Puntata che si presterà ad interpretazioni complottiste, quella di questa sera di Presadiretta: si parlerà della Cina, del laboratorio di Wuhan, della poca trasparenza delle autorità cinesi. Da dove è partito il Covid-19 o Sars-Cov2?
Ancora oggi, a sette mesi dai primi casi in Italia, sappiamo ancora poco della sua origine: Presadiretta cercherà di capire quali siano gli animali attraverso i quali è partito lo spillover, che tipi di esperimenti si facevano nel laboratorio di alta sicurezza di Wuhan in Cina e a che punto sono le ricerche sulle cure del Covid e per trovare un vaccino.
Sui canali social, è possibile leggere le anticipazioni del servizio, tra queste un passaggio dove si sollevano dei dubbi su quanto ci hanno detto le autorità cinesi del virus.
Lisa Iotti ha scoperto il database messo a disposizione della comunità scientifica dalla dottoressa Shi Zhengli, una banda dati specializzata sui virus di pipistrelli e roditori che conteneva dati relativi a più di ventimila campioni e i virus raccolti in diversi posti della Cina.
Nel database sono riportate informazioni dettagliate: le coordinate gps dei campioni, il tipo di virus trovato, se il virus era stato sequenziato o isolato, cioè fatto crescere in culture cellulari.
Il database era protetto da password per essere consultato sui virus non ancora pubblicati, col solo obbligo di non divulgare le informazioni fino alla loro pubblicazione.
Da giugno 2020 la pagina internet da cui era possibile consultarlo è stata rimossa: secondo un altro sito che monitora le base dati scientifiche, questo sito era inaccessibile già dal settembre 2019.
Matt Ridly è un giornalista scientifico sentito dalla giornalista:
“il resto del mondo, compresa l'OMS, deve chiedere alle autorità cinesi di essere molto più trasparente su quali esperimenti siano stati fatti al laboratorio di virulogia di Wuhan. Se questo virus non è stato creato lì, o coltivato lì, allora non hanno nulla da nascondere e dovrebbero aiutarci a chiarire questo mistero. ”
Il mistero della genesi del virus è un enigma che anche altri paesi vogliono risolvere, compresa l'Australia, tramite la ministra degli Esteri Marise Payne:
“abbiamo bisogno di una indagine indipendente che identifichi la genesi di questo virus, come è stato affrontato e gestito, i rapporti con l'OMS”.
Questa richiesta è di metà aprile: l'Australia è stata uno dei primi paesi a chiedere trasparenza alla Cina e da parte di tutti i paesi chiave nel mondo. Ai primi di maggio anche l'Unione Europea prende posizione, chiedendo una valutazione indipendente, esaustiva e imparziale che indaghi sulla pandemia.
Il 18 maggio è la volta dell'Assemblea Mondiale per la Sanità, l'organo decisionale dell'OMS: in videoconferenza sono collegati i rappresentanti del mondo, da Angela Merkel a Ursula von der Leyen, a Macrona al nostro presidente Conte. Collegato è anche il presidente della Cina, che si è difeso spiegango come la Cina in tutto questo tempo abbia agito con cura, trasparenza e responsabilità.
Il direttore dell'OMS, l'etiope Ghebreyesus, ha in quella sede annunciato l'avvio di una indagine al primo momento opportuno: a fine giugno infatti viene annunciato dallo stesso direttore che in Cina sarà inviato un team per preparare questa indagine “sperando che questo porti a comprendere come il virus si sia originato”.
Lisa Iotti ha intervistato il professore di medicina all'università di Adelaide Nikolay Petrovski:
“analizzando la proteina spike che è la parte del virus che si lega al recettore umano, abbiamo visto alcune caratteristiche insolite, che la rendevano particolarmente adatta agli uomini. Quello che dobbiamo capire è da dove provengono queste caratteristiche del virus, sono insorte in maniera naturale o potrebbero essere state inserite?”
E' frutto della volontà dell'uomo il coronavirus oppure è frutto di altre cause?
Il virus è frutto di un esperimento volontario, oppure di un errore in laboratorio, di qualcosa che è sfuggito di mano?
Gli esperimenti di tipo “gain of function”, guadagno di funzioni sono i più controversi della ricerca scientifica – prosegue il servizio di Lisa Iotti: questi esperimenti forniscono ai virus qualche funzione in più, per esempio rendendoli più contagiosi o più aggressivi, per motivi di studio.
Il dibattito su questi esperimenti spacca in due la scienza: secondo molti scienziati questi esperimento sono l'unico modo che abbiamo per prepararci alle prossime pandemie. Secondo altri sono invece pericolosi, perché di fatto potenziano i virus, dando loro nuove capacità.
Di questo è convinto l'epidemiologo dell'università di Ottawa Amir Attaran:
“immaginate un virus che combini l'alta contagiosità del covid-19 e l'alta mortalità del virus della Mers, che uccide il 30% degli infetti. Cosa succederebbe se ci fosse un incidente nel laboratorio? Non sto dicendo che l'attuale pandemia sia causata da un esperimento di gain of function, ma dal Covid-19 possiamo farci una idea esatta di quello che potrebbe accadere se qualcosa andasse storto in un esperimento di questo tipo.”
