09 marzo 2021

Questo non è un racconto di Leonardo Sciascia

 

Per Carlo Lizzani

Un'aula giudiziaria. Una donna vestita di nero seduta quasi al centro, tra il banco della corte e quello degli avvocati, alle spalle la gabbia degli imputati, di fronte il pubblico ministero. Dice: «In quel momento, a Palermo, non si capiva niente. Si ammazzavano tra loro, era tutta una catena. Certo le ragioni ci dovevano essere .. [..] Ma io torno a dire che mio marito, in questi interessi, non c'entrava per niente. Badava alle sue cose, era tranquillo.»

In occasione del centenario della nascita dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia ho comprato questo piccolo volume che raccoglie degli articoli inediti, lettere, scritte tra la fine degli anni cinquanta e il 1989.

Sono tutti scritti dove si parla di cinema: non sapevo, onestamente, della passione di Sciascia per il cinema, non solo per i film tratti dai suoi romanzi, ma del cinema con la C maiuscola.

Per Sciascia la passione per il cinema era nata nel piccolo teatro di Racalmuto poi trasformato in cinema: in queste pagine troverete le sue riflessioni su registi, film e attori.

Ma il primo capitolo è dedicato a tre soggetti inediti per tre film mai realizzati: nel primo, per Carlo Lizzani, una donna testimonia al processo contro un capo mafia. Ha deciso di parlare dopo che, nonostante le rassicurazioni del boss, le hanno ucciso prima il marito e poi il figlio, desideroso di vendicarsi del padre.

La giustizia che questa donna cerca ora, dalla legge, dal giudice, è la vendetta non il rispetto della legge. Perché loro sono venuti meno alla legge dell'onore.

Il secondo soggetto per Lina Wertmuller parla di due ragazzi, testimoni di un delitto. Lei vorrebbe parlare, raccontare dell'assassino ai carabinieri ma il fidanzato e la sua famiglia hanno solo paura. E così preferiscono far passare lei per pazza, piuttosto che mettersi contro l'assassino.

Infine un soggetto per Sergio Leone, una storia di amicizia e di tradimenti tra ragazzi di una stessa banda criminale nell'America degli anni venti. Con un finale che lascia poca speranza.

Negli altri articoli, lettere, memorie Sciascia racconta della morte di Gary Cooper, emblema dell'America delle libertà, che gli ricordava quel sergente americano che aveva liberato il suo paese.

La morte di Buster Keaton e di Charlie Chaplin, “con lui si rideva fraternamente”, come tra fratelli.

E poi il commento ad alcuni film usciti in quegli anni: Il Gattopardo di Visconti con quel personaggio, don Fabrizio, poco fedele al libro.

I film del genovese Pietro Germi sulla sua Sicilia, da Divorzio all'italiana a Sedotta e abbandonata, “un ragguaglio arretrato”, distante dalla Sicilia reale secondo Sciascia.

La scelta di Bolognini, sbagliata, di ambientare il film tratto dal libro di Brancati, Il bell'Antonio, ai tempi della Democrazia Cristiana e non del fascismo: non è lo sceneggiatore che fa il film, dice Sciascia, è il regista che lo plasma.

Sciascia commenta dei funerali di Rodolfo Valentino e della nascita dello star system, di quella stampa dedicata alla cronaca dei divi e delle dive del cinema.
E poi, alla fine, si torna a parlare del cinema che tocca i temi a lui più cari: il film di Michael Cimino sul bandito Giuliano, falso e poco aderente alla storia.

I film di Petri e Rosi tratti dai suoi romanzi: Cadaveri eccellenti tratto da Il Contesto, che suscitò molte polemiche anche all'interno del PCI, all'interno di cui si candidò alle elezioni comunali.

E poi Todo Modo di Petri, accusato di non aver “scherzato” sceneggiando il suo libro: si scherza su ciò di cui si ha paura, si teme o ciò di cui si ama, “per liberarsi dalle paure”.

E il riferimento era rivolto alla DC coinvolta negli scandali, nelle ruberie, nei rapporti poco chiari con le mafie e con gli episodi stragistici nel nostro paese.

Petri non scherza. E nemmeno Rosi ha scherzato cavando dal Contesto il film Cadaveri eccellenti. Perché?

Il libro Il Contesto raccontava del clima politico dell'Italia nei primi anni settanta quando in parte delle istituzioni covava il desiderio di arrivare ad uno stato forte, non un golpe come in Grecia, ma una repubblica sempre meno democratica e parlamentare, come argine alle spinte progressiste che arrivavano dalla società.

Il libro e soprattutto il film di Rosi suscitarono forti polemiche, perché puntava il dito contro parte delle istituzioni, magistratura, forze armate, vertici della polizia e così su Rosi piombò la denuncia per vilipendio. La risposta di Sciascia è un pezzo in cui riconosciamo tutta l'intelligenza, l'onestà intellettuale dello scrittore siciliano in cui rinfaccia a quei pezzi dello stato di rispettare, per primi, lo Stato stesso:

Le istituzioni non vanno vilipese. Ma a patto che ci siano

Non è insomma il caso di fare un discorso sulle libertà, di fronte alle denunce per vilipendio delle istituzioni che colpiscono il film di Rosi. Si può anche, per principio, ammettere che le istituzioni non vanno vilipese: ma a patto che le istituzioni ci siano. Che ci siano, cioè, come organismi stabiliti, certi, uniformemente regolati, e per tutti. Ma le istituzioni d'Italia ormai non sono che involucri vuoti, involucri da pesce d'aprile, da cui altro non può uscire che la paura di essere vilipese. E il vilipendio dunque appunto consiste nel dire la verità sulle istituzioni.

Il film di Rosi di verità sulle istituzioni ne dice molte. Direi che è un mosaico di verità tratte dalla cronaca di questi ultimi anni. Di verità su quel groviglio di non verità che è diventata l'Italia. C'è una sola verità che le istituzioni abbiano detto in questi anni? Da quando, nel cortile della casa di Castelvetrano, è stato rinvenuto il cadavere del bandito Salvatore Giuliano, le istituzioni si sono votate alla menzogna. La verità, quegli italiani che ne sentivano il bisogno, se la sono faticosamente cercata, un tassello dopo l'altro, e sempre con qualche tassello che mancava e che manca.

La scheda del libro sul sito di Adelphi

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