07 maggio 2025

Il nero dei giorni di Mario di Vito

Storia del giudice Amato, delle sue indagini e del suo omicidio

Martedì 25 marzo 1980.

L’uomo più solo

1. Il paese è reale

I carabinieri che entrano in campo subito dopo il fischio finale dell’arbitro li hanno visti tutti. Chi non era sugli spalti ha potuto recuperare grazie alle telecamere di 90° minuto. Allo Stadio Olimpico di Roma, sulla pista d’atletica, ci sono un’auto della Guardia di Finanza e un taxi giallo.
Negli spogliatoi degli stadi di mezza Italia intanto arrestano calciatori. Della Lazio, del Perugia, del Milan, dell’Avellino.

Milioni di persone hanno potuto godere dello spettacolo delle manette che scattano attorno ai polsi degli eroi.

Nel crepuscolo della prima Repubblica, cominciato negli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, è successo anche questo: il blitz della Finanza che arresta sul campo i calciatori per l’inchiesta sul calcio scommesse.

Ma quel lontano 1980 è stato anche l’anno di Ustica, della strage di Bologna, delle Olimpiadi a Mosca boicottate dagli Usa come ritorsione per l’invasione dell’Afghanistan.

Sono gli anni in cui vengono uccisi, da terroristi rossi e neri magistrati (Guido Galli, Bachelet, Emilio Alessandrini), presidenti di Regione (Piersanti Mattarella), segretari di partito (Pio La Torre nel 1982). Ma a finire uccisi in questa guerra tra stato e antistato (le magie, l’eversione nera, il terrorismo rosso) ci sono anche persone comuni come Valerio Verbano..

Il 1980 è anche l’anno dell’omicidio di un magistrato della procura di Roma, Mario Amato, ucciso dal NAR (un gruppo terrorista di estrema destra) Gilberto Cavallini assieme al complice Gilberto Cavallini il 23 giugno 1980, pochi giorni prima delle sue vacanze. Ucciso mentre aspettava il bus per poter arrivare in orario nel suo ufficio, perché la procura non gli aveva dato né un auto di servizio e nemmeno una scorta.

Mario Amato era un magistrato solo perché la procura, il suo capo, il procuratore Di Matteo, i suoi colleghi al palazzaccio, l’avevano lasciato solo coi suoi faldoni per le indagini sul terrorismo nero. Molti di questi erano l’eredità di un altro magistrato, Vittorio Occorsio, anche lui ucciso da un militante di estrema destra, Concutelli, nell’estate del 1976.

Mario Amato aveva chiesto di essere affiancato da altri colleghi per poter lavorare in pool (come i colleghi che avevano indagato sul calcio scommesse): perché il carico di lavoro che doveva sostenere era troppo oneroso, perché lavorando da solo era più facile colpirlo. Perché si sentiva di essere diventato un bersaglio da parte di quella rete di protezione che stava attorno ai gruppi neofascisti, non solo a Roma.

Questo sostituto sa di essere a rischio dal momento in cui, poche settimane dopo il suo arrivo a Roma il 30 giugno 1977, il capo Giovanni De Matteo lo ha designato come solo e unico erede dei fascicoli aperti da Vittorio Occorsio, morto ammazzato il 10 luglio 1976.

Aveva capito, lavorando col suo modo meticoloso e preciso, la diversa natura dei terroristi neri: non era figli di operai o di quella classe operaia che volevano emancipare abbattendo il sistema, come le BR. I “neri” erano anche i figli della borghesia, gente cresciuta nei ricordi della repubblica di Salò (buoni ad infestare i sonni della Repubblica nata dalla guerra di Liberazione).

«Va precisato che il terrorismo di destra nasce dalla classe della media e alta borghesia. Le persone che agiscono in tale campo sono figli di professionisti, di colleghi, di imprenditori industriali...»

Questi estremisti neri godevano di una sorta di impunità, primo perché ritenuti meno pericolosi dei “rossi”, poi per quelle protezioni nel mondo dei professionisti, come gli avvocati di grido che li difendono nei pochi processi. Ma anche all’interno della Procura, come scoprirà sulla sua pelle per l’ostilità del collega Antonio Alibrandi (uno che non nascondeva le sue simpatie missine), padre dell’esponente dei Nar Alessandro Alibrandi.

