A nove mesi dalla comparsa del Sars-Cov2 sono ancora tante le cose che non sappiamo, eppure i virus di questa famiglia li studiamo da anni, dai tempi della Sars: tra gli scienziati che li studiano anche quelli del laboratorio di Wuhan in Cina, la metropoli al centro della pandemia.
In Cina tutto è cominciato e qui iniziano le prime cose poco chiare su questa pandemia: presso il laboratorio lavora la dottoressa Shi Zhengli, che ha studiato i casi di spillover dagli animali, i pipistrelli all'uomo.
In un articolo a Nature ha espresso i suoi dubbi in merito alla possibilità che il virus sia passato all'uomo proprio a Wuhan, respingendo le accuse rivolte al suo laboratorio.
Ma come è arrivato allora nelle città il virus, partito da una delle grotte del sud della Cina? Dai wet market che si trovano proprio a Wuhan? No, oggi sappiamo che il virus nei mercati degli animali è passato solo in modo secondario: il salto non è avvenuto nei mercati dove si uccidono i pipistrelli, spiega lo studioso Matt Ridley.
E se fosse uscito per errore dal laboratorio da Wuham? Oppure se derivasse dal commercio illegale di animali?
E' importante saperlo, perché questo ci aiuterebbe per capire come combattere le prossime pandemie.
Scrive la CNN che da aprile la Cina ha ristretto le libertà per la pubblicazione dei paper sul virus: prima si deve passare per la censura del governo.
Servirebbe maggiore trasparenza dalla Cina, servirebbe una commissione internazionale sulle origini della pandemia: lo chiede il ministro della salute dell'Australia, lo chiede l'Europa.
E poi lo ha chiesto anche l'assemblea dell'organizzazione della Sanità, l'organo dell'OMS: nonostante il presidente Xi Jinping si sia difeso dalle accuse di scarsa trasparenza, il direttore dell'organizzazione ha deciso di far partire una indagine sul campo a giugno. Ma niente indagine sui laboratori, niente analisi sul campo: così a settembre dell'indagine sul coronavirus non c'è nessuna traccia.
La Cina pensa che si stia strumentalizzando la questione del virus e così sta rifiutando ogni indagine indipendente per capire se ha ben agito o meno.
Game over allora?
L'articolo di Nature
Il 3 febbraio del 2020 uscì un articolo sulla rivista Nature sulle possibili origini del Covid-19 di cui non se ne accorse nessuno: nell'articolo era scritto che all'istituto di virologia di Wuhan avevano trovato un virus nei pipistrelli che condivideva col nuovo coronavirus il 96,2% del genoma, di tutti i coronavirus è quello più vicino al nostro Sars-Cov-2.
Nel paper questo virus viene chiamato Ratg13, che era stato trovato in un pipistrello nella regione dello Yunnan e che il laboratorio di Wuhan ne aveva sequenziato un gene: confrontando quest'ultimo con quello del Sars-Cov-2 i ricercatori hanno notato la somiglianza e così decidono di sequenziare l'intero genoma del vecchio virus.
Stupisce – racconta sempre Lisa Iotti – che data l'eccezionalità della scoperta non sia stata data altra informazione circa le sue origini. Prima di questo articolo, nessuno aveva mai sentito parlare di Ratg13.
Questa scoperta non è passata inosservata da altri ricercatori nel mondo, come l'indiana Monali Rahalkar che racconta di averlo trovato in una delle banche dati consultate, ma che si chiama in altro modo, RAVT-COV4-991. Questo virus è anche citato in un paper del 2016 firmato anche della dottoressa Shi Zhengli, la dottoressa a capo del gruppo di Wuhan.
Nel paper era scritto che quel virus era stato trovato in una miniera abbandonata dello Yunnan, nel 2013. Ma perché – continua la ricercatrice indiana Monali Rahalkar– nel paper del 2020 non è stato menzionato lo studio del 2016? Perché è stato cambiato il nome al virus, da Ratg13 a RAVT-COV4-991?
Nell'articolo del 2016 la dottoressa Shi aveva descritto centinaia di virus trovati nelle miniere dello Yunnan: si ipotizza che questo, Ratg13, fosse un nuovo ceppo.
