si muove secondo i confini dati dalla politica. Il problema è se uno vuole avere rapporti con paesi come l'Egitto – sono parole dell'ex sottosegretario – non gli vende le armi e nemmeno i formaggini.

Ma la questione Egitto era così scottante che è stata gestita direttamente da Conte e da Di Maio: un aiuto per la propria industria, è sempre il generale Tricarico a parlare, perché tutti i paesi difendono i loro prodotti.

Ma questo è un tradimento nei confronti dei genitori di Giulio Regeni: l'Egitto è il più grande acquirente di armi per il nostro paese.

E' tutto collegato: Al Sisi e l'Italia sono legati, l'Egitto ha comprato la nostra inerzia nella ricerca della verità con le concessioni per il gas estratto nel bacino davanti le sue coste, comprando le armi.

E ad ogni acquisto di armi, Al Sisi si intasca una commissione pari al 2,5% che finisce in un conto in Svizzera: non solo, i soldi per comprare le Fremm sono arrivati da un prestito arrivato dalle banche, tra cui la nostra Cassa depositi e prestiti.

E il prestito è stato garantito dalla SACE, la controllata di CDP, e dal ministero dell'Economia, grazie ad un decreto firmato dal ministro Gualtieri.

Noi abbiamo pagati interessi per 21 milioni di euro per le Fremm, che dovevano essere vedute alla marina italiana: paghiamo noi le armi per Al Sisi che, dall'altra parte, sta pagando il nostro silenzio, la nostra vigliaccheria.

Queste fregate verranno usate dal governo egiziano per presidiare il Mediterraneo orientale, dove sono presenti i bacini di estrazione del petrolio tanto cari al governo egiziano e su cui l'Eni ha firmato un accordo con Al Sisi: la geopolitica del governo egiziano coincide dunque con la politica dell'industria delle armi, nonostante il fatto che, in base alle leggi italiane, noi non potremmo vendere sistemi d'arma a paesi che non rispettano le convenzioni sui diritti umani.

L'Egitto sta investendo molto nella sicurezza, pur soffrendo una grossa crisi, per continuare ad avere una certa influenza nell'aria nordafricana.

E continuare a torturare i nemici del popolo, a far sparire le persone, a mantenere nel terrore la vita dei cittadini egiziani. Chiunque parli delle sparizioni, delle torture, fa una brutta fine.

Come successo a Patrick Zaki, in carcere dal 7 febbraio 2020: collaborava con una ONG per la difesa dei diritti umani, dei detenuti e degli omosessuali.

Arrestato dalla polizia, è stato anche lui torturato e messo in carcerazione preventiva, senza un processo, da un anno intero. Con l'accusa di propaganda eversiva.

Gli egiziano lo chiamano “riciclaggio di prigionieri”, persone arrestate e detenute per settimane, poi rilasciate e riarrestate con accuse diverse.

Cosa deve succedere perché nessuno venda armi all'Egitto: nel 2016 la commissione europea aveva provato a fare una risoluzione per non vendere armi ad Egitto e Arabia, ma poi Macron ha rotto il fronte, concedendo la Legion d'Onore ad Al Sisi. Tutti vendono armi all'Egitto, e non sono formaggini come dice Crosetto.

Ogni paese ha le sue leggi, i suoi regolamenti per vendere le armi: l'europarlamentare Neumann si sta battendo per un regolamento unico per l'export delle ami, ma molti stati membri come Italia a Francia violano questa posizione comune.

Le armi non devono finire nelle mani dei dittatori, non devono uccidere civili, dobbiamo controllare a chi vendiamo le ami.

I nostri fucili d'assalto Benelli sono stati usati in Bahrein, durante la repressione delle proteste dei civili: la vendita è continuata anche dopo che l'Unione Europea ha protestato contro le violenze sui civili nel 2015.

Anche in Birmania le persone sono uccise da pallottole italiane.

E lo stesso succede in Turchia, lo dice il lavoro del gruppo di indagine Light House: elicotteri italiani sono stati usati per colpire la popolazione curda nel 2018 e nel 2019.

