04 marzo 2022

I cani del Barrio, di Gianni Biondillo

 

« Me lo racconti di nuovo, come se fossi un bambino di quattro anni. »

« Ma dottore, quante volte ancora... »

« Su, non si faccia pregare. »

« Ho già detto tutto ai carabinieri. Due volte. »

« Ma lo sa come sono i carabinieri, no? Non le conosce le barzellette? »

« C’è un verbale, se lo faccia dare... io vorrei tornare a casa. »

« Eh... la fa facile lei... a casa... »

« ... »

« E` che noi non ci stiamo molto simpatici, sa? Dico... fra carabinieri e poliziotti, la conosce la storia: lo spirito di corpo, la competizione... queste cose un po’ infantili... va a finire che i colleghi non ci consegnano proprio tutto, così, per il piacere di farci un dispetto. O magari sì, ma sa, scrivono in quel modo assurdo, così burocratico... e poi, le confesso, io sono anche un po’ duro di comprendonio. »

« Be’, io non credo che... »

« Su, di nuovo, l’ultima volta. Me lo dica come se fossi un bambino di quattro anni. »

Diavolo di un Biondillo, in poco meno di quattrocento pagine sei riuscito a farmi ridere e anche a farmi piangere con le disavventure dell’ispettore Ferraro, lo sbirro senza qualità, come dice la fascetta, o forse, con tante qualità ma ben nascoste.

Separato dalla moglie Francesca e con una figlia ormai maggiorenne che frequenta l’università alla Bicocca, Ferraro è il classico cinquantenne che si scopre all’improvviso vecchio, con quella pancetta che non va via, i capelli che si imbiancano, le cose attorno nel mondo che accadono sempre più velocemente, una distanza che sembra diventare sempre più abissale con i giovani da una parte e, dall’altra, tanto spazio per i ricordi dei tempi che furono (e che sono sempre belli nei ricordi). Ma Ferraro è anche uno sbirro, un ispettore di polizia a Quarto Oggiaro, un poliziotto capace di fare il suo mestiere, di seguire una pista fino in fondo, non un duro come Callaghan, ma onesto. E anche con una dote che dovrebbe esistere in tutti gli esponenti delle forze dell’ordine: quell’empatia che ti porta a promettere alle vittime quella giustizia che sai già che non sempre arriva per tutti. Specie gli ultimi.

Da quando avevano chiuso la trattoria California, per Ferraro uscire di sera a mangiare qualcosa con Mimmo era diventato complicato. Già che Ferraro avesse cambiato quartiere, trovando casa in via Padova, era una cosa che Mimmo digeriva a fatica. ’O Animalo era un tipo territoriale, poco avvezzo a muoversi nella metropoli. Superare il ponte Palizzi gli dava sempre un certo fastidio, si sentiva protetto dentro il dedalo di strade dov’era cresciuto (e cresciuto, in altezza e larghezza, lo era fin troppo).

Gli ultimi come Marisol Ochoa, una ragazza (invecchiata in fretta) venuta qui per lavorare dal sudamericache una sera incontra Ferraro e il suo amico Mimmo, reduci da una mangiata storica in un locale “all you can eat”. I due la salvano dalle molestie di un altro immigrato, giusto in tempo prima che le cose potessero prendere una brutta piega.

Pochi giorni dopo Marisol si presenta in commissariato e gli racconta la storia del figlio, che ha chiamato Carlo perché è nato in Italia e deve essere italiano. Carlo ha solo quattordici anni ma ha iniziato a frequentare un brutto giro, “Bestie feroci, perros locos, cani del barrio. Pura razza bastarda”. Una pandilla comandata proprio dall’uomo con cui era quella notte in cui aveva incontrato Ferraro. Al ritorno a casa la mattina aveva scoperto che Carlo non era tornato a casa. Mai promettere qualcosa, questo è solo lavoro, poi quando torni a casa stacchi da tutto. Ma per il nostro ispettore non è così, lui è un poliziotto che, come dice la figlia, non si resetta mai. Magari dimentica il cellulare in giro, dimentica di fare la spesa. Ma di fronte ad una richiesta di aiuto, non riesce a dire di no.

Ferraro si troverà invischiato in una seconda storia, un’indagine non ufficiale che gli viene rifilata da Lanza, il suo ex superiore, e che lo porterà a lavorare a stretto contatto con uno sbirro della Questura, uno di quelli nella zona grigia tra servizi e politica. Pochi giorni prima un noto imprenditore, famoso per il suo rispetto per i diritti dei lavoratori e per il suo spirito filantropico, è stato rapito. Solo un cacciatore che passava per caso nel bosco dove lo avevano condotto i rapitori, ha evitato il peggio esplodendo dei colpi in aria e verso il furgone. Ma è un rapimento “strano”, che non convince questo Cereda, “simpatico come un’ulcera duodenale”, per l’atteggiamento del dottor Ridolfi. Questo strano sbirro vuole saperne di più sul rapimento e su questo imprenditore, strano anche lui, perché si preoccupa della salute dei dipendenti.

