29 agosto 2024

La fossa dei lupi di Ben Pastor

 

I promessi sposi è sicuramente Il libro italiano più famoso nella storia italiana: la storia, sulle sponde di quel ramo del lago di Como, del rapimento della promessa sposa Lucia per soddisfare la prepotenza di Don Rodrigo con l’aiuto di un altro signorotto che si riteneva al di sopra della legge per il suo rango.
Gli intrighi, i complotti, il latinorum dell’azzeccagarbugli e l’ignominia del prete di Olate e dall’altra parte il coraggio del cappuccino di Pescarenico, “verrà un giorno!”.
La provvidenza da una parte con la conversione del conte del Sagrato, l’Innominato, e l’intervento del cardinale Borromeo dall’altra.

E poi la peste, a sconvolgere la vita di quel pezzo dell’Italia allora sotto la dominazione spagnola, si era nel pieno diciassettesimo secolo.

Un modo, per Alessandro Manzoni, per raccontare un altra Italia, quella della prima metà dell’ottocento, con la dominazione austriaca del lombardo-veneto.

In questo romanzo la scrittrice italo americana Ben Pastor si cimenta in un arduo compito: scrivere il seguito di questa storia italiana, ambientandola nel 1630, a pochi anni dai fatti raccontati dal Manzoni, partendo da un fatto delittuoso, l’omicidio di Bernardino Visconti, l’Innominato, ucciso da un colpo d’arma da fuoco nella sera tra il 9 e il 10 marzo mentre in sella al suo cavallo, stava facendo una delle sue uscite serali.
Dopo la conversione e il pentimento, per i fatti legati al rapimento di Lucia Mondella, il Visconti aveva dedicato la sua vita e le sue fortune per porre rimedio alle violenze, ai soprusi a cui aveva preso parte nella sua prima parte della vita, assieme ai suoi bravi.
Il delicato compito di scoprire il nome dell’assassino tocca al luogotenente della della Giustizia di Milano, Diego Antonio Olivares.

Nobile spagnolo, uomo di cultura e di spada, avendo combattuto contro gli eretici in Valtellina, ma anche uomo di fede, per il suo proposito di diventare missionario gesuita per andare a cercare il martirio in una di quelle terre lontane e selvagge, le Americhe, il Catai, il Cipango..
C’è una promessa fatta anni prima con la sorella, dietro questa scelta, una promessa fatta con la sorella, Sibilla, ora suor Cattarina, legata ad un episodio della sua giovinezza, una brutta storia di stregoneria della sua Tata, una giovane donna colpevole solo di essere troppo curiosa della vita..

Tocca a questo strano e giovane investigatore, scoprire chi ha sparato quel colpo, sopra Lecco in località Panderduto contro l’Innominato: una delle tante vittime della passata esistenza del Visconti? Questo è il primo sospetto del luogotenente, ma perché colpire a freddo allora, a distanza di anni da quei fatti, ormai passati dopo la conversione (con tanto di medaglietta di San Carlo donata dal cardinale Borromeo)?
Potrebbe essere stato un omicidio nato all’interno di quei bravi di cui i signorotti dell’epoca si servivano per far valere la loro legge nei confronti della povera gente? Con la conversione la bella vita di questi bravi era cambiata, si erano dovuti accontentare della “buonuscita” del Visconti, insufficiente per pagarsi i bagordi nelle osterie e nei bordelli, diventando così una “muta senza collare”.

«Antonio Rivolta.. Chi era costui?»

Olivares, venuto a fare rapporto, sentì le parole stizzite provenire dallo studio dove il capitano di giustizia rimestava, tra le cartacce, grida, proclami e denunce anonime pervenute durante l’ultimo mese. Il nome gli giungeva nuovo..

L’indagine di Olivares diventa un modo per re incontrare i personaggi del racconto manzoniano a cui l’autrice da nuova vita: Lucia e Renzo, ora sposi e in attesa del primo figlio, non più contadini ma proprietari di una filanda nel bergamasco ma ora ad Olate nella vecchia casa di Agnese, vera dominatrice del focolare domestico.
Dal Visconti avevano ricevuto un risarcimento con la promessa di altro denaro per la figlia, che ora dovranno chiedere agli eredi del conte.
Anche don Abbondio è rimasto ad Olate, sopravvissuto come Renzo (e come Olivares) alla peste: il coraggio se uno non ce l’ha, non se lo può dare – così scriveva Manzoni, per descrivere questo curato che si era trovato come un vaso di coccio in mezzo in una storia più grande di lui e che ancora oggi gli ha lasciato tanto rancore e tanto veleno per quei due ragazzi, Renzo e Lucia, per quel tiro che gli avevano fatto quando avevano cercato con l’inganno di farsi sposare.