Perché se lo sono dimenticati per anni? Perché erano diversi dalla Sars (e in quegli anni si stava indagando su questo virus)?
Ad aprile 2020 si scopre un altro tassello della storia, frutto della ricerca di alcuni account su twitter, anonimi e no, che hanno scandagliato la rete.
In due tesi si parla di una miniera ai confini col Laos, dove era stato scoperto il virus Ratg13 e della morte di alcuni minatori per polmonite.
Nel 2012 diversi minatori erano scesi dentro per ripulirla, ma pochi giorni dopo si erano ammalati di polmonite (con sintomi come febbre alta, tosse, dolori articolari, difficoltà respiratorie) e tre di loro erano poi morti.
Nella seconda tesi si parla di due minatori, uno morto dopo 12 giorni e l'altro dopo settimane, ma nessuno dei minatori era risultato positivo alla SARS (il virus della precedente pandemia) ma tutti avevano gli anticorpi IGM, segno di una infezione virale recente.
A fare i test sierologico sui campioni di sangue era stato proprio l'istituto di Wuhan: la dottoressa Shi in un articolo di giugno, sosteneva che i minatori erano morti per un fungo. Ma sapevano probabilmente già tutto, delle responsabilità di quel virus, ma nel paper del 2016 non hanno detto una parola su quelle polmoniti.
Questa storia – è sempre la ricercatrice indiana a parlare – è interessante perché ci aiuta a capire le origini del virus: magari nella miniera c'erano altri virus simili da cui quello attuale è derivato. Scoprire se esiste un legame tra il Ratg13 e il Sars-Cov2 sarebbe utile.
L'istituto di Wuhan ha sequenziato il virus Ratg13 già nel 2017 (ed era a loro noto dal 2013), non l'ha dimenticato nel cassetto: conoscevano la sequenza del virus da anni, ma non l'hanno detto nell'articolo del febbraio 2020.
Alcuni studiosi hanno chiesto ai ricercatori di Wuhan di condividere i campioni del Ratg13 (il virus cugino del Sars-Cov2) per poterlo analizzare, ma il campione non c'è più, secondo la dottoressa Shing dopo l'ultimo sequenziamento si è esaurito.
Perché è così pericoloso il Sars-Cov2?
Con questo virus avremo a che fare nei prossimi anni, perché nel nostro organismo si trova bene – spiega Giorgio Palù dell'istituto di Padova. E' subdolo perché è silente quando la sua carica virale è alta, si trasmette da persona a persona.
Sembra preadattato al nostro corpo, è abile nell'infettare le nostre cellule, ha un alta affinità col nostro corpo: forse perché era in circolazione da tempo?
Ancora oggi, spiega il professor Nikolay Petrovski non sappiamo come mai si è ben adattato a noi:
“analizzando la proteina spike che è la parte del virus che si lega al recettore umano, abbiamo visto alcune caratteristiche insolite, che la rendevano particolarmente adatta agli uomini.. Quello che dobbiamo capire è da dove provengono queste caratteristiche del virus, sono insorte in maniera naturale o potrebbero essere state inserite? Non conosciamo la risposta”
Deriva da qualche forma di manipolazione di laboratorio? Non possiamo escluderlo, non possiamo dire né se sia creato dall'uomo né il contrario.
Esiste la possibilità di creare una copia del genoma di un virus naturale, manipolarlo e renderlo adattabile al nostro corpo: si può fare ma è molto pericoloso.
Ci sono due possibilità, sostiene Ridley: il virus è mutato in modo che sia più efficiente e che ce ne siamo accorti troppo tardi per colpa del nostro sistema sanitario; oppure è frutta di una manipolazione in laboratorio.
La direttrice di Wuhan parla di menzogna, negando la possibilità che il virus arrivi da loro: non sono loro l'origine del virus.
Ma sono loro ad aver condotto esperimenti in laboratorio per capire se i virus simili alla Sars potessero infettare anche animali diversi dai pipistrelli. C'erano segnali che i virus stessero cambiando, quando sotto le lenti dalla ricerca arriva la proteina spike, la chiave con cui il virus entra nell'organismo.
