Le due guerre. Perchè l'Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia.
Un piccolo libro, ma che contiene un mondo dentro.
I ricordi di una vita da magistrato passata (e non è la solita metafora) in trincea. Prima contro il terrorismo a Torino come giudice Istruttore, poi a Palermo, come Procuratore Capo.
Negli anni in cui l'Italia sembrava poter (e voler) vincere la sua battaglia contro la mafia: gli anni delle stragi e del sangue. Ma anche la stagione dei pentiti di mafia, che permisero lo smantellamento, almeno dell'ala militare di Cosa Nostra.
E quei processi che iniziavano a scalfire, a toccare il terzo livello: i rapporti tra mafia e politica.
Il processo a Contrada. Ad Andreotti (condannato per associazione mafiosa fino al 1980, reato poi prescritto), a Carnevale, a Mannino.
Perchè l'Italia è riuscita a sconfiggere il terrorismo, negli anni 70/80 e invece non è riuscita a fare altrettanto con la mafia?
Gian Carlo Caselli risponde a questa domanda motivandola con la differente natura tra Brigate Rosse e mafia.La mafia è dentro il sistema, non estranea. Non è estranea alla borghesia, alla politica, alla società.
Un libro pieno di ricordi: uno di questi dedicato alla sua scorta, anzi alle sue scorte. Quella che lo seguiva quando, come giudice istruttore dava la caccia ai brigatisti responsabili dei sequestri Amerio e Labate, dopo il 1974. Delle morti dei giudici Alessandrini e Guido Galli. E quella, molto più restrittiva e soffocante, degli anni di Palermo, affidata agli agenti dei Nocs.
Alla chiesa in Sicilia e ai tanti preti che, nelle loro omelie, si dimenticano di vivere in terra di mafia.
Un ricordo, che si capisce essere molto sentito da Caselli, è quello dedicato a tutti i colleghi morti nelle due battaglie combattute.
Emilio Alessandrini, ucciso da Prima Linea il 29/1/1979.
Guido Galli, ucciso da Prima Linea il 19/3/1980.
Francesco Coco, ucciso dalle Brigate Rosse a Genova l'8 giugno 1976 .
Vittorio Bachelet, vicepresidente del CSM, ucciso il 12/2/1980.
Bruno Caccia, procuratore a Torino ucciso dalle BR il 26/6/1983.
Felice Maritano maresciallo dei carabinieri ucciso dalle Br il 15/10/1974.
Rosario Berardi, maresciallo della polizia, ucciso dalle BR il 10 marco 1978.
Antonio Esposito (inventore dell'indagine catastale sui covi delle BR), commissario di PS, ucciso 21/6/1978.
Il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, capo della brigata antiterrorismo, che collaborò a lungo con Caselli. Prma di morire ucciso in via Carini il 3 settembre 1982.
Nel suo racconto della lotta alla mafia, Caselli racconta degli anni della mattanza: la morte dei giudici Chinnici; la nascita del pool e il maxiprocesso che mise alla sbarra decine di boss.
Le calunnie che iniziarono ad arrivare sul pool di Palermo, in particolare su Giovanni Falcone, Paolo Borsellino.
Il primo denigrato dall'articolo di Sciascia "I professionisti dell'antimafia", per cui fu malamente informato da qualche mala voce.Il secondo costretto ad andarsene da Palermo, per arrivare a Roma a capo del D.A.P.
Destino comune di tutti i magistrati che, nella lotta alla mafia, cercano di avvicinarsi ai fili che legano mafia e potere politico è quello di finire in un giro di calunnie. Finire loro, e non i mafiosi, sotto processo da parte della stampa, del parlamento a Roma.
Tanto eroi da morti, tanto denigrati, accusati, infangati da vivi, i nostri eroi. Tanto che viene da chiedersi se veramente ce li meritiamo.
Come si è vinta la battaglia contro il terrorismo?
Con la specializzazione e la centralizzazione. In una parola, il pool di Caselli.
Schema applicato, con successo, anche a Palermo da Chinnici prima e Caponnetto poi, contro la mafia.
E anche grazie ai pentiti.
Nei capitoli "visti da vicino", Caselli racconta del suo rapporto con alcuni pentiti delle Br: Patrizio Peci e Roberto Sandalo. Pentiti perchè resisi conto della sconfitta del terrorismo: inutile ripetere qui quanto male abbia fatto alla lotta dei sindacati, ai diritti dei lavoratori, tutto quel sangue e tutte quelle morti.
Una citazione particolare l'hanno meritata Alberto Franceschini, per il suo comportamento provocatorio e aggressivo, Mario Moretti l'enigmatico capo dell'ala militarista e Toni Negri, il cattivo maestro, e Silvano Girotto, infiltrato (con molti punti oscuri) dei carabinieri nelle Br.
Senza i pentiti, le BR forse non si sarebbero sconfitte: senza la legge sui pentiti, che garantiva benefici. E anche alla legge che permetteva la dissociazione (una soluzione "politica" la chiama Caselli) dei brigatisti.
Pentiti delle BR e pentiti di mafia. I secondi lo facevano non per motivi ideologici, ma solo quando capivano che in quel momento lo Stato (e non la mafia) era vincente nella battaglia.
Il fatto che oggi grossi pentiti di mafia non ce ne siano, fa capire da che parta penda l'ago della bilancia.
L'ultimo capitolo è una sorta di sassolino nella scarpa contro due senatori a vita su cui Caselli si è dovuto occupare, professionalmente parlando: Francesco Cossiga e Giulio Andreotti.
"Le parole sono pietre": pietre pesanti come gli insulti che Cossiga ha rivolto all'autore (in buona compagnia con tanti altri giornalisti).
Il motivo del risentimento è dovuto ad una vicenda avvenuta nel 1980.Dopo il suo pentimento, Roberto Sandalo raccontò dell'appartenenza a Prima Linea di Marco Donat Cattin, figlio di Carlo Donat-Cattin, figlio del vicepresidente della DC.
Dalle rivelazioni, emergeva una eventuale copertura data al terrorista: Caselli e il suo pool trasmisero gli atti al Parlamento, che negò l'autorizzazione a procedere.
Su Andreotti, Caselli ricorda la sentenza della corte di Appello, ribadita dalla Cassazione (che dovrebbe essere il massimo organo giudiziario):
"E, in effetti, siccome emerge dalla narrazione che precede, la Corte palermitana ha ritenuto provato che il sen. Andreotti avesse avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; che avesse, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; che avesse loro palesato una disponibilità, non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; che avesse loro chiesto favori; che li avesse incontrati; che avesse interagito con essi; che avesse loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, ad ottenere che le sue indicazioni venissero seguite; che li avesse indotti a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come appunto l’assassinio del Presidente Mattarella), nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; che avesse omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza."
Andreotti non è stato assolto dunque. Come non è inutile discutere e commentare questa vicenda, la sentenza e i suoi riflessi sulla nostra storia.
Il libro termina con uno sprone e una speranza,per il lettore e ai tanti giovani: "il futuro è dentro noi", sta anche a noi decidere come e in che mondo vivere. E il futuro non è immutabile.
Possiamo cambiarlo e vincere anche la guerra alla mafia.
Lo testimoniano tutte le associazioni e antiracket, antimafia, come Libera, Addio pizzo, Ammazzateci tutti.
Per ordinare il libro su ibs.
Il sito dell'editore Melampo.
Technorati: Gian Carlo Caselli
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