30 marzo 2020

Le inchieste di Report - speciale coronavirus


Il mondo è immobilizzato dal #coronavirus, ma era tutto così imprevedibile? Ed eravamo pronti ad affrontare una pandemia?

La prima puntata di Report del 2020 sarà completamente dedicata al Coronavirus, cercando di mettere da parte gli aspetti emotivi (il numero di morti, la narrazione degli eroi) per andare più a fondo su alcuni aspetti di questa pandemia che meritano attenzione.
Come è nata?
Cosa stiamo facendo perché non ci sia più un'altra pandemia aggressiva e pericolosa come questa?
Come la stiamo affrontando ora (con che strumenti, secondo quali protocolli)?
Chi e perché ha sbagliato nell'affrontare questa pandemia?
Di seguito alcune anticipazioni che trovate sui canali social della trasmissione.

Tra le persone intervistate, il divulgatore scientifico David Quammen, autore di Spillover un saggio uscito anni fa che è tornato in cima alle vendite proprio per la pandemia, dove si parla di cacciatori di virus.
Quammen ha spiegato come i coronavirus fossero considerati un pericolo da quasi vent'anni, e molti paesi non hanno fatto abbastanza per prevenire la pandemia.
Giulio Valesini è il giornalista che lo ha intervistato: come ha fatto ad anticipare quello che sarebbe successo?
Lavorando a stretto contatto coi ricercatori in tutto il mondo - ha risposto: "con loro mi sono calato nelle caverne in Cina, alla ricerca di pipistrelli, cercando gli animali che portano i nuovi virus, li catturano, li analizzano e gli prendono il sangue".
"Uno di questi ricercatori ha detto dobbiamo stare attenti, il prossimo big one, sarà probabilmente un virus proveniente da un animale selvatico, altamente capace di adattarsi, come il Coronavirus e passerà da animali selvatici a umani, probabilmente in un mercato di animali selvatici vivi in Cina, se attecchisce sarà particolarmente pericoloso, se il contagio avviene tra asintomatici".
Cosa rende le pandemie, che sono sempre esistite, oggi più pericolose?
"Primo, le pandemie tendono ad essere di origine virale non batterica. Secondo viaggiano per il mondo sempre più velocemente, un virus può viaggiare dalla Cina a Roma in quindici ore. Poi viviamo in città sempre più affollate, 7,7 miliardi di umani vivono in grandi città. Questo rende le pandemie peggiori".
Chi poteva intervenire in anticipo e non l'ha fatto?
"Gli scienziati sapevano da ben diciassette anni, dall'epidemia della Sars, che i coronavirus possono essere molto pericolosi; i dirigenti della sanità pubblica sapevano che era fondamentale la preparazione, sapevano già che avevamo bisogno di diagnostica veloce, di test validi, mascherine, guanti, ventilatori, letti in isolamento, capienza ospedaliera. Chi non lo sapeva? Chi non era preparato? I politici."

Cosa può fare il mondo per evitare, per prevenire queste crisi pandemiche?
Terremo sotto controllo il Covid-19 e lo faremo.Ricordiamoci che non sarà l'ultima, la Covid-19, ce ne saranno altre, quello che dobbiamo fare è essere pronti, capire cosa sta succedendo, prima di tutto ad individuare il virus, contenerlo, controllarlo, identificarlo e preparare tutta le gente nel mondo al fatto che potrebbe spostarsi su un aereo.Dovremmo fare il controllo delle temperature in aeroporto, sviluppare strumenti diagnostici più veloci ed efficaci, dovremmo prepararci con più posti in ospedale e strutture di emergenza per prendere in carico pazienti in eccesso quando c'è una pandemia. Perché ce ne sarà un'altra.”


Il contagio potrebbe essere avvenuto in un mercato all'aperto, dove i pipistrelli sono esposti, dall'animale al paziente zero.
Sono chiamati wet market, mercati umidi, dove si macella sul posto, perché nella maggior parte dei mercati non hanno i frigoriferi per tenere la carne.
Per cui se devo vendere un pezzo di carne, lo devo vendere da vivo: in questi mercati - racconta il servizio - i cinesi macellano a mani nude e qundi si imbrattano continuamente di sangue.

