Prologo
Dal
1995 ad oggi la partita per il controllo della Regione Lombardia,
l’ex locomotiva d’Italia per modello economico e sociale, si è
giocata in una sola parte del campo politico, il centrodestra.
Quella
dell’eccellenza lombarda è stata tuttavia una falsa narrazione,
uno storytelling vecchio e vuoto di contenuti di fronte all’impatto
delle crisi globali, delle sfide del cambiamento climatico e della
pandemia da Covid-19, se si confrontano i dati socioeconomici con
altre regioni italiane ed europee. Il ciellino Roberto Formigoni,
durante 18 anni di governo ininterrotto, ha piegato l’istituzione
del Pirellone ai propri interessi personali e di appartenenza
politica al mondo di Comunione e Liberazione, con leggi e delibere
che hanno favorito l’esplosione dei privati nel mondo della sanità.
Formigoni ha saputo per primo sfruttare l’indebolimento del patto
costituzionale, facendolo diventare la base per un governo locale
palesemente antistatale che punta alla distribuzione della sovranità
a una pluralità di soggetti che tengono insieme il privato e il
pubblico.
Negli
ultimi trent’anni la giunta non ha saputo né voluto mediare tra
gli interessi plurali della società che rappresenta e, attraverso i
suoi “mandarini” di Palazzo, ha abdicato al suo ruolo pubblico di
regolatore e decisore del mercato. Il paradigma è nel campo
sanitario la legge regionale del 1997, che ha sancito un modello
diverso da quello nazionale (in nome della libertà di scelta e della
sussidiarietà tanto cara ai ciellini) e ha messo le basi per un
ampio impoverimento del pubblico. Dagli anni ’90 i gruppi privati
decollano e si trasformano in colossi: oltre al San Raffaele e alla
Fondazione Maugeri, nel 1994 apre l’Istituto europeo di oncologia
di Umberto Veronesi, nel 1996 viene inaugurato l’Humanitas di
Gianfelice Rocca, il gruppo San Donato di Giuseppe Rotelli inizia ad
espandersi fino ad arrivare a 18 ospedali, tutti rigorosamente
accreditati.
Ma
il velo è stato sollevato con la pandemia e i lombardi si sono
trovati con il cerino in mano di un servizio non all’altezza. La
privatizzazione della sanità è il simbolo di una vita pubblica
devastata dalle logiche del puro profitto e interamente subordinata
agli affari di pochi che non ha invertito la rotta nemmeno con
l’ultima riforma sanitaria targata Moratti. Anche quest’ultima
legge regionale sdogana definitivamente la logica dell’equivalenza
tra i due modelli, quello pubblico e quello privato, e l’ex
vicepresidente si è limitata a inaugurare ex consultori pubblici
trasformati in case di comunità.
Nemmeno
i leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontana hanno mai proposto un
nuovo modello più vicino alle esigenze dei lombardi, perpetuando uno
schema di gioco che prevede il controllo “militante” della
macchina burocratica. Una regione spesso contro, che osteggia la
Costituzione repubblicana e pretende di andare per la propria strada
anche con i governatori leghisti al comando in tema di diritti e
autonomia fiscale.
L’efficientismo
di facciata del centrodestra ha mostrato tutti i suoi limiti con la
pandemia da Covid-19 che ha causato oltre 40mila morti solo in
Lombardia, con il triste record della provincia di Bergamo dove i
decessi sono aumentati a marzo 2020 del 568% rispetto agli anni
precedenti.
Il
titolo non è stato scelto a caso: assalto è proprio la parola più
corretta per raccontare quello che ha fatto il centro destra in
regione Lombardia negli ultimi 20 anni, anzi, andando indietro fino
al 1997, quando sono partite le politiche di privatizzazione della
sanità con le leggi volute dall’ex presidente Formigoni. Un
assalto, una completa e totale occupazione dei posti di potere in
tutte le strutture in cui si articola la macchina di governo
regionale, dalla sanità, all’istruzione, al settore dell’edilizia
pubblica, ai trasporti, all’agricoltura. Un sistema di potete,
quello della Lombardia, dove sembra di essere tornati indietro di
secoli: le cariche e le nomine, dai direttori delle ASL fino
all’ultimo dei funzionari sono assegnati secondo la tessera
politica, dove la fedeltà politica alla Lega a Comunione
Liberazione, a Forza Italia e, oggi, anche a Fratelli d’Italia (che
nelle ultime politiche ha sorpassato gli alleati nella coalizione) va
sopra ai principi di competenza, esperienza, professionalità.
