La puntata dedicata ai fenomeni migratori è cominciata con le parole di Mattarella: nel suo studio c’è un disegno, una vignetta di Makkox con un ragazzo immigrato morto nel tentativo di arrivare qui, che aveva cucito nella fodera la sua pagella. Il suo sogno era una vita migliore, la speranza di una vita migliore.
Presadiretta racconterà questa speranza dalla tolda di una nave che salva vita umane: la GeoBarents, adattata da Medici senza Frontiere per fare operazioni di salvataggio nel Mediterraneo.
In alto mare
La
squadra di Medici senza Frontiere è composta da un tema vario,
persone dedicate al salvataggio, medici, mediatori culturali,
psicologi: nel 2022 hanno salvato il 12% delle persone, nel 2023 i
soccorsi sono diminuiti per causa delle leggi del governo Meloni.
Il
giornalista di Presadiretta è stato addestrato per salire su un
gommone della squadra di soccorso: tutte le persone devono sapere
cosa fare nel mare, quando incontrano un barcone con dentro persone
in difficoltà, donne incinta, bambini.
In zona SAR libica opera
solo la GeoBarents, le altre navi sono state sequestrate per aver
violato le leggi italiane: un aereo della Sea Watch ha individuato un
barcone con migranti, ma l’autorizzazione ad intervenire non
arriva, perché nella zona è già intervenuta la guardia costiera
libica. I libici si riprendono a bordo i migranti, tutti i loro beni
sono lasciati sul barcone e dati alle fiamme: le telecamere della Sea
Watch hanno ripreso un respingimento di migranti, persone che sono
riportate in Libia per finire nuovamente nei lager. Tutto finanziato
dalle tasse degli italiani, un atto illegale che viola la convenzione
europea dei diritti dell’uomo.
Arriva poi una seconda
richiesta di soccorso: il gommone viene calato in mare e si muove
verso l’ultima posizione conosciuta del barcone dei migranti,
finché non li ritrova.
I migranti sono su un battello non
attrezzato per attraversare il mare, ci sono solo uomini che vengono
fatti salire sul gommone, sono 20 persone che vengono poi fatti
salire sulla GeoBarents, il primo luogo sicuro dopo giorni di
navigazione.
I medici visitano
queste persone, viene distribuito un kit con cibo e vestiario, viene
loro data la possibilità di fare una doccia: sono persone partite da
Bengasi tre giorni prima, ma il loro viaggio è partito dal
Bangladesh. Molti sono stati arrestati in Libia, hanno pagato
l’esercito per uscire, un intermediario si è fatto pagare migliaia
di dollari per arrivare in Italia.
La guardia costiere
da come porto assegnato Ancona, 600 miglia nautiche, tre giorni di
mare: significa poter salvare meno persone, significa che qualcuno
dei migranti non riuscirà ad attraversare il mare.
Sulla
banchina del porto sono presenti le forze dell’ordine, la croce
rossa, i pompieri:
i migranti salvati dovranno ora
attraversare nuove sfide per raggiungere la loro speranza di una vita
migliore.
Come mai nonostante
il decreto Cutro, il decreto Piantedosi siamo arrivati a 116 migranti
sbarcati sulle nostre coste?
Non è Ancona il porto più
lontano, per le ONG, c’è anche il porto di La Spezia tra quelli
indicati dalla Guardia Costiera: qui i migranti sono accolti da
strutture allestite all’ultimo momento da volontari. LA volontà
dell’amministrazione è di non spendere soldi per le strutture di
accoglienza, visto che non sono predisposte per questo – questo
dice il sindaco.
Meglio farli sbarcare nei porti del sud,
dunque?
Le ONG sono costretti a fare viaggi più lunghi e questo
comporta un costo economico per loro, oltre il costo umanitario per i
migranti: molti giuristi considerano questa pratica ai limiti della
legge, ma basta il solo buon senso per comprendere la disumanità del
decreto Piantedosi.
Quest’ultimo prevede anche fermi
amministrativi per violazioni delle leggi: le navi rimangono ferme
per giorni, senza poter effettuare salvataggi.