Al Campus Biomedico hanno studiato il virus, sono riusciti a datare la mutazione dal pipistrello all'uomo, il paziente zero, qui Report ha intervista l'epidemiologo Massimo Ciccozzi che ha spiegato "se tu hai il genoma completo, sulla base del numero di mutazioni a livello temporale posso anche andare indietro e datare esattamente l'inizio di una epidemia".
Al Campus Biomedico risulta dunque che l'epidemia sia iniziata a metà novembre: questo virus era dentro il pipistrello, ma ha fatto anche altre due mutazioni che sono state studiate.
Queste due proteine che hanno studiato, che sono proteine strutturali, una destabilizza e l'altra stabilizza il virus: questo spiega il medico, ci fa capire come il virus sia molto più contagioso della Sars del 2002. Ci ha messo anni per fare una mutazione come questa.
Dai tre pipistrelli originari, si può risalire a tutta l'epidemia del ceppo di coronavirus.
La mutazione - ha proseguito - gli ha fatto riconoscere un recettore delle basse/alte vie respiratorie, Ace 2, e questo recettore noi ce l'abbiamo per tanti motivi, ipertensione per esempio.
Il virus prende questo recettore, si aggancia, si fondono le membrane e così il virus entra e comincia a parassitare la cellula.


Claudia Di Pasquale ha intervistato un operatore del 118, le prime linee nella lotta al virus: quando devono muoversi per andare a visitare un sospetto, come si vestono?
Secondo il protocollo ci vestiamo con una mascherina e una tuta fornita dall'azienda che ha il servizio del 118 in appalto(non l'ASL).
Vinicio Amici è segretario di Latina della confederazione A.I.L.: ha spiegato alla giornalista come le tute plastificate, dove non filtra nulla.
Ma sono tute non a norma ha contestato la giornalista : “a noi queste ci forniscono, per questo siamo in mobilitazione con la regione” la risposta dell'operatore.
Il problema è che se non interviene la regione Lazio o ARES, nelle prossime settimane queste aziende del 118 andranno in default, perché mancano dei DPI (i dispositivi) per gli operatori.
Nella circolare ministeriale del 23 febbraio 2020 indica quali sono i dispositivi che devono indossare gli operatori: maschere con filtro ffp2, protezione facciale, tuta protettiva, doppi guanti non sterili, protezione per gli occhi..
Mario Balzanelli è presidente nazionale del Sis 118, la consulta dei dirigenti responsabili del servizio 118: le tute da usare devono essere identificate da un simbolo internazionale e da una certificazione, deve coprire anche i piedi, altrimenti sono necessari i calzari.
Peccato però che poi ognuno faccia di testa sua: alla centrale operativa del 118 di Benevento gli operatori indossano le tute ma non i calzari, “abbiamo tutti le scarpe infortunistiche certificate CEE”.
Ma non la pensano così i medici del 118 di Benevento che hanno inventato un escamotage, al posto dei calzari indossano dei sacchetti di plastica.
Lo racconta Emilio Tazza, medico e sindacalista del 118: ha raccontato alla giornalista la denuncia dei sindacati su un caso di un paziente trasferito in una struttura senza che gli operatori avessero tutti i dispositivi, “avevano solo il camice della sala operatoria .. il nostro responsabile sosteneva che le tute non ci spettavano, sebbene ci fosse una circolare che le prevedesse esplicitamente”.
La tuta è poi arrivata in dotazione a Benevento, ma leggendo le sue specifiche, protegge solo da polvere e schizzi liquidi e non da agenti infettivi, in quanto manca la certificazione EN14126.
Solo dopo le proteste degli operatori sono arrivate le tute a norma.