Proprio per questi timori, sugli esiti di un incidente in esperimenti come questo, con un virus potenziato, nell'ottobre del 2014 il presidente Obama bloccò i fondi per questi esperimenti, chiedendo agli altri paesi una pausa volontaria, in attesa che siano valutati i pro e i contro e siano fissate delle regole ferree.
Tre anni dopo però, nel 2017, sotto la presidenza Trump, il governo americano ha ripreso a finanziare questi esperimenti nel mondo.
Quello che mi preoccupa – concludeva il suo ragionamento il dottor Attaran, è che la Cina stia eseguendo questi esperimenti, pperché è un paese molto poco trasparente, non abbiamo idea di cosa stia facendo. Ma anche in America e in Europa li fanno, dobbiamo assolutamente bloccarli.
Il 3 febbraio del 2020 uscì un articolo sulla rivista Nature sulle possibili origini del Covid-19 di cui non se ne accorse nessuno: nell'articolo era scritto che all'istituto di virologia di Wuhan avevano trovato un virus nei pipistrelli che condivideva col nuovo coronavirus il 96,2% del genoma, di tutti i coronavirus è quello più vicino al nostro Sars-Cov-2.
Nel paper questo virus viene chiamato Ratg13 e che il laboratorio di Wuhan ne aveva sequenziato un gene: confrontando quest'ultimo con quello del Sars-Cov-2 i ricercatori hanno notato la somiglianza e così decidono di sequenziare l'intero genoma del vecchio virus.
Stupisce – racconta sempre Lisa Iotti – che data l'eccezionalità della scoperta non sia stata data altra informazione circa le sue origini.
Questa scoperta non è passata inosservata da altri ricercatori nel mondo: una di queste racconta che questo virus in una delle banche dati consultate si chiama in altro modo, RAVT-COV4-991 ed è citato in un paper del 2016 firmato anche della dottoressa Shi Zhengli, la dottoressa a capo del gruppo di Wuhan.
Nel paper era scritto che quel virus era stato trovato in una miniera abbandonata dello Yunnan, ma perché – continua la ricercatrice indiana Monali Rahalkar– nel paper del 2020 non è stato menzionato lo studio del 2016?
Ad aprile 2020 si scopre un altro tassello della storia: nella stessa miniera dove era stato scoperto il virus Ratg13 erano morte delle persone per polmonite.
E' una miniera in una regione al confine col Laos: nel 2012 diversi minatori erano scesi dentro per ripulirla, pochi giorni dopo si erano ammalati di polmonite (con sintomi come febbre alta, tosse, dolori articolari, difficoltà respiratorie) e tre di loro erano poi morti.
Nessuno di loro era risultato positivo alla SARS (il virus della precedente pandemia) ma tutti avevano gli anticorpi IGM, segno di una infezione virale recente.
A fare i test sierologico sui campioni di sangue era stato proprio l'istituto di Wuhan: sapevano probabilmente tutto ma nel paper del 2016 non hanno detto una parola su quelle polmoniti.
Questa storia – è sempre la ricercatrice indiana a parlare – è interessante perché ci aiuta a capire le origini del virus: magari nella miniera c'erano altri virus simili da cui quello attuale è derivato. Scoprire se esiste un legame tra il Ratg13 e il Sars-Cov2 sia utile.
Alcuni studiosi hanno chiesto ai ricercatori di Wughan di condividere i campioni del Ratg13 per poterlo analizzare, ma il campione non c'è più, secondo la dottoressa Shing dopo l'ultimo sequenziamento si è esaurito.
Il laboratorio di Wuhan
Se ne parla da quando l'epidemia è arrivata in Italia, del laboratorio di massima sicurezza (P4) di Wuhan, accusato di aver fatto uscire il virus: pochi sanno però che è stato realizzato grazie alla collaborazione tra esponenti del mondo scientifico di Stati Uniti, Cina e Francia. E' stata proprio la Francia, con una decisione presa dai vertici della Repubblica, a vendere al laboratorio gli strumenti per fare le sperimentazioni. L'idea era aiutare la Cina ad avere un centro di ricerca di massima sicurezza nel mondo dei virus: dopo 17 anni, racconta un giornalista di “Challenges” Antoine Izambard, possiamo dire che è stato un fallimento.
Antoine è stato uno dei pochi giornalisti ad aver potuto visitare il centro nel 2019: nel suo libro “Francia Cina, le relazioni pericolose” racconta in un capitolo come la collaborazione tra i due paesi non sia mai partita.
