Prefazione di Benedetta Tobagi
«Follow the money», segui il denaro, era la raccomandazione del giudice Falcone per condurre le indagini su Cosa nostra nel modo più efficace come bussola per addentrarsi nel labirinto dello stragismo, Paolo Biondani ha la felice intuizione di mettersi sulle tracce di qualcosa di altrettanto concreto: i depositi di armi e di esplosivi.
Dalle soffitte di Castelfranco Veneto [il deposito delle armi di Ventura, esponente di Ordine Nuovo, tra i responsabili della strage di Milano, assolto nei processi] a quelle in Toscana [come il deposito nell’appartamento del capocentro del Sid Mannucci Benincasa], ai loculi interrati – e violati – dei cosidetti «Nasco»di Gladio in Friuli, ricostruisce la trama fitta e talvolta sorprendente che segue in filigrana quella dei cosiddetti «misteri d’Italia», che poi misteri non sono affatto.
Un libro prezioso,
questo La ragazza di Gladio del giornalista Paolo Biondani, per
comprendere quella parte della nostra storia che viene generalmente
racchiusa nella definizione “anni di piombo”, il periodo che va
dalla strage di Milano del 12 dicembre 1969 e che arriva fino al
dicembre del 1984 con la bomba fatta esplodere sul rapido 904, la
“strage di Natale”. Gli anni delle delle bombe fatte esplodere
nelle piazze, come a Brescia il 28 maggio 1974, nelle stazioni, come
a Bologna il 2 agosto 1980, sui treni come a Gioia Tauro, sul treno
Italicus. Attentati caratterizzati da fattori comuni: prima di tutto
i depistaggi organizzati da uomini dello stato (dai servizi militari,
dagli stessi investigatori) che hanno reso difficile l’individuazione
dei responsabili e arrivare a sentenze di condanna. Poi quella che
viene considerata la matrice: sono tutti attentati realizzati da
estremisti di destra, di quell’arcipelago nero a destra (e
contigui) al Movimento Sociale, con l’obiettivo di creare terrore,
alzare il livello di tensione in un paese che, a fine anni sessanta,
voleva togliersi di dosso finalmente tutto il vecchiume che arrivava
dal regime fascista. Sono gli anni in cui si saldano le proteste
degli operai per l’autunno caldo con quelle degli studenti. Sono
gli anni in cui si teorizza l’uso delle operazioni coperte,
operazioni sporche, per ostacolare l’avanzata delle sinistre, per
bloccare il baricentro politico di questo paese attorno al polo di
centro destra, col partito della Democrazia Cristiana bloccato al
governo. Tutto questo è stato tradotto, prendendo a prestito una
formula usata da un quotidiano inglese nei giorni successivi la
strage di Milano come “strategia della tensione”: infiltrarsi nei
gruppo di protesta della sinistra, alzare il livello dello scontro,
organizzare attentati da far addossare alle sinistre, agli anarchici.
Paolo Biondani ha avuto il pregio, in questo romanzo, di
raccontare tutto questo usando un linguaggio comprensibile e chiaro,
non sono presenti citazioni da atti della magistratura, se non
indispensabili al racconto ma, come spiega l’autore nel primo
capitolo, qui dentro troverete atti e ricostruzioni che sono state
ritenute vere dai giudici
Premessa Questo non è un romanzo. È un libro che racconta solo fatti certi, documentati e comprovati da sentenze inoppugnabili.E le sentenze, a saperle leggere, mettendole assieme cercando di legarle assieme seguendo un unico filo, parlano: “non è vero che le stragi sono un mistero. C’è un minimo di verità giudiziaria che i cittadini hanno diritto di conoscere”.
Vi assicuro che è assolutamente così: smettiamo di parlare di misteri d’Italia, è vero che non sappiamo ancora tutto sui responsabili delle stragi (a livello politico, intendo, ma poi ci arriveremo), ma sappiamo già molto e tutto questo ci è di aiuto per comprendere la nostra storia di ieri.
E, come spiegherà l’autore negli ultimi due capitoli, anche la storia di oggi, dove troviamo al governo gli eredi di quel partito fondato nel 1946 da ex repubblichini di Salò.