Come
nel vecchio medioevo con i Vassalli, Valvassori, Valvassini.
Una
sorta di reddito di cittadinanza al contrario: risorse pubbliche
spostate verso manager, dirigenti e funzionari pubblici arruolati per
tessera di partito, distribuendo rendite di posizione e allevando una
generazione di politici che da Milano oggi hanno fatto il salto
politico e sono atterrati a Roma.
Il
saggio di Marco Sasso è stato scritto tra la fine del 2022 e i primi
mesi del 2023, prima delle elezioni regionali avvenute a febbraio
2023 che hanno visto ancora una volta prevalere, come avviene
ininterrottamente dal 1995, il centro destra. Nelle intenzioni
dell’autore, questo libro avrebbe dovuto aprire gli occhi ai
cittadini lombardi, sbattendogli in faccia quella che è la realtà
che sta dietro la macchina della propaganda (che paghiamo tutti noi
cittadini, anche quelli che non votano Lega o FDI).
Purtroppo
l’autore non c’è riuscito: nonostante quanto è successo nemmeno
tanti mesi fa ai tempi del Covid, quando la Lombardia è stata la
regione con più morti nel mondo, quando il ciclone dei contagi ma
mandato in crisi ospedali, pronto soccorsi, quando medici e
infermieri si sono trovasti senza dispositivi per proteggersi perché
le ASST ne erano sprovviste, senza nemmeno un protocollo aggiornato
per combattere la pandemia (o una influenza) perché quello esistente
non era stato aggiornato.
Il
falso mito dell’eccellenza lombarda
Privato è bello (o così
ci hanno raccontato)
L’aggressione ai beni
comuni è stata il fil rouge della politica che ha segnato i 18 anni
di “regno” del ciellino presidente Roberto Formigoni, che grazie
al comunitarismo cattolico ha incrementato gli affari privati: a sua
firma la legge regionale n. 31 del 1997 che rivoluziona – per la
prima e unica volta in Italia – la sanità assumendo come principio
ispiratore la sussidiarietà solidale per assicurare l’erogazione
uniforme dell’assistenza. Formigoni è al governo della Lombardia
da due anni quando viene emanato il provvedimento che contrassegnerà
i successivi cinque lustri politici e il futuro delle cure di milioni
di lombardi di oggi e di domani. Attraverso quel principio tanto caro
ai seguaci di Gioventù studentesca e al mondo di Comunione e
Liberazione, il privato entra prepotentemente nel Servizio sanitario
regionale grazie all’accreditamento, formalmente per cooperare alla
pari con le strutture pubbliche, nei fatti per essere supportato e
foraggiato dal Servizio sanitario, riservando per sé i settori più
remunerativi della sanità e dell’assistenza, quali ad esempio i
reparti di alta specializzazione in cardiologia, i centri di
eccellenza di ricerca o le Residenze socioassistenziali (Rsa),
lasciando alla medicina pubblica la gestione dei settori meno
redditizi come i servizi di emergenza-urgenza, quelli dedicati alle
dipendenze da alcool e droghe e la psichiatria. In questa gara impari
il pubblico si vedrà tagliare migliaia di posti letto sostituiti
dalle strutture private accreditate. Tra decine di leggi e norme ad
hoc, nella sostanza è stata assicurata agli imprenditori, in assenza
di vincoli di programmazione della Regione Lombardia, la possibilità
di orientare le proprie attività verso prestazioni con rapporto
favorevole tra rischio e remunerazione.
