Per i trafficanti di esseri umani i migranti sono una miniera d’oro: prendono i soldi da loro quando vengono in Libia, poi li rinchiudono nei lager e chiedono il riscatto ai familiari, altri soldi sono chiesti per partire per l’Italia . E la politica italiana, destra o sinistra, non fa nulla, concretamente, per fermare questo. Anzi. La destra italiana campa sulla propaganda avvelenata contro i migranti. E questa politica d'odio contro i migranti si è estesa, non da oggi, all'Unione Europea.
Il parlamento italiano, composto in gran parte da (presunti) cattolici, ha recentemente respinto l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e anche per il sottosegretario agli interni Mantovano, sul caso Almasri, il torturatore libico su cui pende un mandato di cattura internazionale per i reati che gli vengono attribuiti.
Il Parlamento ha deciso che se il governo non ha consegnato Almasri alla Corte Penale Internazionale e lo ha rimpatriato in Libia lo ha fatto per motivi strategici nazionali e per la sicurezza nazionale – racconta Riccardo Iacona nella presentazione della puntata.
A Presadiretta nell’ultima puntata della stagione 2025 si parlerà proprio del caso Almasri partendo da una domanda: come mai la sicurezza nazionale italiana passa attraverso un capobanda mafioso libico? Presadiretta ricostruirà i rapporti che l’Italia ha avuto con la Libia sin dal 2009, ai tempi in cui Gheddafi era al potere. Presadiretta ricostruirà le reti internazionali attraverso le quali i trafficanti libici di uomini vanno a prendere i loro “clienti” anche a migliaia di chilometri di distanza e accenderà le luci su quello che succede in Senegal e in Bangladesh.
E pensare che questo governo aveva dichiarato guerra senza quartiere a chi lucra sulla disperazione della gente, dando la caccia ai trafficanti di uomini “su tutto il globo terracqueo”. Ma quando ha avuto l’occasione di consegnare alla giustizia internazionale un criminale, Osama Almasri, che per anni ha torturato e sfruttato i migranti in Libia, non lo ha fatto. Almasri è stato rimandato a Tripoli, a casa sua, con un aereo di Stato. A Tripoli è stato festeggiato come un eroe dal suo clan.
La
foto, incredibile, mentre Almasri scende dal nostro aereo dei servizi
è stata scattata da un attivista libico, Husam El Gomati, avvisato
da una sua fonte a Torino: “l’Italia ha rimandato in Libia un
criminale a sue spese, facendolo viaggiare in prima classe.. ”
LA
corte penale internazionale ha indagato su di lui per anni
raccogliendo numerose prove e testimonianze: secondo il mandato di
cattura nella prigione di Almasri sarebbero stati uccisi 34 detenuti,
altri 22 (almeno) abusati sessualmente, persino un bambino di 5 anni.
“A Tripoli una cosa è certa, hanno cominciato a preparare i festeggiamenti prima ancora che Almasri salisse sull’aereo” continua Husam El Gomati nel suo racconto davanti a Riccardo Iacona.
Chi ha fatto pressioni dalla Libia affinché Almasri non finisse alla Corte Penale Internazionale?
L’attivista ha mostra a Iacona un video dove parla il primo ministro della Libia Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, non sono stato io a fare pressioni sull’Italia, sono stati altri membri della milizia di Almasri a contattare l’ambasciata italiana a Tripoli. Il primo ministro della Libia ha di fatti ammesso pubblicamente che la liberazione di Almasri è il frutto di un accordo politico tra una milizia e Roma.
