25 luglio 2010

Ne valeva la pena di Armando Spataro

Ne valeva la pena: storie di terrorismi e mafie. Di segreti di stato e di giustizia offesa.

Ne valeva la pena: questo il giudizio finale, fatto da un giudice sulla sua carriera, sulle inchiesta portate avanti, usando il codice di procedura e la Costituzione come riferimenti.
Ne valeva la pena di celebrare il processo contro il rapimento dell'Imam Abu Omar, e mostrare al paese una brutta pagina della nostra storia recente,dove si sono piegato i diritti sanciti dalla Costituzione, per una regione di Stato ambigua, in nome della lotta al terrorismo che, come ebbe modo di dire il nostro premier nel 2005 “non si può combattere col codice in mano”.

Ne valeva la pena affrontare, e rischiare la propria vita come successo ad altri magistrati, la lotta al terrorismo italiano, negli anno di piombo.
A fianco di magistrati che, per queste inchieste, per il loro lavoro “col codice in mano”, sono morti, uccisi dal delirio di terroristi (Brigate Rosse, Prima Linea, PAC e le mille altre sigle) che nelle rivendicazioni agli attentati sancivano il buon lavoro, la capacità di dare credibilità allo stato che stavano combattendo, alle sitituzioni.
Emilio Alessandrini, Guido Galli, uccisi a Milano nel 1979 e nel 1980.
Ma anche il giornalista Walter Tobagi, ucciso perchè cercava di capire, per il suo modo di scrivere e di intendere, in chiave riformista e democratica, il suo lavoro.
Non è a caso che, prima della ricca appendice, compare una (purtroppo) lunga lista di magistrati “Non eroi operchè sono morti, ma perchè hanno voluto capire e conoscere con ostinazione”.

Ne vale la pena allora, leggere questo libro costruito sulla memoria della vita da magistrato presso la Procura della Repubblica di Milano dal 15 settembre 1976. Un percorso che si alterna al racconto dell'inchiesta sul rapimento di Hassam Mustafa Osama Nasr (Abu Omar), avvenuto il 17 febbraio 2003: una delle (tante, troppe) operazioni di renditions in cui la Cia (col consenso del governo americano e non solo) rapiva un sospetto terrorista , lo portava in uno stato in cui non ci si fa troppe domande sui diritti fondamentali dell'uomo, lo faceva sottoporre a tortura (per non sporcarsi le mani direttamente), per scoprire dei segreti sulle organizzazioni islamiche.
Oggi grazie al cielo abbiamo voltato pagina, nonostante qualche esperto di terrorismo (penso a Luttwack), ma negli anni bui dopo l'11 settembre ci sono stati anche giornalisti poco illuminati italiani, che scrivevano che si può tollerare un piccola dose di tortura, se questa può servire alla nostra sicurezza.
Chissà cosa avrebbe detto Alessandro Manzoni (autore della Colonna infame). Cosa avrebbero detto i magistrati Galli e Alessandrini che, invece, contribuirono a sgominare il nostro terrorismo, senza torture e senza deroghe alle leggi vigenti.

L'inchiesta di Spataro e Pomarici portò all'incriminazione di alcuni agenti della Cia, fece emergere i contatti e il supporto dei vertici del Sismi italiano (anche la centrale di depistaggi del funzionario Pio Pompa col suo archivio di dossier in via Nazionale).
Questo portò al rinvio a giudizio del gennaio 2007 di 32 imputati, di cui 26 americani (tra questi 5 agenti Cia).
So che può sembrare strano a qualcuno, ma rapire una persona per farla torturare (anche se di origini straniere), rimane reato. Rimane reato controllare e pilotare giornalisti e depistare le informazioni.
Quello che successe poi è noto: il governo Prodi (rimangiandosi le timide promesse fatte prima delle elezioni) che impugna il segreto di Stato e poi sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale (tramite il vicepremier Rutelli, poi presidente del Copasir).
“Il mio governo è contro le renditions ma il caso Abu Omar è coperto dal segreto di stato”, disse Romano Prodi.
Non un dubbio su eventuali contraddizioni sulle promesse fatte, sui diritti umani violati, sul chiarire dove fossero stati violati i segreti di stato.
Massimo D'Alema (altro presidente del Copasir) “la procura di Milano ha violato il segreto di Stato”.

