15 aprile 2023

Formule mortali, di Francois Morlupi

 


Sabato

«Cosa ci fa qui? Esca immediatamente o chiamerò la sicurezza!»

L’infermiera era diventata rossa paonazza, incredula dinanzi alla sagoma dell’intrusa. Le due braccia, simili a delle spade affilate, mulinarono più volte verso la ragazza che non osò proferire parola, consapevole di essere in torto marcio.

Per sua fortuna l’estranea era riuscita, con un’occhiata fugace, a sbirciare la lista dei pazienti affissa all’entrata del pronto soccorso. Lui non c’era. Questo stava a significare una cosa sola: era già stato trasferito in reparto.

Nello stesso istante una seconda infermiera, udendo le urla della collega, stava accorrendo per darle man forte; era tempo per l’ospite inatteso di andare via. Alzò la mano per attivare il sensore della porta scorrevole, sgusciò dall’edificio e affrettò il passo verso il reparto di neurologia, senza voltarsi indietro.

Le luci del soffitto all’entrata del padiglione Lancisi vennero assorbite dal suo abbigliamento interamente nero; la donna inghiottì le scale due a due per raggiungere il primo piano.

Formule mortali è la prima indagine dei cinque di Monteverde, il gruppo di agenti agli ordini del commissario Ansaldi che incontriamo subito nelle prime pagine ricoverato in ospedale.
Se, dopo aver letto gli ultimi due capitoli della serie dello scrittore italo francese Francois Morlupi, avessimo delle curiosità sui suoi protagonisti, questo è il libro che spiega tanti perché.
Da dove arrivano le ansie di Biagio Maria Ansaldi, dalla sua non sempre felice adolescenza. Dove ha lavorato prima di ritornare a Roma nel suo quartiere. Come mai la passione per l’arte e in special modo sui quadri, come Nighthawks di Hopper che “aveva un potere di rilassamento totale su di lui”.
Ma ci sono anche gli altri: il duo Leoncini Di Chiara, i “ringo boys” chiamati così perché sempre assieme e perché il primo, William Leoncini, dalla pelle di color scuro ma con degli occhi verdi così magnetici per le donne. L’altro, Marco Di Chiara, appassionato di film coreani, di calcio (“magica Roma”):

“In loro non c’era né sostanza né continuità, e questo Ansaldi lo sapeva. Ma entrambi potevano avere dei lampi di genialità”.

C’è poi l’agente Caldara, che colma il suo non essere proprio un investigatore brillante con la sua tenacia, il cercare di essere sempre di aiuto agli altri.

Dell’ispettrice Virginie Loy sappiamo qualcosa di più dall’ultimo romanzo dell’autore “Nel nero degli abissi”: le cause della sua perenne tristezza a causa di quella corazza che deve indossare ogni giorno per difendersi dal male subito.

La mancanza totale di trucco, i piercing viola appuntiti al naso e una tuta di almeno due taglie più larga, non aiutavano di certo a renderla più femminile. Eppure era nel fiore dell’età, ..

Il cercare di isolarsi dal mondo, per trovare un proprio spazio dove sentirsi al sicuro è un qualcosa che unisce la vice ispettrice e il commissario Ansaldi che è a capo del commissariato di Monteverde da pochi anni, senza aver mai svolto un’indagine importante. Anzi, nessuno del suo gruppo fino a quel momento in cui tutta la storia parte, aveva mai fatto un’indagine così dura.
Un’indagine che ha a che fare con una serie di delitti feroci, bestiali, che avvengono proprio nel suo quartiere (e non solo) e che colpiscono una serie di professori universitari, all’apparenza senza alcun legate tra di loro. Anzi, l’unico legame, almeno in base alla scena del crimine, è un macabro segnale che l’assassino, o gli assassini, ha lasciato. Ma andiamo per ordine

Si accorse di aver calpestato una mano, a cui mancavano tutte le dita. La testa cominciava a girargli, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