Ancora
una volta la macchina della propaganda che in regione Lombardia
funziona molto bene (contro gli immigrati, contro l’islam, contro
gli ambientalisti, contro le associazioni LGBQ+), ha prevalso contro
la logica dei fatti. La propaganda che ci racconta come la sanità
qui sia una eccellenza, una parola che Formigoni, condannato
a 5 anni per corruzione, ripeteva davanti ai giornalisti:
eccellenza e sussidiarietà, quel principio tanto caro ai suoi amici
di Comunione e Liberazione, per cui nei suoi anni di governo si è
svuotata la sanità pubblica, chiudendo presidi, ospedali,
consultori, per far spazio al privato in convenzione. Perché
bisognava dare ai cittadini lombardi la possibilità di scegliere tra
pubblico e privato, mettendoli in una sorta di competizione falsata:
da una parte si toglievano risorse al pubblico, dall’altro si
drenavano fondi regionali per finanziare strutture private basate
sulla logica del profitto che, nei mesi della pandemia, nemmeno si
sono fatte carico del carico dei malati per covid.
Marco
Sasso racconta del rapporto privilegiato che ha il gruppo San Donato
di Giuseppe Rotelli, tra gli esperti che hanno scritto la riforma
sanitaria del presidente Formigoni: tra accreditamenti, passando per
l’acquisizione dell’ospedale San Raffaele, la trasformazione di
ospedali privati in Irccs, istituti di ricerca che, sempre grazie a
Formigoni, possono accedere a fondi per la ricerca, il Gruppo San
Donato tra il 2001 e il 2021 riceve rimborsi pubblici per 17 miliardi
di euro (che rappresentano l’80% dei suoi ricavi).
Se
guardiamo i dati dei Livelli Minimi Essenziali, i LEA, la Lombardiasta al quarto posto, dietro ad altre regioni come Emilia Romagna
dove, tra le altre cose, gli ospedali di prossimità distribuiti sul
territorio, esistono da anni.
Finita la pandemia si è detto
che, basta, bisognava rafforzare la medicina territoriale, che il
modello ospedalo-centrico tanto amato dalle giunte di centro destra,
aveva fallito: ma è stato solo un fuoco di paglia, nemmeno la
riforma voluta da Letizia Moratti ha cambiato le cose. Come ha
raccontato più volte
Report nei suoi servizi, si sono solo fatte tante inaugurazioni
delle case di comunità, senza mettere un euro (nemmeno dal PNRR) per
inserire nuovo personale in strutture che già esistevano e che hanno
solo cambiato nome.
Lo spiega bene l’autore mettendo uno
dietro l’altro cifre e dati: la sanità in Lombardia costa più che
nelle altre regioni, andando a smentire l’altra voce della
propaganda secondo cui il privato cosa meno ed è più efficiente.
Ma
quale eccellenza? Dove ti giri in Lombardia si trovano sempre più
ambulatori privati o cliniche smart dentro le fermate della
metropolitana, nei supermercati, alla faccia del diritto alla salute
dei cittadini.
Nemmeno
il covid è riuscito a cambiare l’approccio ideologico
iperliberista (privato buono, pubblico cattivo) dietro queste scelte
politiche: prima il privato, quello che è vicino al tuo partito o
alla tua corrente. E non importa se questo calpesti i diritti delle
persone: un capitolo del libro è dedicato alla legge 194 che concede
a tutte le donne il diritto ad abortire in modo sicuro.
Per
motivi essenzialmente solo ideologici (e oscurantisti), tutte le
giunte regionali hanno fatto tutto il possibile per ostacolare questo
diritto, cominciando dal bloccare l’uso della piccola RU 486, con
la massiccia presenza di medici abortisti in strutture accreditate
(una stortura della legge, quella dell’obiezione, che nessun
governo ha cancellato).
A
che serve cancellare una legge come la 194 (come anche la stessa
presidente Meloni ha dichiarato) quando puoi ostacolarla con la
burocrazia? Quando puoi cancellare i consultori, strutture nate a
fine anni 70 per aiutare le donne nelle problematiche legate alla
sessualità, sostituendoli con strutture private, pagate da noi,
gestite da associazioni “pro vita”, dunque fortemente
ideologizzate, che non applicano la legge?
Dove
sta la sicurezza delle donne?