Non è un caso se, poco dopo l'udienza preliminare del giugno 2007, fu varata la riforma dei servizi in piena estate che conteneva alcune norme che sembravano pensate proprio per coprire i problemi sollevati dall'inchiesta milanese (per evitare che in un futuro possano ripresentarsi).
Il governo Berlusconi seguì il solco del governo di centrosinistra: seguirono una serie di attacchi personali alla procura di Milano, ai magistrati Spataro e Pomarici. Esposti per la violazione di segreti (presentati anche dall'ex presidente Cossiga, nonché dall'ex giornalista Renato Farina che aveva appena patteggiato la pena).

Dopo la pronunciazione della Corte Costituzionale, che ha dato ragione alla procura per il lavoro di indagine svolto, ma ha mantenuto il segreto di stato (dunque gli imputati non potevano difendersi nel processo, non potendo rivelare delle informazioni coperte da segreto), 10 marzo 2009, si arrivò alla sentenza del giudice Magi, il 4 novembre 2009.
Nessuna condanna agli agenti italiani (tra cui Pollari e Mancini), 2 anni per favoreggiamento a Pio Pompa e Luciano Seno, mentre sono stati condannati a pene tra 3 e 5 anni gli imputati americani.
Sentenza che il New York Times (a dispetto di altri editoriali ovviamente critici) commentava scrivendo “Il trobunale italiano ha preso la decisione giusta” (la Corte d'appello federale di Manhattan aveva poco prima negato il diritto di risarcimento ad una vittima di renditions).

Ne valeva la pena.
Il libro vive di una luce propria, non è solo una mera esposizione di fatti e persone: emerge in continuazione il faro che ha governato la vita da magistrato di Armando Spataro. Lo racconta nell'introduzione, citando la riproduzione di una stampa che ha apesso al suo ufficio: “The problem e all live with” di Norman Rockwell. La giustizia (rappresentata dai quattro mashals senza volto) che scorta e accompagna una bimba di colore a scuola, facendo rispettare i suoi diritti. Nonostante l'arroganza dei razzisti, di chi si crede al di sopra delle leggi (e delle norme sui diritti fondamentali della persona su libertà, istruzione, culto).

Due sono i capitoli fondanti del libro che, ripeto, è un pezzo della storia giudiziaria della procura di Milano e, di riflesso, della storia italiana.
La fine della lotta al terrorismo, con gli arresti di Sergio Segio (Prima Linea) e Mario Moretti (Brigate Rosse): viene spiegato come a questo risultato si arrivò grazie al ruolo del pentiti (che grazie a delle leggi premianti della loro collaborazione erano incentivati ad abbandonare la lotta armata), alla specializzazione della polizia giudiziaria (Spataro ricorda spesso il lavoro svolto dal nucleo del generale Dalla Chiesa, dalla Digos Milanese di oggi e di allora) e anche della magistratura. Seguendo l'esempio della procura di Torino col pool di Caselli.
Autore tra l'altro del libro, citato da Spataro, “Le due guerre”: la guerra contro il terrorismo vinta dallo stato e quella contro la mafia, che non si è voluto combattere fino in fondo.

Il disastro ambientale: altro capitolo importante riguarda la lunga serie di provvedimenti, leggi e riforme in tema di giustizia, avvenute durante il secondo governo Berlusconi (ma alcune di queste si appoggiano a leggi approvate dal centrosinistra).
Il disastro ambientale, parte I e parte II, inframmezzate dal capitoletto dedicato all'elezione del neo presidente degli Stati Uniti, Obama. Mentre gli Stati Uniti possono cambiare pagina, chiudendo le carceri di Guantanamo (che poco o nulla hanno prodotto in termini di condanne), in Italia si assiste ogni giorno ad un attacco contro l'indipendenza della magistratura (il giudice sottoposto solo alla legge), al tentativo di sottoporla all'esecutivo (“il primato della politica” lo chiamano), di condizionarne l'attività (togliere l'obbligo dell'azione penale, togliere dalle procure la polizia giudiziaria).

