A 30 anni dalla morte di Giorgio Ambrosoli, l'eroe borghese come lo definì Stajano, solo la7 dedicherà parte del suo palinsesto alla sua memoria.
L'eroe dimenticato, scrive Famiglia Cristiana, in una intervista alla vedova, del commissario liquidatore della banca di Michele Sindona.
«Vedo nuovamente intorno una mancata valorizzazione dell’esempio di Giorgio e delle tante vittime a lui simili. Eppure il suo esempio è importantissimo per i giovani».
Sono passati trent’anni da quell’11 luglio del 1979, in cui Giorgio Ambrosoli fu assassinato da un sicario con tre colpi di pistola sotto la sua abitazione milanese. Cinque anni prima, come avvocato esperto in diritto societario e fallimentare, Ambrosoli era stato nominato dalla Banca d’Italia commissario liquidatore della Banca privata italiana, portata al fallimento dal preteso "mago della finanza" Michele Sindona. Un compito che si annunciava difficilissimo, sia per la difficoltà di dipanare un groviglio finanziario inestricabile, sia, soprattutto, per le protezioni di cui godeva Sindona fra i poteri forti e occulti del Paese. Proprio la capacità e la caparbietà del commissario, coadiuvato da pochi fidati collaboratori, nello scandagliare i meandri della banca dissestata, non solo per accertarne lo stato patrimoniale, ma anche per scoprirne le modalità illegali con cui agiva, gli costarono la vita. Trent’anni dopo, la vedova di Giorgio Ambrosoli Annalori Gorla, accetta di ripercorrere la cronaca di quei giorni terribili e degli anni che sono seguiti.
Signora Annalori , in questo trentesimo anniversario del delitto che le ha strappato il marito e il padre dei suoi figli si attiva la memoria pubblica, delle istituzioni e dei giornali, su Giorgio Ambrosoli. Diverse commemorazioni, rievocazioni, testimonianze. Lei ha notato negli anni una qualche evoluzione di questa memoria?
«Il 12 luglio del 1979, pochi amici intimi, i professionisti impegnati con lui, sapevano quale gravoso impegno professionale e pubblico pesasse sulle spalle di Giorgio; alcuni politici ne erano a conoscenza, anche perché si erano adoperati sul fronte opposto (salvare Sindona e il suo modo di operare). Non mi sono stupita, quindi, che nella basilica di San Vittore, gremita di parenti e amici, brillassero per assenza la maggior parte delle istituzioni. Il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e il direttore generale Antonino Occhiuto c’erano a rappresentare l’istituto che aveva nominato Giorgio commissario liquidatore della Banca privata italiana. Il 15 luglio, tre giorni dopo, l’economista Marco Vitale aveva descritto in un’analisi molto incisiva per quale motivo e dove andavano cercate le ragioni per le quali Giorgio era stato ucciso. Una riflessione appassionata e molto chiara, dove Vitale paragonava Giorgio a un operaio impegnato a installare un depuratore per far tornare il Ticino inquinato nuovamente azzurro. Poi il silenzio».
Silenzio interrotto nel 1983 da Giampaolo Pansa...
«Pansa ripercorse con chiarezza il cammino professionale di Giorgio descrivendone il percorso anche umano. Subito dopo, però, di nuovo il silenzio, rotto solo dall’esito dei due processi (quello per bancarotta e quello per omicidio), ma – all’inizio degli anni ’90 – il lavoro serio, onesto e appassionato di Corrado Stajano, con il suo libro Un eroe borghese, da cui è stato tratto il bel film di Michele Placido, segna il momento di maggiore attenzione sull’esempio di Giorgio. Il film, per volere dell’allora ministro dell’Istruzione Giancarlo Lombardi, venne proiettato nelle scuole, dove venne anche consigliata la lettura del libro. Da allora, è iniziato un percorso di sensibilità e di attenzione nei confronti di questa storia e anche molti Comuni hanno voluto ricordare Giorgio, dedicandogli vie e piazze, scuole e biblioteche, aule di tribunale e di università».