Leggendo delle accuse che gli sono state rivolte, da avvocati ma anche da colleghi, sembra di rivivere un deja vu dei giorni nostri: toga rossa, inventore di un teorema, quello del terrorismo nero

Nel 1980 parlare di «toghe rosse» è qualcosa di molto grave, e di solito lo fa la destra – là dove per destra intendiamo esclusivamente il Movimento sociale italiano

Si difende Mario Amato, come può: per esempio denunciando il clima ostile e le difficoltà nel portare avanti il suo lavoro davanti alla commissione del CSM

«Recentemente ho molto insistito per avere un aiuto sia perché sono stato bersagliato da accuse e denunce in quanto vengo visto come la persona che vuole creare il terrorismo nero, sia perché le personalizzazioni tornano a discapito dello stesso ufficio», argomenta Amato davanti al Csm. Non è una polemica fine a sé stessa, né una polemica funzionale a una qualche battaglia di posizionamento all’interno della procura di Roma. È un grido d’aiuto.

Prosegue Amato: «Affiancandomi dei colleghi sarebbe possibile sia ridurre i rischi propri della personalizzazione dei processi, sia darmi un conforto in quanto se dei colleghi giungessero a conclusioni analoghe alle mie sarebbe evidente che le stesse non sarebbero frutto della mia asserita faziosità. Oltre a tali motivazioni vi è, poi, anche quella che non ce la faccio più da solo perché è un lavoro massacrante che comporta la necessità di tenere a mente centinaia di nomi e centinaia di dati, il che è impossibile per una persona sola. Nonostante, peraltro, le più reiterate e motivate richieste di aiuto, a tutt’oggi, tale aiuto non mi è stato dato».

Una denuncia coraggiosa, perché di fatto mette in discussione la capacità del capo della procura, Di Matteo, nel saper organizzare il lavoro dei suoi sostituti. Una denuncia che non fa che aumentare il clima di ostilità nei suoi confronti.

Ma sarà una denuncia inutile, perché poco prima di partire per le vacanza, il 23 giugno 1980, verrà ucciso dai NAR: Ciavardini e Cavallini, come si è detto, e poi Mambro, i fratelli Fioravanti. Ragazzi di buona famiglia, cresciuti dentro le formazioni giovanili del movimento sociale, che giocavano alla rivoluzione prendendo le distanze dalle vecchie formazioni fasciste ritenute complici di quel sistema che volevano distruggere.
Della morte di Amato è diventata famosa una foto scattata da un cronista accorso sul luogo del delitto poco dopo i colpi:

Scatta una foto che diventerà famosissima per un dettaglio. Sotto la scarpa sinistra del giudice c’è un buco malamente rattoppato. Un buco che significa 600 fascicoli aperti in ufficio, e una sconfinata solitudine nell’affrontarli.

Questo era Mario Amato, il magistrato che, stancamente verrebbe voglia di dire, viene ricordato ogni anno usando le stesse parole di circostanza, che ci sia una giunta di destra di sinistra o altro.
Ma perché è stato ucciso quel magistrato? C’è un dettaglio che può raccontarci molto delle indagini di Amato e di quello che stava scoprendo sulle formazioni neofasciste e su chi gli stava dietro:

.. lo stesso Csm ha riportato in un volume pubblicato nel 2011 sulla storia dei tanti magistrati uccisi nell’Italia repubblicana: «Sto arrivando alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi».

Ecco, la seconda parte del saggio di Mario Di Vito cerca di spiegare questa “verità d’assieme” che mette assieme tutto legando assieme i NAR, i fascisti della generazione precedente ritenuti collusi col sistema e coi servizi (parliamo di Ordine Nuovo, quelli delle bombe di Milano e Brescia e di Avanguardia Nazionale), la P2, pezzi deviati dello stato fino ad arrivare alla soglia del movimento sociale, il partito che praticava l’ordine e la sicurezza di giorno per poi praticare la violenza di notte.