Come la Louiss
Michel, finanziata dall’artista Banksy, colpevole di aver fatto
salvataggi multipli: quattro barchini salvati, tutti indicati
dall’aereo di Frontex, con anche bambini.
Tutti i comandanti
delle navi hanno l’obbligo di salvare le persone, questa è la
legge del mare: ma il codice di comportamento ha come obiettivo di
svuotare il Mediterraneo dal pattugliamento delle Ong. Nessuno deve
vedere i migranti, nessuno deve salvarli, nessuno deve registrare i
respingimenti della guardia costiera libica.
C’è un buco in
mare, perché la Libia nella sua zona di responsabilità non è in
grado di gestire i salvataggi.
Una volta era
Lampedusa il porto dove si concentravano le ONG: ancora oggi
sull’isola continuano a sbarcare uomini, donne e bambini, caricati
dai militari verso gli hotspot sull’isola.
Qui dovrebbero
stare pochi giorni, ma alla fine qui le persone sono ammassate, la
struttura non è adatta per ospitare persone in difficoltà.
I
migranti sono trattati come detenuti, solo i volontari delle ONG
possono avvicinarli: a Presadiretta questi ragazzi spiegano che
queste persone muoiono perché non possono fare un viaggio
sicuro.
In studio era presente Matteo Villa dell’ISPI:
le ONG, racconta a Iacona, non attraggono i migranti, le persone non
partano perché ci sono le navi in mare (come ha sostenuto per anni
la destra). I dati raccolti dicono che le persone partono anche senza
le navi, tutto dipende dal mare, dalle condizioni del tempo, chi
parte dalla Libia ha alle spalle un viaggio stremante, ha
attraversato il deserto, non si fa fermare dalla presenza o meno
delle navi di soccorso.
Il servizio dalla Tunisia
La Tunisia è il
paese da cui arrivano la maggior parte dei migranti: come i migranti
partiti da un villaggio vicino Sfax, di cui però non si sa niente
oggi. Scomparsi in mare.
Erano partiti per scappare dalla
miseria e sono spariti: hanno pagato 1600 euro a testa questi
ragazzi, erano compagni di scuola, nel villaggio stanno cercando
disperatamente loro notizie.
Lhazar era un ragazzo partito dalla
Tunisia nel 2019: il suo corpo non è mai stato ritrovato, la madre
che era andata a cercarlo in Sicilia, ha visto il corpo da una
ripresa televisiva.
Come mai gli europei per venire in Tunisia
non devono presentare documenti mentre l’Europa respinge i visti
dei tunisini? - questo si chiede oggi la madre – La Tunisia sta
mandando i propri figli a morire.
I governi stranieri, tra cui l’Italia, hanno regalato motovedette per pattugliare il mare, ovvero per respingere i migranti, tenerli lontani dalle nostre coste: da gennaio ad agosto sono morti in mare 2300 migranti che cercavano dalla Tunisia di arrivare in Europa, ma sono numeri sottostimati, molti barchini, costruiti in fretta e furia, sono affondati senza che nessuno se ne sia accorto.
Il sud del paese è diventato un enorme cimitero: a Zarzis un pescatore ha seppellito i migranti morti sulla spiaggia, sulle lapidi c’è scritto solo sesso e data del ritrovamento.
Tunisia al collasso
Questa emigrazione
sta spopolando le città della Tunisia: se ne vanno soprattutto
giovani dal paese, col rischio che il paese perda le forze
migliori.
Zarzis è una di queste città povere che sta perdendo
i suoi giovani. Più a sud ci sono paese che campano di mercato nero,
mercato di merce illegale, unica fonte di reddito.
Qui, nel sud
del paese, c’è la Tunisia più povera: le persone fanno fatica a
fare la spesa, i beni primari sono rincarati, il pesce è diventato
un bene di lusso.