Biondani ha la felice intuizione di raccontare tutto questo seguendo due tracce abbastanza inedite: la prima è la testimonianza importante di una ragazza che è stata testimone dei preparativi della strage di Brescia del 1974. La seconda è la storia dei depositi delle armi, i Nasco, ad uso della rete di Gladio, la struttura italiana della rete Stay Behind, concepita in ambito Nato a fine anni 50, che doveva attivarsi in caso di invasione dell’esercito del patto di Varsavia.
La ragazza di Gladio
«la ragazza di Gladio» del titolo è una testimone chiave di un nuovo processo sulla strage di Brescia che si è aperto nel 2024.
Stiamo
parlando della fidanzata di Silvio Ferrari, il ragazzo morto
mentre preparava un attentato, forse addirittura ucciso dai suoi
camerati, era un esponente di Ordine Nuovo (la formazione politica
nata da una scissione del Movimento Sociale), che non si fidavano più
di lui.
Ai magistrati di Brescia, che oggi stanno celebrando il
processo su altri responsabili della strage di Piazza della Loggia e
sui livelli superiori ha raccontato una verità incredibile: gli
incontri tra questi neofascisti e uomini dello stato in una caserma
dei carabinieri a Verona. Incontri in cui esponenti di ordine nuovo e
carabinieri, tra cui il capo centro del sid di Verona e il capitano
Delfino, parlavano di bombe, di attentati, di violenza.
Tutto
il racconto fatto dalla ragazza è stato riscontrato dai magistrati,
compresi gli incontri fatti da questi ragazzi appena maggiorenni
nella base Nato di Verona dove venivano accolti, oltre che dal
capitano Delfino, da un ufficiale americano. Le parole della ragazza
di Gladio cambiano completamente il racconto fatto fino ad oggi delle
stragi: i fascisti vengono relegati a mera manovalanza, forse
qualcuno di loro veramente pensava che si sarebbe arrivato ad una
dittatura in Italia, come in Grecia. Ma erano solo pedine nelle mani
di pupari ben più abili: alzando lo sguardo verso i livelli più
alti, possiamo includere tra i manovratori di questa strategia
terroristica ed eversiva pezzi dei servizi, ufficiali Nato e
ufficiali dello Stato Maggiore fino ad arrivare ai referenti politici
e a quegli imprenditori che li finanziavano.
Tutti questi
avrebbero dovuti essere
portati a processo per le loro colpe, a partire dagli ufficiali
del Sid e poi del Sismi che erano venuti a conoscenza delle stragi,
per esempio grazie a quanto raccontava loro Maurizio Tramonte, la
fonte Tritone, ma vale lo stesso per Bologna, per Peteano, per i
presunti assassini “spontaneisti” dei Nar (l’intelligence
dell’esercito sapeva del furto di bombe a mano di Fioravanti, armi
usate in successivi attentati). Informazioni mai condivise con
l’autorità giudiziaria.
Ma sarebbe alquanto difficile: non siamo riusciti a condannare tutti i fascisti responsabili di quelle bombe allora, figuriamoci cosa potremmo fare oggi dove molti dei protagonisti di queste vicende o sono molto anziani o sono morti.
Nemmeno il colonnello Amos Spiazzi, reo confesso dell’essere appartenuto ad una struttura segreta che organizzava attività illegali anticomuniste: su di lui scrive Biondani “ci vogliono giudici veramente eccezionali per assolvere uno che ha confessato”.
Dovremmo
allora avere il coraggio di riscrivere la nostra storia recente, ma
non nel senso innocentista come vorrebbe l’attuale maggioranza di
destra, ma iniziare veramente a raccontare al paese, non solo alle
vittime delle stragi, del doppio stato, della doppia fedeltà di
molti uomini delle istituzioni, dei tanti compromessi che abbiamo
accettati in nome di Yalta, del mondo diviso in blocchi, della
ragione di stato.
I
Nasco – violati – di Gladio
I Nasco dovevano essere strutture
nascoste dove nascondere armi ed esplosivi, tenuti in involucri
sigillati, da usare in caso di invasione dall’altro fronte del
blocco.
Chi avrebbe dovuto usare queste armi erano militari e
civili dentro Gladio, la struttura italiana della rete Stay Behind,
una struttura così nascosta da non essere rivelata nemmeno a tutti i
presidenti del Consiglio.
