Quel 23 maggio 1992 non sapevo chi
fosse Giovanni Falcone. Io come tanti altri italiani.
Conoscevo, certo, la parola mafia, ma
non sapevo cosa fosse la mafia.
Il potere di intimidire, di inserirsi
nei buchi dello Stato, la sua capacità di avvicinare politici,
uomini delle istituzioni. E di colpire tutti quanti si mettessero di
mezzo. Magistrati, poliziotti, sindacalisti..
La strage di Capaci, quell'enorme
cratere che aveva ingoiato le vite di Falcone e della compagna, dei
tre uomini della scorta (Montinaro, Dicillo, Schifani) saltati in
aria e scagliati a decine di metri, aveva riportato la mafia sulle
prime immagini dei giornali.
Forse ne avevo visto l'immagine in
qualche articolo di giornale, ma non conoscevo bene Falcone, i suoi
anni da magistrato antimafia nel pool di Chinnici prima e Caponnetto
poi, assieme ai colleghi Borsellino, Di Lello e Guarnotta.
E poi l'istruttoria per il maxi
processo scritta nel carcere dell'Asinara (come se i reclusi fossero
loro): un'istruttoria in cui si ricostruivano anni di omicidi,
traffici di droga per miliardi, appalti per il sacco di Palermo.
E poi tutte le altre cose tenute fuori
dal processo, perché era ancora troppo presto per arrivare ad un
processo: gli omicidi politici, La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa, i
rapporti con la politica, la DC di Andreotti Lima e dei fratelli
Salvo.
I rapporti tra mafia e Gladio, per
avvicinare nei salotti uomini d'onore e uomini d'affari.
Tutte cose emerse negli anni
successivi, tanti le conoscevano già certo, ma serviva ancora tempo
per far accettare agli italiani e a parte della magistratura questa
verità.
Per conoscere la mafia serve aver
studiato, letto, compreso. Oppure esserci nato dentro, averla vista
muoversi, crescere. Altrimenti rimane qualcosa di lontano.
Come lo era per me, cresciuto felice
(più o meno) in un piccolo paese della Brianza.
Chi conosceva veramente, in quegli anni
in cui svaniva il sogno degli anni 80, la mattanza di Palermo (i
mille morti in pochi anni, per il golpe dei corleonesi)?
Di mafia e di lotta alla mafia in
Italia se ne parla solo quando avvengono i “cadaveri eccellenti”:
Boris Giuliano, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Gaetano
Costa, Rocco Chinnici, Beppe Montana e Ninni Cassarà ..
Tutti i nostri martiri civili.
Diventati martiri ed eroi solo dopo
morti: perché da vivi, se uno ha letto la loro storia, hanno passati
tanti sacrifici.
La solitudine di Dalla Chiesa e i
superpoteri per combattere la mafia da prefetto di Palermo mai
arrivati.
I sacrifici e le umiliazioni che ha
dovuto subire Falcone, da vivo.
Le tante calunnie sul suo lavoro, sui
fascicoli nel cassetto, le lettere del corvo.
L'attentato all'Addaura, opera di
“menti raffinatissime”.
Tanto è stato osannato (e messo sul
piedistallo) da morto, tanto la sua carriera è stata bloccata da
vivo: prima per quel Giuda nel CSM che ne bloccò la nomina al pool
al posto di Caponnetto, poi con la bocciatura a capo della
superprocura antimafia.
“La mafia mi ucciderà e mi renderà
giustizia” - così diceva di sé Falcone, consapevole dei rischi
che correva: “Si muore quando si è lasciati soli, quando si entra
in un gioco troppo grande”.
Il gioco troppo grande era la sua vita
contro la mafia, culminata nella sentenza di condanna all'ergastolo
dei boss, fine pena mai.
Il gioco che teneva assieme mafia,
politica, massoneria, gli equilibri bloccati dell'occidente e del
nostro paese fino al crollo del muro di Berlino.
Equilibri che dovevano mutare ma senza
che il sistema, sotto la superficie, ne risentisse.
Non si poteva raccontare al paese, non
nel 1992, quanto il sistema fosse marcio sotto: da Portella della
Ginestra, alle stragi degli anni settanta, agli omicidi politici
compiuti secondo un preciso disegno di cui aveva parlato
lo stesso La Torre "omicidi in cui si realizza una
singolare convergenza di interessi mafiosi e di oscuri interessi
attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che presuppongono
un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti che vanno ben al
di là della mera contiguità e debbono essere individuati e colpiti
se si vuole davvero voltare pagina".
Oggi è la giornata in cui si ricordano
i 26 anni dalla strage di Capaci: è la giornata dei discorsi pienidi retorica, dove si arriverà a dire che la mafia che è stata
sconfitta.
Sconfitta perché sono stati arrestati
gli esponenti dell'ala militare dei corleonesi (quelli degli omicidi
politici dove si realizzava la convergenza di interessi ..).
E' la stessa mafia che oggi offre
servizi alle imprese del nord, del centro e del sud e che viene
richiesta da tanti imprenditori per i servizi (recupero crediti,
smaltimento rifiuti, protezione) senza che nessuno denunci.
La mafia che oggi offre pacchetti di
voti, senza che nei partiti si faccia alcun filtro.
La stessa mafia che ha saputo cambiare
pelle, dopo Riina, arrivando a stringere con lo stato nuovi accordi,
per una reciproca convenienza.
Sempre per quella convergenza di
interessi.
Lo dice la sentenza (solo di primo
grado) del processo alla “Trattativa stato mafia”: il ricatto
agli organi dello Stato, portato avanti da mafiosi, con la complicità
di uomini del Ros.
E con la copertura di uomini nel mondo
politico.
Per questo sono morti Giovanni Falcone,
Giovanna Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Non dobbiamo dimenticarlo mai.
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