A questa verità d’assieme si può arrivare mettendo assieme tutti i pezzi di questo enorme puzzle di cui però ci mancano alcune tessere: i vari filoni dell’inchiesta sulla strage di Bologna, i rapporti dei Nar e in particolare di Valerio Fioravanti con Paolo Signorelli, il professore, fondatore di Ordine Nuovo ed esponente del MSI, indagato più volte in vari episodi della strategia della tensione e uscito sempre assolto.

Il famoso documento “Bologna” trovato nelle disponibilità di Gelli dove si scopre del finanziamento dal venerabile ai Nar per preparare la strage (così dicono i giudici nelle sentenze) passando per l’Ambrosiano di Calvi.

Come a dire, nonostante il passare degli anni e delle sigle della galassia neofascista, il substrato ideologico era sempre lo stesso, attaccare lo stato democratico, le istituzioni.

Cosa ci manca per arrivare a questa verità d’assieme, per arrivare ad una verità completa sulle stragi fasciste? Nonostante le sentenze parlino chiaro, la strage di Bologna, come quelle di Milano e Brescia, sono stragi di stato con manovalanza fascista (con molta onestà intellettuale Mario Di Vito riporta i tanti dubbi rimasti sulla colpevolezza dei Nar nonostante le sentenze).

.. fascisti, criminali, uomini dello Stato, politici, finanzieri. C’era già tutto nel 1980

Ma non possiamo fermarci alle singole sentenze che pure raccontano tanto:

La storia del terrore nero, in Italia, in fondo è tutta così: la verità esce a pezzi, le sentenze non solo non riescono a fare giustizia, ma spesso nemmeno a spiegare cosa sia successo.

Soprattutto dall’ultima strage, quella di Bologna, si ha l’impressione – racconta l’autore – che più che depistare le indagini, si sia voluto “impistare” le indagini per i NAR, senza però cercare i fili che portano più in alto. Fino al cuore dello stato.

Spiega ancora l’autore:

la «visione d’assieme» ipotizzata da Amato nel 1980 è un complesso reticolo di conoscenze, amicizie, vicinanze che resistono alla prova del tempo.

E questi fili, queste relazioni sono vive ancora oggi e portano al partito di governo, che ha ancora la fiamma del movimento sociale nel suo simbolo.

Il partito che oggi parla di pacificazione ma che di fatto vuole solo arrivare alla parificazione tra fascisti e antifascisti, che porta avanti l’idea che i ragazzi neri erano giovani che lottavano per i loro ideali.

Lo sdoganamento di Almirante, l’ostinazione nel non dichiararsi antifascisti, l’uso strumentale delle celebrazioni per i “loro” morti, come Ramelli, una ragazzo ucciso da altri ragazzi dell’autonomia che lo vedevano come un nemico, non come uno di loro.

A Bologna noi non c’eravamo, scrivono sui social gli esponenti di fratelli d’Italia, chiedono una commissione di inchiesta sulla violenza politica tra gli anni 1970 e 1984, tenendo fuori la strage di piazza Fontana, i delitti dei NAR, le complicità con lo stato, i fili neri che arrivano fino all’uscio delle sedi del MSI. La morte di Mario Amato. Di tutto questo non si deve parlare.

Parlano di pacificazione ma intendono revisionismo della storia recente.

Nel discorso tenuto per la vittoria alle elezioni del settembre 2022 – tenuto all’Hotel Pollio, lo stesso dell’evento organizzato dagli stati maggiori e dal Sifar, dove per la prima volta si parlò della lotta al comunismo da fermare a qualunque costo, gettando le basi della strategia della tensione – la presidente Meloni ha parlato di “riscatto per quei giovani che non ci sono più e che meritavano di vedere questa nottata”.

Parole che l’autore commenta così a fine libro:

“Le abbiamo incontrate queste persone che non ci sono più. E abbiamo visto questa nottata. Il nero dei nostri giorni più bui.”

La scheda del libro sul sito di Laterza, un estratto del primo capitolo e l’indice del libro
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

 

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