C'è un bell'articolo oggi sul Fatto Quotidiano, scritto da Alessandro Robecchi che parla di disuguaglianze e meritocrazia e che si inserisce bene nei discorsi che sentiamo oggi, su welfare, assegno universale, disuguaglianze.
No, quest'ultima parola forse la sentiamo poco: si tratta di quella cosa per cui, ti dicono, se ti rimbocchi le maniche ce la puoi fare.
Non importa che tu sia figlio di, parente di, raccomandato da.
Gli aiuti a chi sta indietro? Sussidistan.
Poi scopri che a Milano, la città di Expo, che non si ferma mai, quella che basta smart working perché poi i palazzi rimangono chiusi, si scopre essere anche la città dei poveri che fanno la fila alle mensa della Caritas.
Ma come la città green, il motore d'Italia, è anche questa città?
Ecco, le disuguaglianze non sempre le vedi, dipende da che parte ti metti ad osservare le cose.
Dalla parte del nuovo San Siro, degli scali commerciali che saranno riqualificati a suon di cemento, un affare per un privato su un suolo pubblico dato in concessione alle Ferrovie.
Oppure dalla parte di chi rimane indietro, ha un lavoro precario, saltuario oppure il lavoro non ce l'ha più.
Chi si occupa di loro? Il PD che litiga per le poltrone? Il governo dei migliori che ha dentro un pizzico di centro sinistra e la destra italiana, quella del ponte sullo stretto per intenderci? I liberisti italiani? Per carità.
Ecco, che almeno leggessero Don Milani
Differenza di “classe” Don Milani e Marx non ci hanno insegnato nulla
di Alessandro Robecchi | 31 MARZO 2021
Per gli amanti dei testacoda, dei paradossi, dei ribaltamenti di senso, eccone uno straordinario: la proprietà dei mezzi di produzione – quell’antico progetto marxista – diventa un argomento attuale, che tocca quasi tutti, che ancora discrimina i cittadini del Paese. Partiamo da qui: il ministro dell’Istruzione Bianchi emanerà apposite circolari eccetera, ma l’orientamento dichiarato, manifesto e riportato da tutti i giornali è questo: si boccia anche con la Dad, la famigerata didattica a distanza. Lasciamo perdere il consueto sciame sismico: attenzione ai ricorsi… il parere dei presidi… rumore di fondo. Stringendo: anche in condizioni estreme, anche in clamorosa emergenza (migliaia di italiani sono andati a scuola per poche settimane), rimane indiscutibile il criterio del voto, della media del sei, insomma del “merito”.
Tutti conoscono l’accezione contemporanea della parola-feticcio “meritocrazia”: una gara di cui si indica solo il punto d’arrivo e non il punto di partenza. In sostanza: si corrono i cento metri, uno in scintillante tenuta da sprinter, e l’altro senza una scarpa, con lo zaino pesante e le mani legate. Trionfa il merito, bravo, promosso.
La didattica a distanza ha moltiplicato quest’effetto, evidenziando senza dubbio che le differenze di classe (wow!) passano oggi (che novità!) per la proprietà dei mezzi di produzione. Un buon tablet, un collegamento in fibra, magari un buon cellulare a portata di mano, un computer che non si incanta come i vecchi grammofoni, una stanza tutta per sé. Quanti studenti italiani hanno oggi queste condizioni di partenza? Una minoranza. Perlopiù il Paese abita in un’altra galassia, quella dove è cara grazia se c’è un computer in ogni famiglia, e quando c’è bisogna fare i turni. E stabiliti i turni, la rete va e viene, magari tocca seguire una lezione in avventuroso collegamento mentre qualcuno studia, o lavora nello stesso spazio (vale anche lo smart working, ovviamente).
Senza arrivare a Dickens (per quanto…), le condizioni di partenza in questa nobile gara per conquistare il sei e confermare le leggende su un ipotetico “merito”, sono stellarmente distanti. Chi ha di fronte una consolle superaccessoriata con potenza da spostare i satelliti e chi litiga coi parenti per l’uso di un cellulare a vapore del Settecento, corrono entrambi per lo stesso obiettivo. Che è esattamente come fare a gara per chi arriva prima in piazza del Popolo, ma uno parte con la Porsche da via del Corso e l’altro arriva a piedi da Udine, cinque, bocciato.
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