Nel
cuore del potere lombardo
È
notizia di questi giorni che in regione si stanno ultimando le nomine
nel comparto della sanità, un settore che vale 22 miliardi di euro
ogni anno, una bella fetta del bilancio regionale. Qui si gioca la
vera partita del potere: il cuore del potre sta tutto nella partita
delle nomine dove, per la prima volta, il partito di Giorgia Meloni
potrebbe avere più posti di quelli degli altri partiti della
coalizione, la Lega di Salvini e Forza Italia di Tajani, anche
andando ad allearsi con i vecchi potenti di Comunione e Liberazione,
andando perfino a riesumare personaggi spariti dalla scena
politica come Lucchina (ex braccio destro di Formigoni) o Mantovani
(ex vice presidente, passato da Forza Italia a Fratelli
d’Italia).
L’autore, nel capitolo “Nel cuore del potere”
racconta tutte le vicende giudiziarie che hanno coinvolto esponenti
del centro destra in questi ultimi anni: non tutte hanno portato ad
una condanna in via definitiva, come nel caso Formigoni per i regali
e i soldi presi dalla fondazione Maugeri in cambio delle scelte in
ambito sanitario, ma tutte raccontano la stessa cosa, ovvero che il
l’interesse pubblico passa in secondo piano, dopo il profitto del
privato.
Ma
il capitolo racconta anche altro: le porte girevoli in regione, dove
si danno incarichi a politici trombati alle elezioni nazionali, dove
si assumono per consulenze ben remunerate giornalisti e personaggi
senza esperienza ma solo con la tessera giusta in tasca. È una
macchina che mangia tanti soldi nostri, quella regionale: la sobrietà
non è una dote del “celeste”, come si faceva chiamare Formigoni,
che nonostante il voto di povertà si è fatto costruire un nuovo
palazzo, il Pirellone, con tanto di eliporto sul tetto (costato 50 ml
di euro), con un ufficio arredato nel segno dello sfarzo e del lusso
(dove per l’arredo si sono spesi 42 milioni di euro). Tutti soldi
nostri, ricordiamocelo sempre.
Ma
nemmeno Salvini ha dalla sua la dote della sobrietà: per la sua
macchina della propaganda social, la bestia, ha investito milioni
euro finiti nella società del suo guru, Luca Morisi, che veniva
pagato due volte: direttamente dai gruppi parlamentari e poi anche
per gli appalti che le ASL in regione concedevano alla sua società.
Una
forma di ritorno economico per l’uomo che ha portato milioni di
follower al segretario della Lega passato da Roma ladrona a prima gli
italiani..
Tanto
quanto nella sanità, anche nell’istruzione la fanno da padrona i
privati: il principio è sempre lo stesso, la sussidiarietà, ovvero
dare a tutte le famiglie la “libera scelta” di mandare i figli in
una struttura pubblica o in una privata (essenzialmente una
cattolica).
Ovviamente
è un principio che favorisce il privato, che in proporzione agli
studenti che frequentano le sue scuole, prende molti più soldi
rispetto al pubblico. Ancora altri numeri (che troverete leggendo
questo libro): 24 ml date alle scuole private nella dote scuola, di
fronte solo agli 8 ml dati alle famiglie con disabili.
Vita
quotidiana in terra lombarda
L’ultimo
capitolo è una lunga carrellata dentro la vita dei lombardi a
cominciare dai trasporti regionali, un mondo che conosco molto bene
essendo un pendolare di Trenord da più di venti anni.
Anche
nel trasporto regionale vale la tessera di partito, nonostante lo
stato impietoso dei trasporti, con treni affollati, in ritardo, con
problemi di manutenzione. La regione avrebbe il ruolo di controllore
su Trenord, che si prende ogni anno 950 ml di euro dalle nostre tasse
per far funzionare i treni: ma è la stessa regione che in questi
anni ha favorito il trasporto su gomma, costruendo e finanziando
altre autostrade (oltre 400 km di nuove autostrade da qui al 2030)
dimenticandosi del fatto che buona parte delle linee regionali sono
ancora a binario unico.