E' stato fatto un corso di formazione agli operatori per dirgli come vestirsi e svestirsi?
Nemmeno questo, nemmeno agli infermieri, agli autisti dei mezzi, che dipendono dalla società Misericordia d'Italia: anche a loro inizialmente non erano state date tute idonee, nemmeno dispositivi per sanificare le ambulanze.
Le tute fornite per le persone che lavorano al primo soccorso erano buone per l'industria alimentare, ma l'ASL di Benevento le ha dichiarate idonee.
“Nelle guerre c'è una trincea e delle truppe che stanno al fronte: noi medici del 118, gli infermieri, gli autisti, sono in questa trincea” l'amara conclusione del medico Emilio Tazza.

Altro personale in trincea, non solo oggi, è quello dei vigili del fuoco: che tutele hanno ha chiesto la giornalista Rosamaria Aquino ?
Anche da qui arrivano notizie allarmanti, su 35 tamponi fatti, sette sono positivi, al comando di Padova: “credo che il comando sia altamente compromesso” racconta un vigile in un messaggio.
A Bresso è stata soccorsa una persona con dei sintomi e tutta l'autopompa è stata messa in quarantena.
Altri casi sono stati riportati: vigili con dei sintomi da virus a cui non è stato fatto il tampone e che sono rimasti in contatto coi colleghi per giorni.
A cui sono arrivate poche informazioni dai comandi sui contagi: oggi i turni sono stati ridotti per la paura di contagiarsi a vicenda e così i vigili si sono affidati ai social con un messaggio, “attenzione il contagio possiamo essere noi”.
Uno dei colleghi contagiati ha raccontato cosa sta succedendo in forma anonima, poco prima di essere ricoverato: “il collega che è stato il primo caso fa parte della mia stessa squadra, il ragazzo è stato messo in quarantena in una stanza, per 24 ore, gli hanno fatto fare un primo tampone, è risultato positivo ma dopo l'hanno fatto rientrare in servizio”.
La persona intervistata è stata in contatto con questa persona fino a venerdì, poi sabato si è ammalata.
Si doveva fare il tampone a tutta la squadra e mettere tutti in quarantena per settimane.

Giovanna Boursier è andata a Bergamo, al Policlinico San Marco dove ha intervistato il primario Matteo Giacomini: “il 23 febbraio è stato il giorno in cui abbiamo visto i primi malati, quello che ci ha messo in difficoltà è stata la mole di pazienti, io personalmente all'inizio ero spaventato dal ritmo con cui arrivavano... Avevamo il pronto soccorso pieno, erano pieni i reparti. L'idea non era di non farcela, ma di non avere il tempo per farcela ”.
Quindi è stata sottovalutata questa questione?
“Io penso che non era immaginabile che arrivassero 30 pazienti al giorno per insufficienza respiratoria”.
Tra di voi ci sono medici ammalati?
“Tra di noi c'è un collega ammalato ma grazie a Dio sta facendo il decorso a casa, qualcuno è stato intubato, qualcuno dei nostri colleghi è morto..”
Avete le attrezzature, come siete tutelati?
“Devo dire che qua le cose c'erano e c'erano per tutti.”
Quanti tamponi sono stati fatti da voi?
“Su un totale di 406 pazienti trattati, almeno seicento tamponi li abbiamo fatti, se non di più.”
Come se lo spiega, se può e se vuole, il caso Bergamo?
“Se fosse stata dichiarata subito zona rossa l'avremmo vissuta magari più facilmente, se fosse stata chiusa immediatamente. Anche in base all'esperienza dei colleghi che erano a Lodi e Codogno.”
“Come me la spiego [la situazione a Bergamo]? E' una zona ad alta densità, molto popolata, una grande socialità, sono paesi che vivono di una grande socialità.”
Errori ne sono stati fatti in questa vicenda?
“Secondo me, quello che non ha funzionato è che all'inizio la gente non ci ha creduto, non pensava che fosse una cosa così seria. Questo è l'errore grave: ancora adesso è difficile convincere la gente.”