Gli italiani ne sono venuti a
conoscenza dopo che il presidente Andreotti ne diede notizia , in due
comunicazioni alla commissione stragi e alle camere, nel 1990 (dopo
il crollo del muro): ma a
costringere l’allora presidente a parlare di Gladio furono le
inchieste di Venezia che finalmente avevano portato a galla una
verità diversa. Gladio era una struttura a due volti: c’era un
volto ufficiale, sebbene tenuto nascosto, ma c’era anche un volto
segreto e molto più pericoloso.
I gladiatori e, soprattutto, i
depositi di armi, furono usati nelle operazioni sporche durante la
“strategia della tensione”: come racconta Biondani, molti Nasco
furono violati da mani ignote che prelevarono parti di micce ed
esplosivi poi usati in attentati.
Dopo che, casualmente, uno di
questi arsenali venne scoperto, ad Aurisina, i servizi iniziarono a
trasferire le armi nei depositi delle caserme dei carabinieri o in
case di civili: sono quei famosi depositi di armi militari scoperti a
volte casualmente a volte nel corso di indagini, in cui i proprietari
si sono difesi sostenendo di essere collezionisti. E arrivando
perfino ad essere creduti dalle corti.
La
bomba che uccise i tre carabinieri a Peteano, nel 1972, era stata
innescata da un accenditore a strappo, proveniente proprio da un
Nasco di Gladio, come racconta l’allora giudice Felice Casson: «Per
la bomba di Peteano i terroristi di Ordine nuovo hanno usato un
innesco uscito illegalmente da un arsenale di Gladio»..
La
strage di Peteano ci è utile per chiarire tutto il disegno:
carabinieri erano i tre morti, come carabinieri erano gli ufficiali
che hanno depistato le indagini
Dal processo emerge che gli ufficiali erano stati manovrati da un generale molto potente e molto reazionario, Giovanni Battista Palumbo [..] una quinta colonna della P2 all’interno dell’Arma.Ma c’è di peggio: la macchina saltata in aria a Peteano era stata colpita da proiettili sparati da una calibro 22. Quella pistola, hanno ricostruito le indagini, porta direttamente a due ordinovisti: il primo si chiama Vincenzo Vinciguerra, dopo anni da latitante ha deciso di consegnarsi allo stato per raccontare delle trame nere di Ordine Nuovo, orchestrate dalla P2 di Licio Gelli.
L’altro ordinovista si chiama Carlo Cicuttini ed era segretario del movimento sociale, che lo aiutò ad espatriare e sfuggire dalla giustizia.
Ma
ancora meglio, per raccontare in filigrana queste trame, meno oscure
di quanto si pensi, è la bomba alla stazione di Bologna: in questa
storia troviamo tutti i protagonisti negativi questa storia, dai
terroristi neri, i finti spontaneisti neri dei Nar, Mambro e
Fioravanti, e la loggia P2 di Gelli, che a fine anni settanta
controllava un pezzo dell’editoria, parte della finanza, i vertici
dei servizi e delle forze armate. Le ultime indagini, nate in
questi anni dalla scoperta del documento Bologna sequestrato a Gelli
in Svizzera e rimasto colpevolmente nel cassetto per anni, gettano
una nuova luce sugli organizzatori della strage (perché su chi ha
messo la bomba dubbi non ce ne sono):
Perché Licio Gelli, che nel 1980 aveva in mano tutti i servizi segreti, si espone personalmente per fermare le indagini sui giovani spontaneisti armati romani? La spiegazione secondo i magistrati della procura generale di Bologna è chiara: perché era stato proprio il capo della P2 pianificare la strage e a pagare quei terroristi.Gelli ha finanziato i Nar sin dal 1979 per questa strage, per depistare le indagini ha coinvolto direttamente i suoi referenti nel Sismi (e bloccato le indagini del Sisde, il servizio interno appena nato), orchestrando per tramite del giornalista Tedeschi una campagna stampa a sostegno della pista straniera, quella che oggi chiameremo fake news.