Ci sono stati studi, nel 2015, condotti dagli scienziati cinesi assieme a scienziati americani, che cercavano di capire se qualcuno dei ceppi dei virus potesse causare una epidemia che colpisse l'uomo: è il servizio di cui aveva parlato Tg Leonardo, che ha poi suscitato tutte le polemiche che abbiamo visto.
Due team hanno lavorato su questi virus: quello del dottor Baric in Nord Carolina e quello di Wuhan. Avevano avvisato il mondo che il loro era una ricerca rischiosa: i virus prodotti dai loro laboratori avevano un marcatore particolare che faceva capire che fosse generato in laboratorio.
Per generare un virus, senza marcatori speciali, serve un lavoro particolare: serve partire da una sequenza del genoma e nel mondo ne esistono migliaia. Da dove partire allora? Dal cugino del Sars-Cov2?
Lisa Iotti ha scoperto il database messo a disposizione della comunità scientifica dalla dottoressa Shi Zhengli, una banda dati specializzata sui virus di pipistrelli e roditori che conteneva dati relativi a più di ventimila campioni e i virus raccolti in diversi posti della Cina.
Nel database sono riportate informazioni dettagliate: le coordinate gps dei campioni, il tipo di virus trovato, se il virus era stato sequenziato o isolato, cioè fatto crescere in culture cellulari. Il database era protetto da password per essere consultato sui virus non ancora pubblicati, col solo obbligo di non divulgare le informazioni fino alla loro pubblicazione.
Da giugno 2020 la pagina internet da cui era possibile consultarlo è stata rimossa: secondo un altro sito che monitora le base dati scientifiche, questo sito era inaccessibile già dal settembre 2019.
Matt Ridly il giornalista scientifico sentito dalla giornalista è tornato sul tema della trasparenza:
“il resto del mondo, compresa l'OMS, deve chiedere alle autorità cinesi di essere molto più trasparente su quali esperimenti siano stati fatti al laboratorio di virulogia di Wuhan. Se questo virus non è stato creato lì, o coltivato lì, allora non hanno nulla da nascondere e dovrebbero aiutarci a chiarire questo mistero.”
Si deve andare ad indagare dentro il laboratorio cinese allora, ma se i cinesi non vogliono farci sapere cosa è successo, non lo sapremo mai.
Il laboratorio di Wuhan
Se ne parla da quando l'epidemia è arrivata in Italia, del laboratorio di massima sicurezza (P4) di Wuhan, accusato di aver fatto uscire il virus: pochi sanno però che è stato realizzato grazie alla collaborazione tra esponenti del mondo scientifico di Stati Uniti, Cina e Francia.
E' stata proprio la Francia, con una decisione presa dai vertici della Repubblica, a vendere al laboratorio gli strumenti per fare le sperimentazioni. Questo laboratorio è ben protetto, posti in alto per evitare le inondazioni del fiume, costruito in modo antisismico.
L'idea era aiutare la Cina ad avere un centro di ricerca di massima sicurezza nel mondo dei virus: dopo 17 anni, racconta un giornalista di “Challenges” Antoine Izambard, possiamo dire che è stato un fallimento.
Antoine è stato uno dei pochi giornalisti ad aver potuto visitare il centro nel 2019: nel suo libro “Francia Cina, le relazioni pericolose” racconta in un capitolo come la collaborazione tra i due paesi non sia mai partita.
“La Cina era molto poco trasparente e la Francia non si fidava, non c'è nessuna cooperazione tra gli istituti francesi e cinesi, nessun programma di scambi scientifici, la Cina decide da sola cosa si fa nel laboratorio e qui da noi c'è una grande preoccupazione sulla preparazione dei ricercatori cinesi, sul fato che siano capaci di manipolare in sicurezza dei patogeni, i più pericolosi al mondo. ”
Pechino metteva i soldi e i francesi metteva le tecnologie e le stanze a tenuta stagna: doveva mettere anche gli scienziati, ma in realtà tra Francia e Cina non c'è stato alcuno scambio.
