Introduzione
Ho un passato ingombrante. Per metterlo da parte e pesare finalmente ak futuro ho dovuto usare cinque grandi casse di legno. In una settimana di meticoloso lavoro, ho archiviato novantasei chili di atti giudiziari, migliaia di lettere e di telegrammi, centinaia di articoli di giornale, decine di videocassette di programmi televisivi – da Telefono giallo a Portobello, da Mixer a Il coraggio di Vivere. Le cinque casse, che adesso stanno in cantina, conservando la documentazione die miei ultimi diciotto anni di vita. Quasi metà della mia esistenza.Sono un caso giudiziario, il «caso Carlotto».
Avevo comprato questo libro da tanto
tempo, Il fuggiasco di Massimo Carlotto, ma per tanti motivi non mi
ero mai messo a leggerlo.
Sono stato spinto dalle polemiche dellasettimana passata, dopo che era uscita la notizia che l'autore
avrebbe presentato un programma in Rai.
Scandalo, orrore, una persona
condannata per un omicidio non può andare in Rai: si dimenticavano,
i giornalisti e i politici che hanno poi cavalcato questa polemica,
di ricordare tutta la vicenda giudiziaria (e personale) dello
scrittore padovana, cominciata in quel 20 gennaio 1976, con la
scoperta del corpo dell'amica colpita a morte da diversi colpi di
coltello.
E terminata, diciassette anni dopo, il
7 aprile 1993, con la grazia concessa dal presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro.
Strano questo paese.
Riesce ad accettare un pregiudicato al
Quirinale, a discutere di ipotesi di governo col Presidente della
Repubblica ma non uno scrittore che è stato condannato in un
processo che è andato avanti e indietro tra i vari gradi di
giudizio: condanna arrivata per una serie di circostanze “strane”,
di quelle che fanno pensare che non è vero che la legge sia uguale
per tutti.
Perizie e prove sparite.
Una corte che ha rimandato il giudizio
di colpevolezza alla Corte Costituzionale, perché non sapeva se
dover applicare il nuovo codice (eravamo a cavallo della riforma del
codice di procedura penale) o il vecchio.
Una storia che ha mobilitato una grande
massa di amici, intellettuali, scrittori, persone che si sono
appassionate a questa storia.
Eppure.
Eppure siamo sempre rimasti lì, a
giudicare in base ad un giudizio sommario (come capitato a Carlotto),
senza voler capire, leggersi le carte, informarsi.
Di errori giudiziari è piena la storia
italiana, di condanne frettolose anche (vi ricordate ancora la storia
di Enzo Tortora, vero?).
Ma basta, non vorrei aggiungere altro
riguardo i processi che ha dovuto subire: questo romanzo colma una
lacuna nella sua storia personale, almeno da parte mia.
Lo conoscevo Massimo Carlotto, anche
personalmente, per averlo incontrato in diverse presentazioni di suoi
libro. Ma non conoscevo gli anni della sua vita passati da latitante
quando, dopo la condanna in Appello, confermata dalla Cassazione,
decise di sfuggire al carcere andando in Francia, a Parigi, un paese
che aveva accolto tanti altri italiani, su cui pendeva una condanna
per reati di terrorismo.
Carlotto divenne “latitante per
caso”, per una scelta istintuale: spiega così la sua scelta,
di ragazzo poco più che ventenne.
Accettare di scontare la pena adoperandosi per renderla più breve possibile sarebbe stata una mossa furba per il futuro della mia vita, ma avrebbe significato dare legittimità alla sentenza della mia condanna. Avevo preferito invece un atto di assoluta rottura come la fuga per dividere in modo netto e inequivocabile la verità dalla menzogna, la giustizia dall'ingiustizia e il diritto dall'arbitrio.
Cosa si prova ad essere latitante? –
in tanti gli hanno posto questa domanda: “la latitanza è come
il blues, uno stato dell'anima”, è la risposta che più mi
piace e che credo sia la più naturale conoscendo il personaggio.
Questo libro racconta la vita di
latitante, in quegli anni, nel modo più onesto possibile: come ha
recitato quel ruolo nel palcoscenico umano, adottando look sempre
diversi, dallo studente, all'impiegato anonimo.
L'importanza di spiare la vita
dei vicini, quando si entrava in una nuova casa, per comprenderne le
abitudini, per capire se c'era qualcuno un po' troppo interessato
alla sua presenza.