Chiara De Luca ha intervistato Nino Cartabelotta, presidente della fondazione GIMBE: nell'intervista si è toccato il tema dei tagli alla sanità avvenuto in questi anni (tagli tenendo conto dell'aumento del costo della vita, non in termini assoluti di spesa).
“All'appello mancano 37 miliardi tagliati per esigenze di finanza pubblica”: tagli iniziati col governo Berlusconi nel 2010 e 2011, poi hanno fatto parte della spending review del governo Monti fino alla legge di stabilità del 2013.
Dal 2015 al 2019 sono avvenuti una serie di interventi che non si possono definire alla lettera tagli, ma sono dei mancati incrementi rispetto a quanto era stato promesso alla sanità pubblica, circa 12 miliardi.
Come si è detto, il ministero della Salute sostiene che in termini assoluti la spesa è cresciuta quasi costantemente negli ultimi 20 anni, da 71,3 miliardi nel 2001, 114,5 miliardi nel 2019: ma a vedere bene i conti non tornano. L'aumento assoluto in questi anni è stato di circa 8,8 miliardi, ma sarebbe dovuto aumentare di 37 miliardi- spiega il professor Cartabelotta, ma in ogni caso questi 8,8 miliardi corrispondono ad un aumento medio annuo inferiore all'1%, inferiore a quello che è l'inflazione media annua.
Di fronte a questi tagli, nessuna regione del centro sud sarebbe in grado di reggere uno tsunami come quello che si è abbattuto sulla Lombardia, sia dal punto di vista dell'offerta dei posti letto in terapia intensiva, sia per quelle che sono le modalità di erogazione dei servizi.

Nel frattempo il virus è arrivato anche a Roma: il Policlinico Gemelli che doveva gestire gli ammalati di Covid 19 è ormai saturo, decine di ambulanze con pazienti in isolamento a bordo, sono in attesa del personale medico per le visite. I pazienti non possono scendere perché mancano i posti.
Non solo la capitale, nemmeno il Lazio come regione era pronto a gestire questa emergenza, negli ospedali come quello di Anzio, mancano i respiratori, che sono presi in prestito dalle auto mediche che, in questo modo, non sono in grado di soccorrere pazienti gravi da intubare.


Dagli ospedali alle scuole: si è detto che gli studenti possono fare lezioni da casa, collegandosi in chat o in video conferenza coi loro professori. Ma la scuola e gli insegnanti erano pronti a questa emergenza?
Giuliano Marrucci è andato a Pisa, ad intervistare una studentessa del liceo scientifico Ulisse Dini, una delle più blasonate della città.
Marta riesce a fare tutte le lezioni ogni mattina, dalle otto all'una, tutti gli studenti riescono a seguire le lezioni.
Ma anche a Pisa non c'è solo l'elite: altra scuola altra storia, al liceo Artistico Russo, si sono riuscite ad organizzare poche lezioni, gli studenti sono lasciati soli coi loro cellulari (e poi Giga che ora stanno finendo).
Isaia si dovrebbe diplomare come meccanico specializzato: su 21 alunni, circa 12-13 riescono a seguire le lezioni.
Riccardo frequenza l'istituto tecnico Chiara Gambacorti: solo alcune delle lezioni si riescono a fare in modo “frontale”, davanti l'insegnante, ora dovrebbe prepararsi per l'esame e ha un po' di strizza.
Insomma, come per la sanità, come per i tamponi, (chi può farseli e chi no), anche la scuola rischia di diversi in questi mesi tra scuola di serie A e di serie B.