Le
precettazioni di queste settimana hanno acuito la tensione
all’interno dell’azienda, portando ad una situazione di estrema
difficoltà per i viaggiatori, sottoposti allo stress di treni
soppressi o in ritardo.
Aler
è invece l’azienda regionale che si dovrebbe occupare
dell’edilizia pubblica: nonostante ci sia una grande fame di
alloggi pubblici (e 20000 sfratti esecutivi nell’area
metropolitana), molte delle case dell’ente regionale sono chiuse,
sfitte, perché inagibili. Servirebbe almeno 1 miliardo per
sistemale, ma i conti in rosso (700ml di debiti) impediscono ogni
investimento.
Così
l’azienda, dove a farla da padrone sono manager di area vicina al
centro destra, è costretta a vendere le case. E chi rimane fuori
dalle graduatorie deve arrangiarsi.
Nonostante
la pianura padana sia la zona più inquinata d’Italia, nonostante
l’inquinamento causato dal traffico su gomma, dagli allevamenti
intensivi, dalle attività industriali, la regione ha da sempre
preferito investire nel trasporto su gomma, andando anche a
finanziare la famigerata Brebemi, l’autostrada che si doveva
finanziare da sola in project financing e che invece rischiava di
trasformarsi
in un lungo campo da calcio.
Non solo, la regione ha
ostacolato i piani del comune di Milano sull’Area C, sui divieti di
circolazione dei mezzi più inquinanti: ogni anni circa 90000 persona
sono vittime di malattie legate all’aria cattiva che si respira, ma
nonostante questo si continua ad andare avanti a consumare suolo per
nuove autostrade, nuovi capannoni per la logistica (col miraggio dei
posti di lavoro, che non si sa quanto dureranno), a sottrarre suolo
pubblico che viene ricoperto da cemento (nel solo 2020, l’anno del
covid, sono stati cementificati 750 nuovi ettari di suolo). La
Lombardia è, secondo
i dati di Ispra, la prima regione per consumo di suolo.
E
nei pochi campi rimasti, c’è il rischio che siano inquinati per lo
sversamento di fanghi tossici: lo racconta il giornalista nel
capitolo “la pianura padana infangata” dove racconta di come,
sfruttando le maglie larghe della legge regionale sui fanghi ottenuti
dalla depurazione di scarti industriali, la WTE SRL abbia
inquinato i terreni di diversi campi nel bresciano.
“Io
ogni tanto ci penso, cioè, chissà il bambino che mangia la
pannocchia di mais cresciuto sui fanghi”: così diceva un
dipendente dell’azienda in una intercettazione.
Chissà se ci pensano a questa pianura cementificata, infangata, in
regione? E che ne dicono i vertici di Coldiretti, associazione da
tempo vicina a questa maggioranza di destra?
C’è
una alternativa a questa politica, a questo gruppo di potere, a
questa gestione del potere in Lombardia? Nell’ultimo capitolo del
libro l’autore fa un bilancio amaro della situazione: a sinistra
c’è un vuoto, il PD non è ritenuto dai cittadini un partito a cui
dare fiducia per combattere queste battaglia per la sanità pubblica,
per la scuola pubblica e laica, per la difesa dell’ambiente e per
la fine delle spartizioni politiche nelle nomine pubbliche.
Non
solo, il famoso modello Sala non si discosta (sul consumo del suolo,
sulla gestione del bene pubblico) dal modello di questa destra. Che
rimane allora? Rimangono le tante associazioni sul territorio che
portano avanti con grandi difficoltà queste battaglie, come Non
una di meno, il Forum Salviamo il Paesaggio (come recita
l’articolo della Costituzione), Dico 32, gli studenti di Fridays
for future, Asgi e Naga, l’associazione che ha smascherato le
terribili condizioni dentro il CPR di via Corelli a Milano.
Ci
dobbiamo rassegnare alla padanizzazione dell’Italia, ora che questa
coalizione di destra sta governando il paese, togliendo risorse alla
sanità e depotenziando i servizi pubblici? Abbiamo cinque anni per
leggere questo libro e comprendere cosa sta succedendo in Lombardia e
in Italia.
La
scheda del libro sul sito di Laterza,
l’intervista
all’autore e un estratto.
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