Il 2019 l'Europa blocca l'export di armi verso la Turchia, dopo i bombardamenti turchi in Siria: ma l'Italia non ha mantenuto la promessa, abbiamo continuato ad inviare armi all'esercito e all'aeronautica turca, che viene usata contro la popolazione civile.

Dal 2018 l'Italia è il paese che esporta più armi alla Turchia, alla faccia delle promesse di Di Maio: un ex ammiraglio della marina turca ha raccontato alla giornalista come, con l'Italia, ci sia un progetto per un lavoro congiunto tra Italia e Turchia.

Nonostante il blocco annunciato dall'Italia, noi continuiamo a vendere armi ad Erdogan e a lavorare assieme: la Beretta possiede uno stabilimento a Turchia, Leonardo ha una sede ad Ankara e appalta i suoi modelli d'arma ad una società turca, la Onuk.

Onuk spedisce le componenti all'Italia e l'Italia vende le armi alla Turchia: nel 2019 questo paese ha importato armamenti per 3 miliardi, ma ha investito anche nella produzione di armi con aziende locali, ogni anno investe in armi 45 miliardi.

Come sono usate le armi dalla Turchia: in Siria, nel Curdistan iraqeno, perché la Turchia vuole esercitare la sua egemonia sul popolo curdo.

Egemonia esercitata grazie agli elicotteri Mangusta, prodotti in Turchia su licenza: attacchi militari che Erdogan giustifica con l'esigenza di garantire sicurezza sui suoi confini.

Giulia Bosetti è andata a vedere gli effetti di questa sicurezza, nella regione del Curdistan: sono territorio montuosi, dove la guerriglia del PKK può nascondersi.

Ma dove a morire è anche gente comune, uccisa e ferita da attacchi che colpiscono le case nei villaggi. Attacchi che lasciano a terra macerie, villaggi rasi al suolo, migliaia di civili costretti a fuggire: “le schegge delle bombe sono piovute dal cielo” racconta un sopravvissuto ad uno di questi raid turchi “ho visto mia moglie in fiamme e mio figlio a terra coperto di sangue perché era stato colpito alla testa [..] la Turchia usa le vostre armi contro noi civili, se il nostro governo non gliele vendesse non potrebbe bombardarci.”

Queste operazioni militari hanno portato allo spopolamento dei villaggi nel Curdistan, perché nessuno vuole vivere col terrore dei bombardamenti.

Con le nostre armi. Cambiano i regimi, da Saddam a Erdogan, ma a farne le spese sono i civili curdi.

Da questa situazione chi si arricchisce sono i venditori di armi: dovrebbe essere la comunità internazionale che si deve prendere cura della situazione del Kurdistan, che non ha armi nemmeno per difendersi.

E non è solo un problema di armi: noi Italia abbiamo prodotti anche le mine che sono state piazzate e mimetizzate lungo questo territorio. Mine che uccidono bambini, che strappano gambe e mani alle persone che hanno la sfortuna di incontrarle.

Altro teatro di guerra importante è quello libico: sarebbe vietato far arrivare armi alla Libia, ma ci sono traffici illegali che alimentano il conflitto libico. La procura di Genova sta indagando sui traffici di una nave libanese, arrivata in Turchia al porto di Mersin, poi scortata fino alle acque libiche che hanno accompagnato il suo carico di armi, scaricato poi nel porto di Tripoli.

Da Tripoli è poi arrivata a Genova, dove è poi partita l'indagine: il comandante ha patteggiato una condanna per traffico di armi, ma il capitano è già in Libano e non sconterà un giorno di pena.

Questo traffico d'ami, con la stessa nave libanese, è andato avanti per anni, per trasportare armi in Libia, violando l'embargo di armi, in modo sfacciato: la Turchia sta portando avanti la sua politica sul Mediterraneo, vuole conquistare il controllo nel Mediterraneo orientale.

E così alimenta una delle due fazioni che si scontrano in Libia, come fanno l'italia e la Francia.