Di questi argomenti ne hanno parlato già diffusamente gli ex magistrati Gherardo Colombo e Bruno Tinti. Spataro cita un pezzo dell'inaugurazione dell'anno giudiziario in periodo fascista, con tanto di saluto al Duce e di sottomissione alla politica fascista da parte dei procuratori generali.
È questa la giustizia che vogliamo?

O forse vogliamo una giustizia che è “il potere dei senza potere”, che non guarda in faccia a nessuno (se non rispondendo alle leggi e ai principi generali della nostra cultura), che considera l'immigrato prima di tutto una persona che non un clandestino (dunque uno che commette reato per il suo essere)?
In una lunga (e difficile da digerire) carrellata, Spataro mette tutto assieme i provvedimenti in tema di sicurezza, contro gli immigrati e contri i processi del premier (difendersi dal processo e non nel processo). Il lodo Alfano, il blocco dei processi, l'esercito nelle strade, il decreto rifiuti (rifiuti e immigrati considerati alla stessa maniera), l'allarme xenofobia lanciato da una parte della chiesa (come il cardinale Tettamanzi), le ronde, i respingimenti, l'umiliazione del settore pubblico (i fannulloni nel pubblico, i panzoni in polizia, i tornelli per magistrati). Il caso Englaro.
La riforma delle intercettazioni (il bavaglio) e la riforma della giustizia (il pm che diventa avvocato della polizia, che dipende dall'esecutivo), il processo breve (l'indulto perenne per i colletti bianchi).
Il solito ritornello delle riforme condivise, ma di cui è noto a tutti chi sono gli utilizzatori finali.

L'autore, dopo aver citato i commenti di giuristi, costituzionalisti (Carlo Federico Grosso, Vittorio Grevi, Gustavo Zagrebelski ..), usa la metafora degli animali a rischio estinzione, per la perdita del loro habitat, per la perdita dei propri punti di rifemento.
Gnu, orsi, anfibi, leopardi, pinguini di Magellano, squali, farfalle europee....

Il nostro modello dovrebbe essere il pinguino imperatore che si raggruppa in colonie e “nell'abbraccio collettivo della calca” affrontano temperature di -60 gradi, si riproducono nei mesi invernali e le femmine mettono al mondo un uovo covato dai maschi (“genitori affettuosi, pescatori agilissimi, marciatori infaticabili nelle distese ghiacciate” scrive il National Geographic).

“Il nostro habitat dovrebbe essere fatto anche di inossidabili principi ma la contesa politica condotta in nome dell'interesse personale e di gruppo li surriscalda e li manda in fumo … Ecco quanto sta avvenendo in Italia sia la geopardizzazione della nostra democrazia. Ma David Lane ha intravvisto anche bagliori di luce che danno speranza”.
[pagina 533-534]

E la speranza che viene dai segnali dal basso, dal lavoro quotidiano, seguendo non le regole del potente di turno o del suo clan.
“Il dovere è l'unica stella polare. Il compromesso e la mediazione sui principi sono le correnti e i venti da evitare o da cui proteggersi . Non possiamo illuderci di poter realizzare le nostre speranze nell'immediato, ma dobbiamo pensare piuttosto, a un graduale ripopolamento dell'ambiente: occorre dunque seminare e irrigare con pazienza. Poi solo aspettare, sperando che i frutti possano essere raccolti da noi stessi. Altrimenti toccherà ai nostri figli. È sicuro.
In fondo, pare che anche dagli iceberg che si sciolgono possa arrivare la salvezza contro l'effetto serra. La Terra può, cioè, salvare se stessa”.

Il link per ordinare il libro su ibs.

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