Che ragione si è data dell’oblio che per anni c’è stato verso la figura di suo marito, della mancata valorizzazione dell’esempio che costituiva?
«Non è un caso, a mio parere, che il libro di Corrado Stajano sia stato realizzato e accolto con tanta attenzione subito prima dell’inizio di "mani pulite": momento durante il quale l’esigenza di legalità è stata maggiormente sentita e condivisa. In assenza di tale clima, esempi come quello di Giorgio non venivano affatto promossi: erano "scomodi" nel rappresentare un modo alternativo di intendere la pubblica responsabilità, rispetto al metodo maggiormente praticato».
E oggi?
«Di nuovo, vedo intorno a me una mancata valorizzazione dell’esempio di Giorgio e delle tante vittime a lui simili: sempre più i media occupano pagine e pagine di storie da operetta che vedono come interpreti anche persone che dovrebbero essere, invece, impegnate a far funzionare questo nostro Paese».
Come ha seguito, dopo l’uccisione di suo marito, le tante esecuzioni per mano della mafia di servitori dello Stato o privati cittadini che la contrastavano? Ha trovato qualche caso che ha analogie con quello di suo marito?
«Penso che siano tanti gli esempi in questi trent’anni e bisogna educare le nuove generazioni al discernimento, far loro capire che amare l’Italia, il proprio Paese, vuole dire anche saper distinguere il bene dal male, vuole dire essere liberi di scegliere nella coerenza delle proprie idee».
C’è stato un processo contro esecutore e mandante del delitto che ha permesso di accertare le responsabilità, sembra, in maniera definitiva. Lei pensa che ci siano ancora aspetti su cui far luce?
«I giudici Olivio Urbisci, Bruno Apicella e Guido Viola per il processo di bancarotta e Giuliano Turone e Gherardo Colombo poi per il processo di omicidio hanno sicuramente fatto chiarezza e non penso che ci siano fatti che non siano venuti alla luce».
Al processo, lei ottenne che suo figlio più piccolo, Umberto, 14enne, fosse sollevato dal divieto per i minori di assistervi. Qual era l’insegnamento che voleva ne ricevesse?
«Umberto, già da subito, malgrado fosse il più piccolo, ha voluto conoscere e capire ed è per questo che appena adolescente ha chiesto di partecipare a un paio di udienze in tribunale: ne aveva diritto. Non ha mai smesso di interessarsi a tutto ciò che riguardava l’operato di suo papà. Ho condiviso il suo desiderio di conoscere suo padre anche attraverso il processo, in maniera tale che potesse cogliere direttamente lo spirito che ha animato Giorgio, la consapevolezza con la quale ha vissuto la responsabilità che gli era stata affidata».
Ora, Umberto ha appena pubblicato col titolo Qualunque cosa succeda un libro su suo padre, su come portò avanti l’incarico ricevuto dallo Stato e sulla dinamica criminale che lo schiacciò. E dichiara di averlo scritto per i suoi figli: «Perché non ne disperdano memoria ed esempio».
«Umberto vuole far capire alle nuove generazioni come si può essere cittadini e professionisti avendo sempre rispetto dell'interesse pubblico: con responsabilità, limpidezza e libertà. Durante la presentazione del libro, a Milano, alla presenza di circa 700 persone, la maggior parte delle quali della mia generazione, è spuntato come un folletto e ha preso la parola Sebastiano, secondo anno di Economia, interprete del film Un eroe borghese, proprio nella parte di Umberto. È stata una ventata di speranza: il suo bellissimo intervento, appassionato, fresco, è una richiesta gridata che esempi come quello di Giorgio siano più presenti nelle scuole e nella società, se questa vuole essere civile. Se vogliamo vivere nel rispetto di quei valori, dobbiamo parlarne di più. Mi auguro ci sia sempre più attenzione e spazio per i tanti modelli positivi che il Paese ha offerto in questi trent’anni: deve, la nostra generazione, farli conoscere e tramandarli».
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