L'Europa è più interessata alla Libia ma non ai libici, racconta l'ex inviato speciale dell'Onu Ghassam Salamé: non ci sono pene per chi viola gli embarghi per le armi, tutti i paesi occidentali vendono armi a paesi come la Giordania, che poi le mandano alla Libia.

Gli embarghi sono aggirati anche dalle licenze con cui un paese concede ad un altro di produrre sistemi d'arma.

La RWM produce armi in Sardegna, bombe poi vendute all'Arabia, che le usava contro i civili in Yemen: da un mese l'export di queste armi è bloccato.

Le armi per l'Arabia partono dal porto di Genova, dove una volta al mese attracca la nave della compagnia araba, dove viene caricata di armamenti ed esplosivi: a maggio 2019 i portuali di Genova scoprono che le navi di questa compagnia arrivano cariche di carri armati, esplosivi, elicotteri e che a Genova vengono caricati i generatori italiani Dual-Use per alimentare i droni da combattimento e artiglieria da campo da utilizzare nella guerra in Yemen che, secondo l'OCHA ha causato circa 233mila morti.

I lavoratori hanno bloccato così il carico di armi: uno di questi portuali, intervistato dalla giornalista, ha spiegato che da quel giorno hanno deciso che le armi non dovevano essere più caricate e nemmeno transitare dal porto. “Il porto è incastonato nella città, la nave che imbarca container pieni di esplosivo potrebbe essere un monito per la città di Genova che fa attraccare questa nave a cinquecento metri dalle case.”

Un altro portuale racconta che altre compagnie fanno la stessa cosa celando la merce, “i mezzi grossi vengono blindati all'interno delle stive alle quali i portuali non hanno accesso, l'elicottero non viene parcheggiato nella stiva ma è a pezzetti, da assembrare poi”.

Non vogliono lavorare con materiale che porta morte i portuali: “noi non ci sporchiamo le mani di sangue”.

Quella dello Yemen è la più grave crisi umanitaria al mondo: in questo conflitto un ruolo lo ha avuto anche l'Italia, che ha fornito armi per gli attacchi aerei ai villaggi yemeniti.

Le bombe che uccidono persone in Yemen sono prodotte in Italia: ora abbiamo bloccato l'export verso l'Arabia e il 24 febbraio scorso la procura di Roma sta indagando sulle responsabilità dei dirigenti della RWM sulle morti civili, per la violazione del diritto umanitario.

Dovremo rimettere in discussione l'export di armi anche contro la Turchia, ma l'industria delle armi vive a doppio filo con i vertici delle forze armate: spesso ex generali finiscono a lavorare per queste industrie, come nel caso di Tricarico e Carta.

Si chiama sliding doors, una situazione da conflitto di interesse che viene tollerata in Italia.

Le duecento aziende del settore delle armi non hanno mercato, lavorano solo coi soldi dello stato italiano, che ingaggiano poi ex generali ai loro vertici. E poi ci sono aziende controllate dallo stato come Leonardo.

Qualche nome di generali o politici che sono passati all'industria:

Sandro Ferracuti ex generale, prende un incarico alla Selex.

Giulio Fraticelli nel 2006 diventa presidente della Oto Melara.

De Gennaro diventa presidente di Finmeccanica.

Minniti entra in Leonardo.

Sono tanti i generali che passano poi all'industria delle armi: servirebbe un controllo su questi passaggi tra governo e industria, per far sì che il governo non sia condizionato nelle sue scelte.

Lo stato è sia controllore che esportatore di armi, in una situazione di conflitto di interesse. Non solo tutti gli investimenti in armi non portano grandi incrementi in PIL e in posti di lavoro.

Leonardo, per esempio, si è convertita al militare, ma le sue azioni sono passate da 13 a 5 euro: chi ha investito in azioni ha rimesso il suo valore.

Chi combatte il potere dell'industria delle armi, come l'ex deputato Gian Piero Scanu, ha perso la sua battaglia: ha cercato di bloccare sprechi e spese militari ma non è stato ricandidato dal PD, è stato isolato e lasciato a casa.

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