“La Cina era molto poco trasparente e la Francia non si fidava, non c'è nessuna cooperazione tra gli istituti francesi e cinesi, nessun programma di scambi scientifici, la Cina decide da sola cosa si fa nel laboratorio e qui da noi c'è una grande preoccupazione sulla preparazione dei ricercatori cinesi, sul fato che siano capaci di manipolare in sicurezza dei patogeni, i più pericolosi al mondo. ”
In un articolo del 2017, sempre la rivista Nature riportava le preoccupazioni di osservatori internazionali sul laboratorio di Wuha, sulla sua sicurezza: molti ricercatori tra cui la dottoressa Shi avevano studiato al P4 di Lione, il centro gemello di Wuhan e questo rassicurava gli scienziati.
Ma la Cina non aveva esperienze in questo tipo di ricerche e il timore era che un patogeno potesse fuoriuscire dall'impianto. E non sarebbe stata la prima volta: il virus della SARS era sfuggito 4 volte dai laboratori ad alto contenimento, nel 2003 a Singapore, a dicembre 2003 a Taiwan, 2 volte ad aprile 2004 a Pechino.
Nel 2018 due ufficiali dell'ambasciata statunitense visitano l'impianto di Wuhan e allertano il Dipartimento di Stato americano sulla grave carenza dei tecnici e dei ricercatori non adeguatamente addestrati, necessari per operare in sicurezza.
Gene Olinger è il direttore scientifico di una società che si occupa di verificare i livelli di sicurezza dei laboratori P3 e P4 nel mondo: “l'incidente classico, oltre a quello di contenimento, è quello di un tecnico che si infetti e non sappia di essere contagiato o si rifiuti di ammettere di avere avuto un incidente”.
E' quanto è successo a Wuhan?
Gli effetti del virus sul cervello
Altra zona d'ombra che preoccupa gli studiosi (e molto meno i politici e chi ne scrive sui giornali) sono gli effetti del virus sull'organismo, tra cui gli effetti sul cervello.
Il Niguarda neurocenter, uno dei centri di riferimento della Lombardia, durante i mesi dell'emergenza era stato trasformato in un hub per le patologie neurologiche.
Prima dell'emergenza venivano ricoverati qui, dal Pronto Soccorso, circa 80 pazienti ogni tre settimane, dall'8 al 31 marzo sono state ricoverate 200 persone.
Sono aumentate le sincopi, le crisi epilettiche, le emorragie celebrali, gli ictus ischemici: Elio Agostoni è il direttore del centro neurologico, alla giornalista ha spiegato come a preoccupare sia il fatto che erano ictus di giovani, persone tra 47 e 55 anni.
In questi casi il cervello si ingrossa e come estrema ratio c'è la procedura in cui viene tolto l'osso per dare spazio al cervello in modo che possa gonfiarsi senza far morire il paziente.
Già dai primi report di febbraio dalla Cina si era visto che circa il 37% dei pazienti aveva avuto complicanze neurologiche, una cifra altissima per una pandemia che viene descritta come malattia respiratoria.
“Questo virus è capace di aumentare la coagulabilità del sangue, tant'è che questi pazienti che arrivavano per un ictus, avevano anche un quadro polmonare strano, ma non era così grave, non c'era il polmone tutto bianco. I radiologi la definivano inizialmente polmonite interstiziale, per noi erano micro-embolie polmonari. E queste micro-ebolie erano capaci di aggravare l'ictus che ci arrivavano per i grossi emboli che partivano e finivano per occludere le arterie del cervello. Tant'è che noi non diamo la terapia anti coagulante, ad un ictus ischemico, cioè all'occlusione di un vaso. Ma qua l'abbiamo data e abbiamo fatto bene.”
In queste emergenze neurologiche la tempestività è importante: il 118 ha un codice di massima gravità, ideato proprio qui al Niguarda, chiamato codice ictus.
“Col Covid c'era un tale sovraffollamento di chiamate al 118 che questi venivano messi in lista d'attesa così, quando arrivavano facevamo la costatazione di morte”.
La ricerca del vaccino
Tutto il mondo aspetta il vaccino contro il Covid-19: un vaccino che non crei effetti collaterali e che stimoli la risposta immunitaria, anche protettiva contro il coronavirus, protegga dall'infezione o almeno dalla malattia.
Presadiretta è entrata dentro lo studio Spallanzani di Roma, dove stanno lavorando proprio ad un vaccino: è lo stesso team che anni fa ha sviluppato il vaccino contro l'Ebola.
Stefano Colloca è il responsabile della ricerca: questo vaccino è parte di una sfida enorme, racconta.
Al mondo sono più di 200 i progetti di ricerca in campo e 35 candidati vaccini sono già arrivati alla sperimentazione umana, di questi 8 hanno raggiunto la fase finale. E' un'impresa senza precedenti nella storia, sia per i numeri che per la velocità: “questa è una prova del fuoco per tutti” ammette Stefano Colloca.
Dopo il vaccino, Presadiretta farà un approfondimento sugli anticorpi monoclonali: sono molecole naturali riprodotte in laboratorio capaci di neutralizzare il coronavirus.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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