Ma di fake news, di despistaggi, è piena la nostra storia: dalla finta pista anarchica costruita dall’ufficio affari riservati per piazza Fontana, alla finta pista che incolpava i fratelli Papa per la bomba di Brescia, per arrivare al finto anarchico Bertoli per la bomba alla questura di Milano. Fino ad arrivare al finto pentito Scarantino, costruito e istruito dalla squadra di La Barbera per spostare le indagini sulla strage di via D’Amelio, dove fu ucciso il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.
Ma cosa c’entrano le stragi di mafia con le stragi fasciste degli anni di piombo?
La responsabilità politica di quelle stragi - oggi
Se i primi capitoli sono preziosi perché aiutano a comprendere i fatti, le stragi che hanno insanguinato l’Italia tra il 1969 e il 1984, altrettanto importanti sono gli ultimi capitoli, per un duplice motivo: prima di tutto perché raccontano parti della nostra storia sufficientemente recente, che non abbiamo ancora del tutto dimenticato.
Parlo delle stragi
di mafia avvenute tra il 1992 e il 1993, la morte dei giudici Falcone
e Borsellino, le bombe che colpirono i luoghi d’arte, l’essere
arrivati ad un passo da un colpo di stato.
La nascita della
seconda repubblica.
Il secondo motivo è
perché si parla della responsabilità politica di quanto successo in
Italia: oggi in Italia siamo abituati a contestare le sentenze della
magistratura (cosa legittima, se si contesta partendo da motivazioni
oggettive), figuriamo se a livello politico c’è la volontà di
assumersi delle responsabilità politiche, specie su fatti
particolarmente infamanti.
Ma ancora una volta sono i fatti a
parlare: oggi si parla di stragi fasciste, delegando le colpe ai
soli esponenti di ordine nuovo, come se questo fosse un movimento a
sé stante.
Scrive Biondani:
..le stesse sentenze definitive fanno notare che ordine nuovo non era un'organizzazione occulta era una corrente del movimento sociale Italiano. Le brigate Rosse, prima linea e le altre bande criminali terroristi di sinistra erano gruppi armati clandestini che agivano segretamente fuori e contro tutti i partiti rappresentanti in Parlamento a cominciare dal PC di Berlinguer, che loro accusavano di aver tradito il comunismo.Nel libro vengono citate le storie del senatore Abbatangelo, coinvolto nell’inchiesta sulla strage del rapido 904, di Carlo Cicuttini per Peteano, di Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi, quest’ultimo dirigente del MSI fino al 1973.
Il terrorismo nero invece è nato dentro il partito ufficiale della destra italiana. I suoi leader migliori [Almirante] se ne sono resi conto purtroppo solo tra il 1973 e il 1974 dopo cinque anni di bombe sui treni e nelle piazze e i loro eredi non ne parlano.
Non è un anno casuale, il 1973, è l’anno dove a Milano, in un corteo del movimento sociale viene lanciata una bomba a mano contro un agente di polizia, Antonio Marino, che muore per l’esplosione. I militanti missini avevano pronte delle finte tessere del pci, che sarebbero servite per addossare le colpe alla sinistra.
La verità giudiziaria sulle stragi in Italia ricostruita in tutte le sentenze più importanti è la storia della corrente di un partito. Ordine nuovo nasce nei primi anni cinquanta come ala di estrema destra del movimento sociale Italiano.
Il famoso album di famiglia andrebbe sfogliato anche a destra dunque: finché non lo faremo, continuerà a mancare un pezzo di verità al racconto della nostra storia. Un pezzo di verità che le istituzioni di questo paese, di qualunque colore, devono avere il coraggio di andare a ricercare e raccontare e questo vale per la bomba scoppiata in piazza della Loggia fino alle bombe che sono scoppiate nel nostro paese nel biennio dello stragismo mafioso 1992-93: tante analogie le legano le une alle altre, troppe.
La campagna di attentati sanguinari che ha colpito le nostre città tra la fine del 1992 e l'inizio del 1994, nei mesi che hanno cambiato il sistema di potere in Italia, nascondeva una nuova strategia della tensione.
In questa trama c'è un disegno di stampo terroristico, sicuramente organizzato ed eseguito dai boss di cosa nostra. Ma probabilmente non è solo mafia.
Altri articoli sul libro
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- La ragazza di Gladio - le coperture dello Stato ai fascisti
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- La ragazza di Gladio - la strage di Bologna, la manovalanza di destra, Gelli, P2 e i servizi
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