Ma, a proposito di salute, in Italia sta per succedere qualcosa: siamo negli ultimi mesi dell’inverno del 2020, quando ancora guardavamo a quanto succedeva in Cina con ironia, come se fosse un problema lontano. Ma qualcuno sapeva e aveva iniziato ad allertarsi, perché avremmo dovuto fare anche qui in Italia quello che era stato fatto a Wuhan. Quarantena. Lockdown.

«Comunque, non è una guerra ma sarà qualcosa di molo grosso. Hai letto quello che sta succedendo in Cina? Vogliono mettere in isolamento cinquanta milioni di persone.»
«Stai scherzando? È come mettere in quarantena tutta l’Italia. Per un raffreddore! Dai, è roba da fantascienza.»
«Sono serissimo, Ferraro. Nessuna iperbole. Il virus arriverà, non sappiamo quando, ma arriverà. Dobbiamo prepararci. E non è un raffreddore, fidati.»

Sono le settimane prima del lockdown di due anni fa, ma Ferraro, i suoi genitori, i milanesi fieri di una città che non si ferma mai, non lo sapevano ancora.
Non sapevamo che quelle tossi fastidiose e quelle strane polmoniti erano l’annuncio sinistro di una pandemia che avrebbe cambiato le nostre vite.

Prima di scoprire questo Ferraro deve indagare sulla scomparsa di questo ragazzo, Carlo, che lo porta a conosce un mondo distante anni luce dalla sua generazione, il mondo dei ragazzi delle periferie, immigrati di seconda generazione, italiani ma non italiani, disillusi da un presente che non sa promettergli nulla. E che cercano nel clan, nel gruppo, un qualcosa per fuggire da questo nulla. Sarà la figlia a fargli da traghettatrice in questo mondo, accompagnandolo nelle piazze di spaccio e aiutandolo perfino nella sua seconda indagine: quel rapimento su cui Cereda, “Cesare Lombroso”, vuole vederci chiaro, per capire meglio chi sia questo imprenditore considerato papabile per un posto da futuro ministro.

Quanti temi vengono toccati con grazia nel romanzo, con garbo, con ironia e anche con la giusta passione. Il tema delle periferie e di queste gang che fanno notizia solo quando di mezzo c’è l’ordine pubblico.

Gli schieramenti avevano così poco di militaresco, di epico, di guerresco, erano cani solitari, lupi selvaggi, bestie ferine. Morsi, fiotti di sangue, ossa rotte. Neppure un generale, neppure un comandante. Gli strateghi, come in ogni guerra, se ne stavano a riparo nelle retrovie, lontani dalle trincee e dal fango. Quello che Ferraro vedeva erano cuccioli mandati a macello. Fra questi, uno. Lo riconobbe. Il suo ago nel pagliaio. Carlo

La Milano delle pandillas che si contende le piazze di spaccio della droga, il modo più veloce per fare soldi. Soldi che alimentano il grande mercato della droga, nelle mani delle organizzazioni criminali che fanno sporcare le mani agli “spaccini”, meglio se immigrati (che già devono scontare una colpa), un mercato che genera inferni sulla terra, come la “no man’s land” nel bosco di Rogoredo, dove si possono incontrare gli scarti di questo mercato, persone alla disperata ricerca di una dose, l’ultima, per tirare avanti

«Il fumo è per il consesso civile. Questo è l'inferno.»

Entrarono nel bosco, intuendo un sentiero. Gli alberi erano spogli i rami contorti, le foglie neppure verdi ma scure, fosche. Non frutti ma spine. Pure i pochi uccelli appollaiati sembrava mettessero lamenti, non pigoli. Sotto gli ombrelli dei rami contorti c'era che aveva realizzato rifugi d'emergenza con tende, plastica, reti, stracci. Ad ogni passo un nuovo rifugio, un villaggio di baracche, di tende, di stracci. Di drogati. Quanti erano? Ferraro neppure riusciva a contarli. E non si capacitava.

Dall’altra parte, distante solo pochi quartieri, la Milano delle persone capaci di far girare i soldi, che fanno gli aperitivi con uno champagnino sulla terrazza della Triennale perché fa figo, che organizzano feste esclusive dove invitano le persone che contano e dove le ragazze sono considerate come pesci da razziare, come durante una pesca a strascico. Anche questa Milano fa notizia sulle pagine dei giornali di gossip, talvolta anche nei giornali che trattano di cronaca giudiziaria, infortuni del mestiere di chi bazzica di un mondo che si ritiene sopra e al di fuori della legge e che considera merce perfino il sesso

I corpi non si vendono. Punto. Il sesso è un dono, e se consensuale non può avere un prezzo. Il denaro e lo sterco del diavolo (questa era più veterocattolico, In effetti). Nella legge della domanda e dell'offerta non esiste l'equilibrio perfetto, c'è sempre qualcuno che sottomette l'altro. Il padrone. Chi ha i soldi. Chi ha il potere.

Ma si parla anche del rapporto tra padre e figli come Giulia, la figlia di Ferraro, molto più adulta e sveglia, determinata come la madre e forse col fiuto da sbirro preso dal padre.
E poi il rapporto dei figli come Michelino coi genitori, a cui non dedichiamo abbastanza tempo, presi come siamo dalle mille cose inutili che dobbiamo affrontare ogni giorno, finché non vieni sommerso dai ricordi quando è troppo tardi.

Buona lettura!

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