La storia di due migranti in Libia Thdyane e Serifo
Il lungo viaggio di Thdyane e Serifo è partito da Dakar, la capitale del Senegal, passando per l’inferno della Libia: in aereo sono sei ore di volo ma per chi parte senza visto il viaggio verso l’Europa può durare anni. Il Senegal è uno degli hub del traffico di migranti dall’Africa occidentale: da qui partono due rotte, quella atlantica a bordo di piroghe, verso le Canarie. E quella via terra, attraverso il deserto, fino alla Libia e da lì il salto verso l’Italia. Ai giornalisti di Presadiretta sono arrivate le foto di ragazzi senegalesi detenuti nei lager in Libia vittime di violenze e torture. Presadiretta ha percorso al contrario il loro viaggio da Dakar verso il loro paese natale, nella regione di Casamance, assieme a dei volontari del Vis, il volontariato internazionale per lo sviluppo. Una ONG che assieme ai salesiani di Don Bosco lavora coi migranti di ritorno, vittime dei trafficanti. Dopo due giorni di strada finalmente il villaggio da cui i ragazzi delle foto arrivate a Presadiretta sono partiti da qui: qui nel 2017 è partita Thdyane assieme ad uno dei suoi fratelli, Serifo. Vivevano in una capanna senza acqua né luce con altri dieci tra fratelli e sorelle. Fanta è la loro sorella maggiore e a Presadiretta racconta del lungo viaggio fino alla Libia dove sono stati sequestrati e imprigionati più volte, ogni volta veniva chiesto un riscatto alla famiglia “ti chiamano degli sconosciuti, ti dicono solo ‘pagate o li uccidiamo’ e noi dobbiamo trovare i soldi anche se non abbiamo niente.” Adesso sono liberi ma non stanno bene, si stanno ancora curando le ferite. Ai trafficanti la famiglia ha pagato già migliaia di euro, un enorme somma se si pensa che in questa regione del Senegal si vive con meno di due dollari al giorno. Sono tante le testimonianze di persone che hanno dovuto pagare più volte il riscatto per dei loro parenti finiti nelle mani dei trafficanti in Libia: persone che si sono indebitate per pagare, hanno dovuto vendere i loro animali. E le persone per cui è stato pagato il riscatto sono ancora bloccate in Libia.
Il post alluvione in Romagna
Le telecamere di Presadiretta tornano in Emilia, nelle zone colpite dall’alluvione del 2024 per capire ad un anno di distanza qual è lo stato dei lavori di messa in sicurezza del territorio e se i ristori sono stati sufficienti a far ripartire imprese e famiglie.
Perché ci sono famiglie che sono fuori casa da un anno, che non possono rientrare in casa e far partire i lavori perché ancora non si sentono in sicurezza: “io non rientro perché ho paura, non mi sento sicura, mi sono salvata una volta, non posso rischiare una seconda volta.”
A settembre una nuova ordinanza commissariale ha previsto contributi fino ad un massimo di 2350 euro al metro quadro per i proprietari di case che hanno subito danni gravi a seguito delle alluvioni, per costruire altrove.
Ma tanti cittadini non ci stanno e chiedono che sia messo in sicurezza il territorio anziché andarsene: come in Val di Zena, fuori Bologna, una delle aree più colpite nell’ultima alluvione. Vicino all’argine del fiume c’è un gruppo di case con tantissime famiglie che si dovrebbero spostare che non hanno intenzione di abbandonare tutto – racconta a Presadiretta Pietro Latronico il presidente del comitato degli alluvionati della Val di Zena.
Dopo la prima alluvione del 2023 avevano già ristrutturato casa, con tanto entusiasmo, sono stati fuori casa otto mesi, poi sono rientrati finché non è arrivata la seconda alluvione l’ottobre scorso. E ora in casa c’è nuovamente da rifare tutto, impianti elettrici, riscaldamento “ma se non mettono in sicurezza il fiume non spendo i soldi neanche a morire” spiega il signor Latronico.
“Noi siamo qua nel limbo, aspettiamo questa politica lenta, abbiamo in Italia una politica lenta e burocratica, la gente vuole i fatti ..”
L’obiettivo non è ritornare come eravamo prima – spiega ai suoi cittadini il presidente De Pascale in un intervento pubblico a Castel Bolognese – “l’obiettivo è vivere in una terra più sicura di quando siamo stati colpiti”.
Presentando i piani di messa in sicurezza il presidente spiega di come ci sia bisogno di risorse, per gli investimenti costosi, per una cassa di espansione si parla di decine di milioni di euro, di norme che semplifichino.
