23 maggio 2018

Quel 23 maggio di 26 anni fa


Quel 23 maggio 1992 non sapevo chi fosse Giovanni Falcone. Io come tanti altri italiani.
Conoscevo, certo, la parola mafia, ma non sapevo cosa fosse la mafia.
Il potere di intimidire, di inserirsi nei buchi dello Stato, la sua capacità di avvicinare politici, uomini delle istituzioni. E di colpire tutti quanti si mettessero di mezzo. Magistrati, poliziotti, sindacalisti..
La strage di Capaci, quell'enorme cratere che aveva ingoiato le vite di Falcone e della compagna, dei tre uomini della scorta (Montinaro, Dicillo, Schifani) saltati in aria e scagliati a decine di metri, aveva riportato la mafia sulle prime immagini dei giornali.
Forse ne avevo visto l'immagine in qualche articolo di giornale, ma non conoscevo bene Falcone, i suoi anni da magistrato antimafia nel pool di Chinnici prima e Caponnetto poi, assieme ai colleghi Borsellino, Di Lello e Guarnotta.


E poi l'istruttoria per il maxi processo scritta nel carcere dell'Asinara (come se i reclusi fossero loro): un'istruttoria in cui si ricostruivano anni di omicidi, traffici di droga per miliardi, appalti per il sacco di Palermo.
E poi tutte le altre cose tenute fuori dal processo, perché era ancora troppo presto per arrivare ad un processo: gli omicidi politici, La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa, i rapporti con la politica, la DC di Andreotti Lima e dei fratelli Salvo.
I rapporti tra mafia e Gladio, per avvicinare nei salotti uomini d'onore e uomini d'affari.

Tutte cose emerse negli anni successivi, tanti le conoscevano già certo, ma serviva ancora tempo per far accettare agli italiani e a parte della magistratura questa verità.
Per conoscere la mafia serve aver studiato, letto, compreso. Oppure esserci nato dentro, averla vista muoversi, crescere. Altrimenti rimane qualcosa di lontano.
Come lo era per me, cresciuto felice (più o meno) in un piccolo paese della Brianza.

Chi conosceva veramente, in quegli anni in cui svaniva il sogno degli anni 80, la mattanza di Palermo (i mille morti in pochi anni, per il golpe dei corleonesi)?
Di mafia e di lotta alla mafia in Italia se ne parla solo quando avvengono i “cadaveri eccellenti”: Boris Giuliano, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Beppe Montana e Ninni Cassarà ..
Tutti i nostri martiri civili.
Diventati martiri ed eroi solo dopo morti: perché da vivi, se uno ha letto la loro storia, hanno passati tanti sacrifici.
La solitudine di Dalla Chiesa e i superpoteri per combattere la mafia da prefetto di Palermo mai arrivati.
I sacrifici e le umiliazioni che ha dovuto subire Falcone, da vivo.
Le tante calunnie sul suo lavoro, sui fascicoli nel cassetto, le lettere del corvo.
L'attentato all'Addaura, opera di “menti raffinatissime”.

Tanto è stato osannato (e messo sul piedistallo) da morto, tanto la sua carriera è stata bloccata da vivo: prima per quel Giuda nel CSM che ne bloccò la nomina al pool al posto di Caponnetto, poi con la bocciatura a capo della superprocura antimafia.

“La mafia mi ucciderà e mi renderà giustizia” - così diceva di sé Falcone, consapevole dei rischi che correva: “Si muore quando si è lasciati soli, quando si entra in un gioco troppo grande”.

Il gioco troppo grande era la sua vita contro la mafia, culminata nella sentenza di condanna all'ergastolo dei boss, fine pena mai.
Il gioco che teneva assieme mafia, politica, massoneria, gli equilibri bloccati dell'occidente e del nostro paese fino al crollo del muro di Berlino.
Equilibri che dovevano mutare ma senza che il sistema, sotto la superficie, ne risentisse.
Non si poteva raccontare al paese, non nel 1992, quanto il sistema fosse marcio sotto: da Portella della Ginestra, alle stragi degli anni settanta, agli omicidi politici compiuti secondo un preciso disegno di cui aveva parlato lo stesso La Torre "omicidi in cui si realizza una singolare convergenza di interessi mafiosi e di oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che presuppongono un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e debbono essere individuati e colpiti se si vuole davvero voltare pagina".

Oggi è la giornata in cui si ricordano i 26 anni dalla strage di Capaci: è la giornata dei discorsi pienidi retorica, dove si arriverà a dire che la mafia che è stata sconfitta.
Sconfitta perché sono stati arrestati gli esponenti dell'ala militare dei corleonesi (quelli degli omicidi politici dove si realizzava la convergenza di interessi ..).

E' la stessa mafia che oggi offre servizi alle imprese del nord, del centro e del sud e che viene richiesta da tanti imprenditori per i servizi (recupero crediti, smaltimento rifiuti, protezione) senza che nessuno denunci.
La mafia che oggi offre pacchetti di voti, senza che nei partiti si faccia alcun filtro.

La stessa mafia che ha saputo cambiare pelle, dopo Riina, arrivando a stringere con lo stato nuovi accordi, per una reciproca convenienza.
Sempre per quella convergenza di interessi.


Lo dice la sentenza (solo di primo grado) del processo alla “Trattativa stato mafia”: il ricatto agli organi dello Stato, portato avanti da mafiosi, con la complicità di uomini del Ros.
E con la copertura di uomini nel mondo politico.

Per questo sono morti Giovanni Falcone, Giovanna Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Non dobbiamo dimenticarlo mai.

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