La Tunisia sta
attraversando una crisi spaventosa che tocca quasi tutte le classi
sociali – racconta alla trasmissione l’economista Layla Rihai, il
paese ha un enorme problema di debito, solo per le sovvenzioni sui
beni di prima necessità lo Stato spende 2 miliardi di euro, il 6%
del PIL.
Questa economista fa parte della Piattaforma delle
alternative, ha studiato l’economia del suo paese per cercare
soluzioni per la crisi: una di queste è alzare i salari, il salario
medio in Tunisia è di circa 432 dinari, circa 135 euro e la moneta
del paese ha raggiunto una svalutazione forte nei confronti delle
monete forti e a pagare di più sono ovviamente i giovani e le donne
che vivono questa depressione economica sulla loro pelle e non hanno
più speranza.
Il debito pubblico
ha superato i 36 miliardi di dollari e la crescita non è salita a
valori pre pandemia, tutti i settori economici sono in crisi.
La
rivoluzione del 2011 aveva cacciato Ben Alì, l’onda di proteste si
era allargata in tutto il nord Africa e in Oriente.
Ma oggi
tutte le vittorie sono state perse dalle riforme del nuovo presidente
Saied: il governo arresta giornalisti che fanno servizi critici
contro la politica del paese.
Si usano le leggi contro il
terrorismo (e le leggi contro la fake news) per bloccare i
giornalisti liberi e critici: se critici il governo rischi il
carcere.
Servirebbe una nuova rivoluzione, ma l’Europa
ha trattato col presidente Saied senza preoccuparsi delle violazioni
dei diritti in questo paese: pur di contenere il flusso dei migranti
l’Europa e l’Italia hanno firmato un partenariato con la Tunisia,
dando loro milioni di euro di crediti.
L’Europa non dovrebbe
tratta con un uomo autoritario, che ha aizzato il popolo tunisino
contro i migranti, che parla di sostituzione etnica come un Hitler
qualsiasi. Nella città di Sfax hanno abbandonato i migranti nel
deserto al confine con la Libia: la foto della madre morta accanto
alla figlia ha fatto il giro del mondo, ma senza suscitare reazioni
nelle coscienze del governo italiano (e nei vertici europei).
I ragazzi in Tunisia cercano solo di andar via dal paese, anche a costo della loro vita.
Complimenti ad Elena Stramentinoli per il servizio.
La crisi economica
ha un ruolo fondamentale dietro queste migrazioni – ha commentato
Matteo Villa: le persone non hanno soldi per vivere, a questo si
aggiungono anche le parole del presidente Sayed, sulle persone che
arrivano dalle aree sub-sahariane e che ora stanno andandosene via
perché lì non possono stare.
Oggi, nonostante gli accordi
firmati 8 settimane fa, il numero di sbarchi dalla Tunisia è in
crescita: in realtà Sayed non ha alcuna forza in alcune zone del
paese, dove il business dei migranti con le barche di ferro è
l’unica forma di reddito.
Maria Grazia Fiorani,
giornalista del TG3, ha raccontato il disastro causato dal terremoto
in Marocco: Marrakech sta cercando di rialzarsi, ma sull’altipiano
dell’Atlante ci sono villaggi completamente distrutti, sbriciolati
dalle scosse dove le persone vivono per strada da tre giorni e non
vogliono abbandonare questi posti, perché qui è dove sono vissuti
da generazioni.
Ci sono villaggi ancora non raggiunti dai
soccorsi, per questo molte persone sono scese dalle montagne per
protestare: questo è stato il terremoto dei poveri – si è detto –
perché sono state le persone più deboli quelle che hanno pagato il
prezzo più alto.
L’Europa non ha
una politica migratoria comune e dopo questi anni non si è andati
oltre l’accordo di Dublino: la distribuzione dei migranti, a
prescindere dalle leggi, avviene comunque, perché i migranti
dall’Italia passano e se ne vanno al nord.
Questo governo ha
approvato un decreto flussi per la prima volta che guardava al futuro
e che vale per 500mila persone.
Il sindaco di Prati,
del PD, è responsabile dei migranti per l’Anci: a Presadiretta
racconta che l’immigrazione sta causando grandi problemi ai sindaci
di tutta Italia.