A
queste assemblee pubbliche partecipano sia le autorità che i
cittadini: tutti chiedono risposte serie per interventi veloci
“perché non è che possiamo vivere anche quest’inverno spostando
i mobili mettendo dei sacchi” racconta una signora.
Se ci sono
i soldi cosa stanno facendo? – è la domanda che si pongono in
tanti delle persone colpite, tutti chiedono tempi certi per i lavori,
perché tutti devono pagare le tasse, le spese per l’energia, per i
lavori nelle case alluvionate.
Si sono perse tre estati, dal
2023 al 2025 – ricorda Riccardo Galassi un geologo esperto in
idraulica consulente della commissione di inchiesta parlamentare sul
rischio idrogeologico – non si può più perdere tempo: “qui
stiamo ancora parlando di affidare degli incarichi a delle società
che facciano le progettazioni, dopo di che c’è la valutazione
della progettazione, poi la valutazione dell’opera, poi
l’affidamento dell’incarico dell’opera, poi devono cominciare i
lavori, dopo di che sa cosa significa questo? Che lei torna nel 2027
mi fa la stessa intervista.. questo significa, solo che lasciamo
passare altri due anni e la gente è li e ha paura.”
Da qui al
2027 quante pioggie e quanti alluvioni ci prenderemo ancora? – Si
chiede un’altra residente della val di Zena “questa è la cosa
grave, questa è la cosa che non mi fa stare tranquilla, neanche un
po’”.
Le persone hanno paura quando piove, vedono i lavori
che non partono e si sentono prese in giro, lavori che inizieranno
forse tra due anni, “nei prossimi due anni ci fanno andar via tutti
o crepiamo.”
Ma
quando partiranno i lavori? A questa domanda risponde il presidente
De Pascale: “se stessimo ai finanziamenti del governo, nel 2027,
noi vogliamo partire il 2026, anticipando le risorse. Il miliardo del
governo parte dal 2027 e dura dieci anni, noi abbiamo detto bene, la
regione li anticipa. Quindi noi nel 2026 il nostro obiettivo è
iniziare a muovere la terra ..”
Vedremo allora le ruspe per le
casse di espansione, anti tracimazione: l’idea della regione è
completare entro il 2025 la progettazione e far partire le opere nel
2026, compito che spetta ora alla regione. De Pascale aggiunge che
fino al giugno di quest’anno non c’era nulla come finanziamenti
(per la messa in sicurezza), tutte le risorse erano solo per
ricostruire, “la mia battaglia è stata convincere il governo a
stanziare risorse aggiuntive .. Abbiamo perso tempo ma finalmente
siamo sul binario giusto, la rabbia la frustrazione dei cittadini è
totalmente giustificata.”
Ma 1,1 miliardi di euro sono
sufficienti per questi lavori? Secondo il presidente non sono
sufficienti, ma non ho voluto rituffarmi nella polemica – spiega a
Presadiretta – quando avremo speso i primi 800 ml verremo a
discutere richiederne altri.
La scheda del servizio (raiplay):
Un viaggio di PresaDiretta tra Bangladesh, Senegal, Tunisia e Svezia per indagare le rotte del traffico di esseri umani dalla Libia all'Europa. Un'inchiesta che svela i crimini della rete internazionale che sfrutta la disperazione di chi cerca una vita migliore. Al centro, la vicenda del generale Al-Masri, le testimonianze di vittime di torture, oppositori libici e investigatori impegnati a smascherare il sistema. Le telecamere di PresaDiretta raggiungono le famiglie dei migranti in Asia e Africa, raccontando le storie di chi parte e di chi viene ricattato. Emerge l'ipotesi di un coinvolgimento tra Tunisia e Libia di membri delle amministrazioni statali, con prove sconvolgenti tratte dal Rapporto "State Trafficking", realizzato da ricercatori europei. In esclusiva, le immagini della vendita di migranti alla presenza di militari libici e tunisini, un traffico che le autorità tunisine continuano a negare. In studio con Riccardo Iacona, il giornalista e scrittore Gabriele Del Grande, per discutere di politiche migratorie, e Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, per approfondire la vicenda dello spyware Paragon e dei numerosi personaggi finiti sotto sorveglianza.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.


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