E qual è lo stato della sanità al sud? I giornalisti di Report sono scesi fin giù in Calabria, per capire quale sia la situazione. L'ospedale di Castrovillari è stato identificato dalla regione come struttura per gestire l'emergenza Covid-19.
E la situazione non sembra bella: siamo disorganizzati, non si capisce chi comanda, non ci sono percorsi stabiliti .. mentre la giornalista faceva le sue domande all'ingresso dell'ospedale un paziente forse colpito dal virus era lasciato dentro l'ambulanza per due ore.
Nell'ospedale attrezzato per il Covid ci sono le tute e le mascherine, almeno all'apparenza, mancano le regole e i protocolli forse.
La tenda pretriage (per non intasare il Pronto Soccorso) non è mai entrata in funzione, non si sa chi debba prendere in carico questa funzione, il percorso per “accettare” i pazienti col Covid non è chiaro, tra personale medico e personale del 118.
L'ospedale ha assolto la sua funzione per soli sette giorni, per poi essere liquidato e così oggi nella provincia di Cosenza, la più grande nella regione, non è chiaro quale sia la struttura dedicata all'emergenza.
All'ospedale di Castrovillari non c'è ancora un reparto dedicato ai malati di Covid-19.

C'è spazio anche per qualche buona notizia: come la sperimentazione in atto a Bologna, a San Lazzaro di Savena, per il tampone in auto, una tecnica già usata in Corea.
Report ha intervistato Paolo Pandolfi, direttore dip. Sanità pubblica Ausl Bologna: “lo scopo di questa tecnica è efficientare il sistema, fare in modo cioè che una sola squadra faccia molti più tamponi utilizzando un solo e unico dispositivo di protezione, fare più test e farli nel più breve tempo possibile.”
Come sono scelte le persone a cui fare i tamponi?
“I tamponi sono fatte a persone che non sono sintomatiche, non hanno febbre o altri sintomi, sono persone che sono state oggetto di quarantena, che sono state a casa e che, per una serie di condizioni, sono state a contatto con delle persone infette e dobbiamo misurare se si sono positivizzate“.
Che differenza c'è tra questo lavoro e quello che è stato fatto in Corea del Sud?
“Noi stiamo facendo un lavoro di assistenza su della popolazione ben definita, in Corea è stato fatto su una popolazione più ampia, per monitorare come è distribuito il contagio, come si distribuisce il virus. Questo ha permesso di anticipare focolai. Perché se io so che in quel luogo, in quel punto, c'è una concentrazione importante di soggetti positivi, posso anticipare interventi di prevenzione. E quindi non far circolare quelle persone, bloccare quelle aree, creare situazione di restrizione.”
Per prevenire nuovi focolai di Covid-19 cosa dovremmo fare?
“Dovremmo conoscere bene come si distribuisce tra le persone che hanno i sintomi ma soprattutto tra quelle che non li hanno.”
Quello che avete fatto oggi è una base per farlo?
“No, è un passo importante che va fatto solo se ci sono le risorse, ma in questo momento i tamponi servono per testare la contagiosità o meno degli operatori sanitari. La contagiosità di persone che sono state in contatto di casi veri.”

Il comunicato stampa dei giornalisti di Report
Tornano le inchieste della squadra di Report. La prima puntata è interamente dedicata alla pandemia di Covid-19. Andremo dove tutto è cominciato e dove il peggio sembra finalmente passato, a Wuhan, per mostrare con immagini esclusive cosa è realmente successo nei compound blindati durante l'emergenza.
Dopo Sars e Influenza aviaria, l’Oms ha raccomandato a tutti i paesi del mondo di mettere a punto un piano di prevenzione e risposta alle pandemie e di aggiornarlo costantemente. L’Italia lo ha fatto? E come? Racconteremo come è nato il contagio tra Lombardia, Veneto ed Emilia, prima e dopo la scoperta del “paziente 1” a Codogno. Sarebbe stato possibile fermarlo per tempo? Andremo poi a vedere come le regioni del Sud, dalla Campania alla Calabria, fino in Sicilia, stanno affrontando l’aumento dei casi.
Gli operatori del 118 sono la prima linea della lotta al coronavirus: una ricognizione sui territori per verificare quel che c’è e quello che manca perché lavorino in piena sicurezza. Ricostruiremo infine le difficoltà di un corpo dello Stato in prima linea nelle emergenze: i Vigili del fuoco, coinvolti anche loro nella diffusione del contagio.

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