Il problema è del governo, non può il governo
scaricare i problemi sui sindaci: le prefetture chiamano i sindaci e
dicono, o trovare spazio oppure creiamo una tendostruttura, racconta
il sindaco di Noventa Padovana.
LA protesta dei sindaci è così forte per cui molti sindaci si rifiutano di realizzare strutture per migranti: lo dice il sindaco di Gorizia, porta di ingresso in Italia della rotta balcanica, qui non hanno più posto per i migranti.
Anche Trieste è al
collasso, nella stazione sono accampati molti migranti fermi qui da
mesi: sono tutti richiedenti asilo abbandonati qui da mesi e che
dovrebbero essere inseriti nella rete di accoglienza.
A Trieste
ci sono solo volontari che gestiscono queste persone: in assenza
dello Stato, i migranti vivono in strutture abbandonate, dormono per
terra.
Arrivano dal
Pakistan e Afghanistan, chiedono un posto dove stare, del cibo: ma il
sindaco di Trieste non ne vuole sentir parlare di “accoglienza
diffusa”, meglio pochi hotspot ben strutturati, facendo anche il
paragone agghiacciante col termovalorizzatore.
Il governo
continua a mandare migranti nelle città dove sono presenti migranti:
non solo il decreto Cutro ha tagliato alcune garanzie come la
protezione speciale, trasformando migranti che erano già qui in
clandestini. Se non riesci a dimostrare che la tua malattia, che ti
impedisce di lavorare, non può essere curata nel paese d’origine,
diventi irregolare: questo dice il decreto Cutro, fabbrica di
clandestini, di schiavi, di persone che privati dei loro diritti
vanno alla mercé della delinquenza.
Le rimesse dei migranti dal Senegal – rimesse per la vita
I migranti che lavorano da noi con le loro rimesse tengono in piedi l’economia dei loro paesi di provenienza: funzionano più le rimesse che i grandi e pompati progetti di cooperazione.
Presadiretta ha raccontato le storie dei ragazzi arrivati qui dal Senegal, come Ibrahima, che vive a Pisa da più di venti anni, lavora in una officina per bici. Oggi è regolarizzato, ma per anni ha fatto di tutto, anche il venditore ambulante: tutta la sua famiglia vive in Senegal in una casa costruita coi suoi risparmi, manda ogni mese 400 euro almeno.
Le famiglie vivono
con le rimesse dall’Italia, da 300 a 500 euro ogni mese: sono 200
mila i senegalesi in Italia, l’anno scorso hanno inviato ai
parenti in Senegal 438 milioni di euro dei loro risparmi, in media
4mila euro l’anno, tre volte lo stipendio medio annuale del
Senegal.
Il valore delle rimesse verso l’Africa bilancia il
flusso inverso, delle persone che dall’Africa arrivano in Europa: i
risparmi dei migranti battono gli aiuti per lo sviluppo da 3 a 1, ben
più importanti dell’elemosina che i paesi civili fanno ai paesi
africani.
Grazie a queste rimesse, grazie agli aiuti inviati dai migranti come Ibrahima, si costruiscono ospedali con tutte le attrezzature necessarie, con ambulanze, defibrillatori, medicinali, coi soldi si realizzano progetti come quelli della raccolta rifiuti, la distribuzione dell’acqua nelle strade dei villaggi. Sono progetti che nascono, posti di lavoro che si creano. Benessere. Tutto grazie alle rimesse e allo spirito imprenditoriale dei migranti.
Questo spiega i
tassi di crescita del Senegal, rispetto ad altri paesi: giusto per
dare i numeri, l’anno scorso le rimesse degli emigrati segenalesi
che lavorano all’estero sono arrivate alla cifra record di 2,71
miliardi di dollari, quasi il 10% del pil dell’intero Senegal. A
livello globale sono 800 miliardi di dollari le rimesse che gli
immigrati inviano nei propri Paesi, il triplo di quanto si spende in
aiuti allo sviluppo.
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