In un articolo del 2017, sempre la rivista Nature riportava le preoccupazioni di osservatori internazionali sul laboratorio di Wuhan relativamente alla sua sicurezza: molti ricercatori tra cui la dottoressa Shi avevano studiato al P4 di Lione, il centro gemello di Wuhan e questo rassicurava gli scienziati.
Ma la Cina non aveva esperienze in questo tipo di ricerche e il timore era che un patogeno potesse fuoriuscire dall'impianto. E non sarebbe stata la prima volta: il virus della SARS era sfuggito 4 volte dai laboratori ad alto contenimento, nel 2003 a Singapore, a dicembre 2003 a Taiwan, 2 volte ad aprile 2004 a Pechino.
Nel 2018 due ufficiali dell'ambasciata statunitense a Pechino visitano l'impianto di Wuhan e allertano il Dipartimento di Stato americano sulla grave carenza dei tecnici e dei ricercatori non adeguatamente addestrati, necessari per operare in sicurezza.
Gene Olinger è il direttore scientifico di una società che si occupa di verificare i livelli di sicurezza dei laboratori P3 e P4 nel mondo: “l'incidente classico, oltre a quello di contenimento, è quello di un tecnico che si infetti e non sappia di essere contagiato o si rifiuti di ammettere di avere avuto un incidente. Ecco perché insistiamo sui dispositivi di protezione individuali, perché gli incidenti capitano.”
I rapporti scientifici tra Usa e Cine erano intensi prima della pandemia: la dottoressa Shi fino ad aprile faceva parte di un progetto di ricerca americano, per catalogare i vari virus dei pipistrelli. Hanno fatto esperimenti di gain of function su questi virus, considerati da molti scienziati come un rischio, perché di fatto li potenziano.
Gli esperimenti di tipo “gain of function”, guadagno di funzioni sono i più controversi della ricerca scientifica – prosegue il servizio di Lisa Iotti: questi esperimenti forniscono ai virus qualche funzione in più, per esempio rendendoli più contagiosi o più aggressivi, per motivi di studio.
Il dibattito su questi esperimenti spacca in due la scienza: secondo molti scienziati questi esperimento sono l'unico modo che abbiamo per prepararci alle prossime pandemie. Secondo altri sono invece pericolosi, perché di fatto potenziano i virus, dando loro nuove capacità.
Il professor Attaran dell'università di Ottawa fa parte di un comitato etico che vuole bloccare questi esperimenti:
“immaginate un virus che combini l'alta contagiosità del covid-19 e l'alta mortalità del virus della Mers, che uccide il 30% degli infetti. Cosa succederebbe se ci fosse un incidente nel laboratorio? Non sto dicendo che l'attuale pandemia sia causata da un esperimento di gain of function, ma dal Covid-19 possiamo farci una idea esatta di quello che potrebbe accadere se qualcosa andasse storto in un esperimento di questo tipo.”
Ci sono stati errori, nel passato, in questi laboratori: virus dell'Antrace trovato in fialette in un magazzino, personale infetto per uno scambio di fiale.
Sulla base di questi incidenti, per i timori di possibili rischi per l'uomo per incidenti in esperimenti come questo con un virus potenziato, nell'ottobre del 2014 il presidente Obama bloccò i fondi per questi esperimenti, chiedendo agli altri paesi una pausa volontaria, in attesa che siano valutati i pro e i contro e siano fissate delle regole ferree.
Tre anni dopo però, nel 2017, sotto la presidenza Trump, il governo americano ha ripreso a finanziare questi esperimenti nel mondo.
Quello che mi preoccupa – concludeva il suo ragionamento il dottor Attaran, è che la Cina stia eseguendo questi esperimenti, perché è un paese molto poco trasparente, non abbiamo idea di cosa stia facendo. Ma anche in America e in Europa li fanno, dobbiamo assolutamente bloccarli.
Lisa Iotti nel suo servizio ha citato i caso di esperimenti fatti in Olanda, ai tempi dell'aviaria, fatti su furetti in cui si era potenziato il virus. A Rotterdam si sono rispettate tutte le norme sulla sicurezza. Ma che succede nel resto del mondo?