A Villa Sciarra, uno dei tanti parchetti di Roma con dietro un pezzo della storia antica della città, un pensionato alle prese con la sua passeggiata mattutina, si imbatte nella prima vittima: si tratta di un uomo il cui busto è stato impalato (su una picca, come se fosse passato Vlad l’impalatore). Le mani della vittima sono state usate per disegnare la celebre formula di Einstein, E = mc².
Non si tratta di un delitto a sangue freddo: chi lo ha fatto, sicuramente più di uno, deve aver pianificato e pensato ogni dettaglio per tempo, la scelta della vittima, il luogo, i dettagli del rituale messo in piedi nel parco, le lunghe torture inflitte a quell’uomo. Che solo poi si scoprirà essere un insegnante di fisica, Franco Valoti, (forse questo il legame con quella formula così famosa?) che, però, non aveva nemici, non aveva avuto screzi con nessuno in particolare.

Appena la notizia diventa di dominio pubblico, sulla testa del commissariato e di Ansaldi e della sua squadra, che ancora non è una squadra, iniziano a calare le prime rogne. Una conferenza stampa dove Ansaldi deve rispondere alle domande, anche morbose, anche inutilmente polemiche, dei giornalisti. Ma non è solo la pressione dall’altro a preoccupare il commissario: i suoi agenti per la prima volta dovranno lavorare ad un caso di omicidio che sicuramente lascerà un segno

Questa indagine avrebbe lasciato degli strascichi in tutti loro, lui ne era consapevole e lo aveva accettato.

Eppure, nonostante la fatica, il dover affrontare un caso difficile e senza appigli a cui aggrapparsi, la squadra agisce bene: Leoncini e Di Chiara si mettono sulle tracce dei pochi testimoni e dell’unico amico della vittima, un altro insegnante di chimica a cui viene in mente uno scontro avuto dal professore di fisica con uno studente.

«Ecco, questo studente, prima di salutarlo, gli aveva chiesto se credesse in Dio e se ammettesse che non tutto è spiegabile tramite la scienza e la fisica in particolare. [..]

Il professore aveva risposto in modo netto

«La scienza ha fatto progressi solo dopo aver eliminato Dio».

Purtroppo non sarà l’unica vittima, e l’unico rituale di morte, su cui i cinque del Monteverde dovranno indagare: in che modo queste bestie feroci, questi diavoli venuti dall’inferno, scelgono le loro vittime? Perché quelle torture, che fanno tornare la mente ai tempi bui della Santa Inquisizione, che fanno pensare ad una pena da scontare? Perché quelle formule, le “formule mortali” che danno il titolo al libro, lasciate come un segnale per qualcuno?
Con una grande tenacia, i cinque del Monteverde scopriranno per la prima volta il piacere di essere poliziotti per davvero, non solo agenti dediti a compiti amministrativi come era successo fino a quel momento.

Rispetto agli ultimi due romanzi della serie, “Come delfini tra pescecani” e “Nel nero degli abissi”, in questo il racconto delle vicende personali dei protagonisti è quasi prevalente sull’indagine in sé, rendendo a volte un po’ pesante la lettura. L’autore voleva sottolineare l’umanità di ognuno del gruppo, quello che ci si deve lasciare alle spalle quando si deve guardare il fondo oscuro dell’abisso, “se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te’”.
Le ansie e la solitudine di Ansaldi e di Loy. I problemi familiari dell’agente Caldara che mal si conciliano con un lavoro che ti costringe ad orari assurdi, anche nel fine settimana.
Anche i due “ringo boys” scopriranno il piacere di lavorare in gruppo, quel piacere che ti fa sopportare tutte le fatiche, anche andando a sacrificare quella parte di vita privata, qualcosa di inconcepibile prima per i due agenti.
Nel libro si toccano anche altri argomenti (oltre a raccontare un rocambolesco viaggio in Corsica, durato ore, una pena per il povero commissario): la zona oscura del web, dove trovano sfogo i peggiori istinti della nostra società, una società dove non ci si può fermare, dove l’ozio è considerato un fallimento.
Una società in bilico tra scienza, raziocinio e un misticismo che va oltre la fede, sfociando nella pazzia, nella malvagità.

I precedenti romanzi della serie sui cinque del Monteverde

Come delfini tra pescecani
Nel nero degli abissi

La scheda del libro sul sito di Salani e il primo capitolo

I link per ordinarlo su Amazon e Ibs


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