14 maggio 2021

L'uomo del porto, di Cristina Cassar Scalia

 


La mattinata prometteva bene. Il sole s’era appena affacciato all’orizzonte e la pietra lavica dei palazzi e delle strade di Catania iniziava ad assorbire il calore dei primi raggi. Il profilo del Duomo si slanciava su un cielo limpido che più azzurro non poteva essere e che contrastava con il grigio e il bianco della cupola. Mattia camminava svelto per la via Etnea, le mani affondate nelle tasche dei jeans....

L'uomo del porto è il professore di filosofia Enzo La Barbera, trovato morto all'interno della “grotta”, la sala riservata di un pub chiamata così perché sedie e tavolini sono dentro una caverna scavata dal fiume Amenano che scorre sotto Catania e coperto secoli prima da una colata lavica.

Quella che all’apparenza sembrava una grotta in realtà era il letto di un fiume che affiorava poco prima, ..

Sarà questo il quarto caso del vicequestore Giovanna Guarrasi, Vanina, dirigente della Mobile che, nello scorso romanzo avevamo lasciato di fronte al proiettile fatto ritrovare nella sua casa a Santo Stefano. Un proiettile che arriva da Palermo, un segnale lasciato da parte di Salvatore Fratta, latitante, l'unico sopravvissuto del commando che aveva ucciso suo padre, l'ispettore Giovanni Guarrasi (ancora presente nei suoi pensieri, nei suoi sogni agitati).

Strano destino quello di Vanina, costretta alla fuga da Palermo e dalla lotta ai mafiosi, a cui aveva dato la caccia per anni, per sfuggire a quella sensazione di dolore di vedere le persone a lei care sparate da un killer. Come suo padre, o come il magistrato Paolo Malfitano, suo fidanzato negli anni di Palermo.

Ma ci sono cose per cui più ne fuggi e più ne vieni attirato. Come quella strana relazione a distanza con Paolo, come la caccia a quell'ultimo latitante, Fratta detto Bazooka, alla cui morte Vanina non aveva mai creduto.

E ora quel proiettile, lasciato in casa, nel luogo in cui sei più vulnerabile, che fanno scattare quelle misure di sicurezza che Vanina proprio non riesce a soffrire.

Basta colazioni di Alfio, basta acquisti nella putia vicino casa, basta muoversi da sola per la città: “Una camurría che peggio di cosí non poteva essere.”

E ora anche quel morto su cui indagare: Vincenzo La Barbera, celibe, insegnante di filosofia molto noto in città non solo per la sua professione ma anche per il suo impegno per salvare i ragazzi dalla tossicodipendenza. Sono i casi peggiori per un investigatore, perché sono casi che riguardano persone senza nemici, a cui tutti volevano bene:

Perché dici che a nessuno poteva venire in testa di ammazzarlo?

Perché è… anzi era, una persona troppo perbene.

Il professore era stato visto la sera prima in compagnia di un uomo e successivamente di una signora dai capelli rosso fuoco, ma nessuno dei dipendenti del bar è riuscito a raccontare altro.

La Barbera viveva su una barca ormeggiata al porto, un omaggio di un suo zio, dopo aver rotto con la sua famiglia, una di quelle dal cognome importante, fino al punto di rinunciare all'eredità, pur di non aver nulla a che fare con loro.

Spirito ribelle, un “comunista” di quelli che immaginava un mondo migliore e che, negli anni settanta, da studente, era andato via di casa per stare in una “comune”.

Non amava molto la tecnologia, nemmeno il lusso, il professor La Barbera aveva perfino subito minacce da due scagnozzi della famiglia che gestisce lo spaccio di droga a cui non faceva piacere che qualcuno si impicciasse dei fatti loro.

Vanina avrebbe potuto anticipare la risposta, che il puzzo di mafia in quella storia iniziava a sentirsi forte.

Ma la pista mafiosa non convince del tutto Vanina: se la mafia lo voleva morto non l'avrebbe ucciso in quel locale al chiuso sottoterra, dove c'erano poche vie d'uscita. E forse non avrebbe usato un coltello comune, uno ben affilato.

No, come in altre indagini del vicequestore Guarrasi, anche questa volta si deve scavare nel passato del morto. E se si tratta di andare a ritroso nel tempo, non c'è “sbirro” migliore dell'ex commissario Patané, poliziotto che non si rassegna a starsene in pensione e che è diventato, caso dopo caso (“Sabbia nera”, “La logica della lampara”, “La salita dei saponari”) un membro effettivo della squadra di Vanina, assieme ai carusi Nunnari, Lo Faro e ai veterani come Spanò e Fragapane. E a Marta Bonazzoli, la vice-ispettrice del nord, l'unica che le può dare del tu.

Come nelle precedenti indagini di Vanina, il passato avrà un ruolo importante nella soluzione di questo omicidio: la seguiremo alle prese con preti di strada gagliardi e coraggiosi da non parere nemmeno dei “parrini”. Pescatori che fronte alla legge non scappano ma, anzi fanno la cosa giusta. A figli che devono loro aiutare i genitori ad affrontare la loro dipendenza, ragazzi che vanno in processione dal vicequestore per aiutarla a trovare il colpevole.

E a genitori che non vogliono vedere il male compiuto dai propri figli.

Un ruolo importante lo avrà un film, uno di quelli ambientati in Sicilia con Giancarlo Giannini. Una storia di padri e di figli, di droga ma anche di sogni e di speranze. E di soldi.

E tutto questo sempre con la scorta appresso, una sofferenza tale da farla “sdilliriare”, una parola che non troverete nel vocabolario ma che può essere tradotta in “impazzire”.

Manco alla putía di Sebastiano la lasciavano entrare. Ma quella sera Vanina era arrivata a un punto di saturazione.

Mentre leggevo le pagine di quest'ultimo romanzo di Cristina Cassar Scalia, ho ritrovato quel clima di sicilianità che veniva fuori dai romanzi di Camilleri con Montalbano, non solo per l'uso del dialetto, ma anche per il racconto dei cibi a cui Vanina non può proprio fare a meno e dei luoghi, come “la muntagna” che incombe su Catania e che viene vissuta dai catanesi non come una minaccia:

Tipico del catanese purosangue, considerare l’Etna non come un vulcano capace di distruggerti casa, ma come una gigantessa iraconda con cui convivere..

La scheda del libro sul sito di Einaudi

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