Se vogliamo prepararci a nuove epidemie, serve fare esperimenti di tipo gain of function, sostiene il professor Baric. Di diverso avviso il dottor Attaran: tutti questi esperimenti, di potenziamento, non hanno impedito al virus dell'influenza di essere meno infettivo.
Al laboratorio di Wuhan si facevano esperimenti di tipo gain of function? Nel 2015 la dottoressa Shi e il dottor Baric hanno creato la chimera, in laboratorio.
E gli ultimi esperimenti in Cina sono stati finanziati anche dagli Stati Uniti, dalla Eco Health Alliance.
Finanziamenti terminati ad aprile, perché? Il dottor Fauci ha spiegato di non conoscerne le ragioni. C'è una ragione politica dietro?
Gli effetti della malattia causati dal Sars-Cov2
Sars-Cov2 è il virus e Covid19 è la malattia che causa: cosa abbiamo scoperto fino ad oggi dei danni che causa al nostro organismo? Parlare di sindrome respiratoria è limitante.
Da marzo ad aprile sono state eseguite un centinaio di autopsie sulle salme nell'ospedale di Bergamo: un numero elevato se confrontato con quanto fatto in altri paesi.
Servivano, però, quelle informazioni, per avere maggiori informazioni sul virus e per capire meglio i danni causati sul nostro corpo.
Colpisce il cuore, i polmoni e il fegato e questi sono i campioni presi in fase di autopsia: Andrea Giannati, medico a Bergamo, ha raccontato il lavoro fatto che è poi stato pubblicato su Nature.
I polmoni hanno subito un cambiamento così importante che non erano riconoscibili.
La malattia causata dal Sars-Cov2 è una di quelle sistemiche: si muore per una deficienza respiratoria, per danni sistemici come l'alterazione alla coagulazione, un impatto molto più forte rispetto ad altri virus della stessa famiglia.
Altra zona d'ombra che preoccupa gli studiosi (e molto meno i politici e chi ne scrive sui giornali) sono gli effetti del virus sull'organismo, tra cui gli effetti sul cervello.
Il Niguarda neurocenter, uno dei centri di riferimento della Lombardia, durante i mesi dell'emergenza era stato trasformato in un hub per le patologie neurologiche.
Prima dell'emergenza venivano ricoverati qui, dal Pronto Soccorso cioè non interventi programmati, circa 80 pazienti ogni tre settimane, dall'8 al 31 marzo sono state ricoverate 200 persone.
Sono aumentate le sincopi, le crisi epilettiche, le emorragie celebrali, gli ictus ischemici: Elio Agostoni è il direttore del centro neurologico, alla giornalista ha spiegato come a preoccupare sia il fatto che erano ictus di giovani, persone tra 47 e 55 anni.
In questi casi il cervello si ingrossa e come estrema ratio abbiamo la procedura in cui viene tolto l'osso per dare spazio al cervello in modo che possa gonfiarsi senza far morire il paziente.
“In dieci giorni ne abbiamo fatte dieci: normalmente se facciamo in un anno”.
Già dai primi report di febbraio dalla Cina si era visto che circa il 37% dei pazienti aveva avuto complicanze neurologiche, una cifra altissima per una pandemia che viene descritta come malattia respiratoria.
“Questo virus è capace di aumentare la coagulabilità del sangue, tant'è che questi pazienti che arrivavano per un ictus, avevano anche un quadro polmonare strano, ma non era così grave, non c'era il polmone tutto bianco. I radiologi la definivano inizialmente polmonite interstiziale, per noi erano micro-embolie polmonari. E queste micro-ebolie erano capaci di aggravare l'ictus che ci arrivavano per i grossi emboli che partivano e finivano per occludere le arterie del cervello. Tant'è che noi non diamo la terapia anti coagulante, ad un ictus ischemico, cioè all'occlusione di un vaso. Ma qua l'abbiamo data e abbiamo fatto bene.”
In queste emergenze neurologiche la tempestività è importante: il 118 ha un codice di massima gravità, ideato proprio qui al Niguarda, chiamato codice ictus.