Molti dei testimoni di quella storia dei “promessi sposi”, quasi sicuramente alla base di questo delitto, sono ormai morti.
Morto per peste quel Don Rodrigo dei Candiani, colpito dal morbo al ritorno da una festa. Morto il cugino Attilio e il conte zio.
Pochi i sopravvissuti, come Gian Paolo Osio, compare delle scorribande di Don Rodrigo, responsabile del ratto di Lucia fuori dal convento di San Margherita a Monza, un convento su cui girano tante brutte voci, raccolte da Olivares, sulle monache e sui rapporti con mondo esterno, in particolare con una di queste, Marianna De Leyva, suor Virginia.
Il conte del Sagrato, come era chiamato l’Innominato, era molto amico di don Ottaviano Gallarati: nel tentativo di avere maggiori informazioni sui rapporti tra don Rodrigo e il Visconti, Olivares incontro la giovane vedova del Gallarati, donna Polissena, una signora colta e intelligente, che da una parte fornisce al luogotenente di vecchi carteggi, dall’altra lo stuzzica col suo fascino.
Per la prima volta il desiderio di farsi gesuita e trovare martirio, come espiazione di un antico peccato, inizia a vacillare per Olivares.
Quanto è lecito per un uomo di fede provare una passione carnale per una donna? Può il giudizio di Dio essere di “manica larga” per tollerare queste passioni fisiche? Forse, come sostiene il suo confessore, figliastro di quel Pizzarro conquistadores delle Americhe, conoscere carnalmente una donna aiuta a comprendere meglio la sua missione in mondi lontani…

Alle porte del giorno, fra i due estremi della villa incantata e del resto del mondo capitanato da Milano, l'equilibrio era instabile, precario. I suoi affetti albergavano là dietro al quarto miglio, mentre il suo incarico e le sue responsabilità, anche le meno piacevoli, lo chiamavano avanti e altrove. Si muoveva verso la città nella bruma impregnata di fumo fra il ricordo della Borghesa [la villa di donna Polissena] e ciò che non l'apparteneva, consapevole - ulteriore causa di sottile malinconia - che da qualche parte la fede in Dio non aveva mai cessato di reclamarlo.

Polissena gli parlava sorridendo del martirio in terra di missione, come se sapesse che intendeva davvero andarci e non ne fosse gelosa. Gli regalava libri in proposito, lo rassicurava discorrendone, ponendosi come pietra miliare lungo quel percorso per rendergli più facile il cammino.
Per tutto ciò Olivares le era grato e non si sentiva in colpa.
Faceva bene? Se le tentazioni di Sant'Antonio, invece di apparire al vecchio eremita come mostri o sirene lascive, gli si fossero palesati in guida di sagge e amiche smagate, avrebbero avuto più speranze di vittorie su di lui.

La giustizia milanese, nel nome del re di Spagna, si deve muovere in modo accorto, cercando di non pestare i piedi alle guardie del cardinale, anche lui desideroso di trovare il responsabile della morte del famoso convertito, usando le corde e gli altri strumenti di tortura per sciogliere le lingue (ed esibire le esecuzioni alla Vetra). Siamo nella Milano che cercava di risorgere dopo la decimazione della peste (un dramma che dovrebbe ricordarci quanto successo nemmeno troppi anni fa con l’epidemia del covid), col contrasto tra l’anima laica del capoluogo del contado e l’anima religiosa, sempre pronta però a indulgere nei peccati dei nobili.
La Milano dove convivevano la borghesia “operosa” meneghina e il lusso sfrenato della nobiltà spagnoleggiante, la superstizione del popolo e l’arte e la scienza di cui è appassionata donna Polissena. La Milano dei fetidi bassifondi e delle locande mal frequentate dove, comunque, uno sbirro come Olivares, deve addentrarsi per trovare le notizie che gli servono.

Finché ci saranno lupi, pensava Olivares, ci saranno trappole. Se siamo fortunati, non sarà vero il contrario.

Questo è l’ultimo pensiero di Olivares, ovvero i lupi (quelli della fossa poco lontano dal luogo dell'agguato e i lupi in forma umana)  dopo aver messo ai ferri il responsabile di quel delitto, con una soluzione che, scrive l’autrice presentando il libro, probabilmente sarebbe piaciuta anche a Manzoni.

Interesse, crudeltà, miseria morale – la morte di Bernardino Visconti derivava da tali cose, eppure egli stesso, in un tragico contrappasso, aveva vissuto per anni di quelle stesse cose.

La scheda del libro sul sito di Mondadori
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