I tanti lavoretti cui si è
dedicato per sopravvivere, principalmente le traduzioni
dall'italiano, sebbene poi il suo sostentamento è in gran parte
arrivato dalla famiglia, che l'ha sempre aiutato.
L'incontro in Francia con gli esuli
cileni dopo il terribile golpe del 1973 (l'altro 11 settembre).
L'ansia che sopraggiunge per la
lontananza da casa, dalla famiglia, per la paura di essere bloccato
dalla polizia (da cui spesso si è salvato grazie al “Dio
protettore dei latitanti”): un ansia da cui ha cercato di
anestetizzarsi col cibo, diventando in quegli anni bulimico.
Da Parigi al Messico, grazie ad
un libro e ad un desiderio di Alessandra, la sua fidanzata di quegli
anni: i capitoli dedicati a quel periodo sono un racconto
interessante perché descrivono un mondo per noi lontano, di cui
sappiamo poco.
La sinistra divisa in perenne conflitto
tra loro; il caotico mondo di Città del Messico, una metropoli in
cui perdersi (e in cui ogni anni scomparivano migliaia di bambini, in
un gorgo di pedofilia, traffico degli organi).
A Carlotto è capitato di dover
trascorrere dieci giorni in una stazione della metropolitana alla
ricerca del figlio di un'amica:
“.. un'esperienza che mi ha segnato per tutta la vita. Non solo per l'angoscia che mi attanagliava ogni ora del giorno, ma soprattutto per il senso di impotenza di fronte ad una città talmente grande da ingoiare qualsiasi cosa, senza una spiegazione, come se non fosse mai esistita. Nella più completa indifferenza. Anche un bimbo che avevi visto giocare fino a poche ore prima”.
La città delle baracche, dell'enorme
fame, dell'inquinamento che uccideva persone come fossero in guerra
(Carlotto cita l'episodio dell'esplosione della centrale della Pemex
(Petroleum Mexicanos), coi suoi 2000 morti, molti di cui seppelliti
in fosse comuni).
Scappare dalla tela di ragno della
giustizia (o ingiustizia) italiana per finire in mezzo agli ultimi
della terra, con la scoperta della rivoluzione zapatista.
Infine, la non meno importante
questione dei rapporti affettivi, con Alessandra e, dopo la fine
della loro relazione, con altre ragazze incontrate: rapporti
difficili per la sua condizione eppure rapporti importanti, per
sentirsi ugualmente vivo
Un essere umano privato della libertà o costretti ad abbandonare il proprio paese, si trova ad affrontare un'esperienza drammatica e si aggrappa disperatamente al rapporto affettivo, non solo mosso dall'amore ma anche per garantirsi un minimo di continuità col passato.
L'esordio del racconto coincide in
realtà con la fine della della sua latitanza, per il tradimento
dell'avvocato che avrebbe dovuto aiutarlo ad ottenere i documenti per
una nuova identità.
Era il 1985 e da cui inizia la seconda
parte della vita da latitante non più latitante: espulso dal Messico
e auto costituitosi di fronte alle autorità italiane (che,
paradossalmente, non avevano ancora spiccato contro di lui alcun
mandato di arresto).
Da qui la revisione del processo, la
nascita dei comitati in suo favore, il supporto di amici, scrittori
come Jorge Amado e intellettuali come Norberto Bobbio.
I processi a cavallo della riforma del
codice penale e la corte d'Assise d'Appello di Venezia che rimanda
tutto alla Corte Costituzionale che sentenzia come per Carlotto
dovesse valere il nuovo codice, secondo cui avrebbe dovuto ottenere
l'assoluzione.
E invece arrivò la condanna, e con lei
la malattia.
Non tralascia nulla di quei mesi, l'ex
latitante Carlotto, compreso l'idea del suicidio, come estremo atto
di ribellione all'ingiustizia.
La grazia di Oscar Luigi Scalfaro ha
risparmiato questo atto estremo e ci ha consegnato uno scrittore che
oggi è considerato uno dei migliori narratori del paese, della sua
anima nera, della sua anima ambigua, né bianca né nera.
Scorrendo tutte le storie, si
comprendono le origini dei suoi personaggi: il Calvados, il liquore
preferito dell'Alligatore, la passione per il cibo, la denuncia contro i poliziotti
corrotti..
La scheda del libro sul sito
dell'editore Edizioni E/O
Il blog
dell'autore
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