“Col Covid c'era un tale sovraffollamento di chiamate al 118 che questi venivano messi in lista d'attesa così, quando arrivavano facevamo la costatazione di morte. Non abbiamo dei numeri, ma verranno fuori”.
Sono stati poi rilevati dei disturbi al cervello, casi di pazzia in cui le persone cambiano in modo drammatico il loro comportamento: ci vorranno anni per capire tutti gli effetti sull'uomo, sul cervello, sui polmoni.
Ci sono studi che sostengono che gli effetti non si esauriscono dopo la fase acuta: si inizia a parlare di sindrome post-covid, persone che hanno problemi di memoria, che si dimenticano le cose.
La corsa al vaccino
Tutto il mondo aspetta il vaccino contro il Covid-19: un vaccino che non crei effetti collaterali e che stimoli la risposta immunitaria, anche protettiva contro il coronavirus, protegga dall'infezione o almeno dalla malattia.
Presadiretta è entrata dentro lo studio Spallanzani di Roma, dove stanno lavorando proprio ad un vaccino: è lo stesso team che anni fa ha sviluppato il vaccino contro l'Ebola.
Stefano Colloca è il responsabile della ricerca: questo vaccino è parte di una sfida enorme, racconta.
Al mondo sono più di 200 i progetti di ricerca in campo e 35 candidati vaccini sono già arrivati alla sperimentazione umana, di questi 8 hanno raggiunto la fase finale. E' un'impresa senza precedenti nella storia, sia per i numeri che per la velocità: “questa è una prova del fuoco per tutti” ammette Stefano Colloca.
Per sviluppare un vaccino servono almeno dieci, venti anni: lo spiega il dottor Rappuoli, microbiologo, ma in tempi di pandemia non possiamo aspettare questi anni.
Si è lavorato sui virus sintetici, si prende un piccolo pezzo e lo si inserisce in un virus inerte: i vaccini genetici sono più rapidi, per il loro studio, ma non sono mai stati usati.
Il vaccino non solo è un arma medica, ma sarà anche un arma politica che metterà il paese che lo troverà per primo in una condizione di vantaggio: questo spiega l'annuncio di Putin, i soldi investiti sul vaccino da Trump (che spera di arrivarci prima delle elezioni).
Ma correre troppo in fretta rischia di essere pericoloso: non si deve saltare nessuna fase dello sviluppo clinico, nemmeno i test sui volontari che devono durare almeno tre o quattro mesi. Ma molti paesi, tra cui l'Italia, si sono già prenotati per le prime dosi dei vaccini, ma queste potrebbero non essere efficaci all'inizio.
In studio era presente Silvio Garattini, uno dei firmatari di un appello ai politici del mondo: evitiamo che all'ultimo momento non ci siano vaccini per tutti, ma solo per i paesi che hanno pagato gli studi.
Con questo Sars-Cov2 dovremmo imparare a convivere: significa ricordarsi di mascherine, del distanziamento, della pulizia delle mani ancora per mesi, perché il vaccino non arriverà subito e sarà disponibile per tutti.
L'ultima parte del servizio era dedicata ai farmaci sperimentati sul Covid19, a farmaci che hanno dimostrato efficacia come un cortisonico o il Remdevisir, le cui scorte sono state acquistate dall'America quasi al 100%.
Pur di salvare le persone, i medici nel mondo hanno usato farmaci diversi: come l'idrossiclorichina, che poi si è dimostrata inefficace.
A Siena stanno lavorando sugli anticorpi monoclonali: sono molecole naturali riprodotte in laboratorio capaci di neutralizzare il coronavirus.
Si deve ancora sperimentare l'efficacia del plasma superimmune, l'iter delle sperimentazioni è troppo ferraginoso, il nostro sistema scientifico e l'AIFA ha forse perso un'occasione, sono poche le sperimentazioni controllate.
Abbiamo pochi lavoratori nella ricerca, meno fondi rispetto ad altri paesi europei: ma la ricerca non è una spesa, ma un investimento – spiegava Garattini – è anche un modo per creare occupazione, oltre che salvare vite umane.
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